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IL BELLO DELLA LITURGIA

Il giudizio è arrivato e a Orvieto si può leggere

La cappella di San Brizio si apre lungo il transetto nord del Duomo di Orvieto. Deve la sua fama agli affreschi che Luca Signorelli, pittore cortonese annoverato tra i grandi maestri del Rinascimento, vi realizzò tra il 1499 e il 1502: il ciclo apocalittico ed escatologico è meglio noto come le Storie degli ultimi giorni.

Cultura 01_08_2020

Luca Signorelli – La Resurrezione dalla carne – Orvieto, Cattedrale di S. Maria Assunta

 

…vedranno “il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo” con grande potenza e gloria. Egli manderà i suoi angeli, con una grande tromba, ed essi raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli. (Mt 24, 30-31)

La cappella di San Brizio si apre lungo il transetto nord del Duomo di Orvieto.  Fu aggiunta al corpo duecentesco della chiesa all’inizio del Quattrocento, grazie al lascito testamentario di un fedele orvietano che desiderava intitolarla alla Vergine Incoronata: sull’altare fu collocata un’antica tavola con la Maestà, che si pensava essere stata dipinta da San Luca, venerata perché considerata miracolosa. La cappella, però, deve la sua fama agli affreschi che Luca Signorelli, pittore cortonese annoverato tra i grandi maestri del Rinascimento, vi realizzò tra il 1499 e il 1502: il ciclo apocalittico ed escatologico è meglio noto come le Storie degli ultimi giorni.

Il Signorelli ereditò il cantiere dal Beato Angelico, frate pittore domenicano, edotto in teologia, che cinquant’anni prima aveva senz’altro contribuito alla scelta del tema iconografico. L’Angelico riuscì a realizzare solamente due delle vele della campata sopra l’altare, dipingendo il Cristo Giudice e figure di Profeti. L’ampio programma fu, poi, rivisitato dall’arcidiacono del Duomo che, attenendosi a quanto raccontato nel Vangelo e nell’Apocalisse, sulla base delle riflessioni teologiche - domenicane e agostiniane -consultate anche fonti letterarie, diede al Signorelli indicazioni che, per il tema trattato, gli consentirono di realizzare un unicum nella storia dell’arte.

“Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte”, scrive Matteo. In uno scenario simile Signorelli s’immagina accadere la fine del mondo: sulla parete d’ingresso della cappella, sotto astri dal pallido riflesso, ha inizio l’ultima battaglia tra il Bene e il Male che qui si manifesta sotto forma di demoni infuocati, mentre la natura si scatena provocando devastanti terremoti e maremoti. La presenza della Sibilla Eritrea e quella del re Davide, sulla destra del dipinto, confermano l’avverarsi delle profezie annunciate.

Il dies irae inizia, a Orvieto, con la comparsa sulla scena dell’Anticristo che predica ergendosi su un piedistallo mentre Satana in persona, bisbigliandogli nell’orecchio, gli suggerisce le parole con cui arringare la folla. Sullo sfondo si staglia il profilo monumentale del tempio di Gerusalemme librandosi sul quale l’Arcangelo Michele, la spada sguainata, sconfigge il Demonio.

Il Giorno del Giudizio è arrivato. Ed ecco, come annunciato, gli angeli che svegliano i defunti col suono delle loro trombe. Ecco il promiscuo, e inquietante, groviglio dei corpi delle anime dannate cui si contrappone l’ordinato, per quanto affollato, radunarsi dei beati destinati al Paradiso.

Su tutti loro, dalle volte delle campate, vigilano gli angeli, musicanti e non, gli Apostoli, i Martiri, i Patriarchi, i Dottori della Chiesa, le Vergini: formano la corte celeste di Cristo che, in veste di Pantocrator che regge il globo terrestre, alza il braccio destro per dividere coloro che sono stati condannati dall’umanità redenta. Così facendo mostra le ferite inflittegli durante la Passione, il foro del chiodo nella mano e la piaga nel costato, evidenziando, insieme alla regale divinità, la Sua umanità e indicando, così, la strada che occorre percorrere per giungere, infine, in Paradiso.