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Il Papa sfida la Germania senza Dio

Solo il 53% dei tedeschi crede in Dio: calano i protestanti, i cattolici restano quelli del 1950. È l'esito di un preciso disegno politico, frutto della sistematica discriminazione dei cristiani.

Attualità 22_09_2011
Papa Benedetto XVI in Germania

 

In quale Germania arriva il Papa? Ascoltando l’intervento diffuso domenica nella trasmissione Wort zum Sonntag della televisione pubblica tedesca ARD si ha l’impressione che Papa Benedetto XVI abbia letto il saggio del sociologo e giornalista Andreas Püttman Gesellschaft ohne Gott. Risiken und Nebenwirkungen der Entchristlichung Deutschlands ("Società senza Dio. Rischi ed effetti collaterali della scristianizzazione della Germania, GerthMedien", Asslar 2010), che mette insieme una serie di statistiche impietose sullo stato del cristianesimo in Germania.

Il 53% dei tedeschi afferma di non credere in Dio: tra questi, paradossalmente, anche un certo numero di cattolici e protestanti. Dal 1950 al 2010 i protestanti sono scesi da 43 a 25 milioni. I cattolici sono rimasti i 25 milioni del 1950, circa il 30% della popolazione, ma hanno perso negli ultimi decenni i vantaggi di una precedente crescita dovuta alla demografia e all’immigrazione. Si tratta di cattolici che si dichiarano tali, dei quali solo l’8% nell’ex Germania Ovest e il 17% nell’ex Germania Est dichiara agli intervistatori di andare a Messa tutte le settimane. Inoltre, il 41% di chi si dichiara cattolico non crede che la Terra sia stata creata da Dio - fra chi si considera protestante la percentuale sale al 52%. Alle altre principali verità della fede credono meno di metà di coloro che pure si dichiarano cattolici. Solo il dieci per cento dei tedeschi, conclude Püttman, può essere considerato un membro di una Chiesa cristiana a pieno titolo, nel senso che ne abbraccia le principali credenze e pratiche.

L’immagine che ne esce è quella di una «società senza Dio», dove anche molti di coloro che ancora si dicono cristiani non condividono quasi nulla del cristianesimo tradizionale e hanno dubbi perfino sull’esistenza di Dio. Sbaglierebbe - né Püttman ci dice questo - chi pensasse che in Germania ci sia un revival di teorie filosofiche atee o di imbonitori dell’ateismo alla Odifreddi. Personaggi folkloristici esistono anche lì, ma non sono loro i responsabili della scristianizzazione. Più che di un ateismo meditato e filosofico, in Germania - come altrove - si deve parlare d’indifferentismo nei confronti di Dio. Come in Gran Bretagna e in Francia - con prodromi che mostrano come ci si avvicini a questa situazione anche in Spagna, mentre ne siamo ancora abbastanza lontani in Italia - la Germania è una società postmoderna, dove non è più scontato che la religione sia qualche cosa d’importante e che i giovani debbano a un certo punto decidere se considerarsi o meno credenti in Dio o cristiani.
Già questa scelta, come ha notato il filosofo canadese Charles Taylor, differenzia la tarda modernità dal periodo precedente alla Rivoluzione Francese, nel quale la grande maggioranza delle persone si considerava credente senza porsi il problema di un’alternativa. Ma ora assistiamo a qualcosa di diverso. Nella società senza Dio di Püttman rischia di sparire anche il momento in cui il giovane sceglie se credere o non credere. In molte famiglie nessuno crede e nessuno pratica, così che nella generazione successiva neppure ci si pone più il problema. La religione è diventata semplicemente irrilevante.

Püttman, però, è il contrario di un allegro teorico della secolarizzazione, il che è sfuggito a diversi suoi recensori italiani. C’è tutta una parte del volume in cui il sociologo tedesco parla - come afferma il titolo - dei «rischi ed effetti collaterali della scristianizzazione», e offre dati di natura diversa. Sono dati che dimostrano che i giovani «senza Dio», quelli che neppure si pongono il problema religioso, sono più materialisti, più disposti ad affermare che non c’è differenza fra bene e male o che bene è solo quello che mi arricchisce o mi fa comodo, più cinici. E contemporaneamente molto più infelici. L’essere «senza Dio», sostiene Püttman, fa male. Non s può neanche dire che prepari una società con più suicidi, più droga, più disperazione e una generale riluttanza a fare figli. Questa non è una previsione, è la fotografia di una società che fra chi ha meno di cinquant’anni in Germania c’è già.
Un’altra affermazione di Püttman sfuggita a molti lettori italiani è che a tutto questo la società non è arrivata per caso. C’è stato un disegno politico preciso, un crescendo d’intolleranza e discriminazione contro i cristiani, tanto che il sociologo afferma persino che – di questo passo – nuove persecuzioni cruente come quelle naziste o comuniste non sono impossibili. Anche i segnali che si colgono nei giorni precedenti alla visita del Papa confermano che l’intolleranza anticristiana non è maggioritaria: ma è potente, organizzata, ben finanziata, e arriva fino all’interno del Parlamento.

Che fare? Anche qui Püttman ci sorprende. La ricetta che propongono i cattolici progressisti che non sono maggioritari in Germania ma occupano quasi tutti gli spazi sui media per il sociologo è una formula per il disastro: donne prete, sacerdoti sposati, sì all’aborto, al divorzio e alle unioni omosessuali. Questa ricetta è già stata provata dalle comunità protestanti storiche con esiti catastrofici. Le uniche forme religiose che crescono sono quelle «evangelicali» e pentecostali, molto più conservatrici rispetto al protestantesimo luterano e calvinista.

La soluzione di Püttman è superare la "timidezza" e il rispetto umano e dire la verità su Dio, Gesù Cristo, la fede e anche la morale senza timore delle reazioni dei media e di qualche politico. Il successo degli «evangelicali» e anche di forme di pastorale cattolica molto ferma dimostra che, contrastando il relativismo, ci si rende impopolari presso i poteri forti che dominano la cultura ufficiale e la stampa, ma popolari presso i fedeli. Il Papa tedesco è già venuto in Germania nel 2005 e nel 2006 ad annunciare che Dio esiste, che senza Dio non c’è futuro né felicità e che il relativismo è una menzogna. Ora viene di nuovo: si può stare certi che parlerà ancora una volta chiaro e che sarà criticato dai soliti noti. Ma non c’è altra strada per riproporre una società che sia ancora cristiana e dunque sia pienamente umana.