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DEM RINGALLUZZITI

Il paradosso del Pd: ha perso le elezioni, ma comanda il Paese

Alle politiche del 2018 il Pd era stato severamente punito dai suoi elettori, scendendo al 18.7%. Eppure oggi i dem, abituati a occupare tutti i gangli vitali dello Stato, hanno in mano le sorti della legislatura. E Zingaretti programma di annettere i 5 Stelle, per formare una sorta di Ulivo 2 che diriga le azioni per la successione a Mattarella.

Politica 30_01_2020

Nel marzo 2018, all’indomani delle elezioni politiche che decretarono il trionfo dei Cinque Stelle, l’ottimo risultato della Lega e il tracollo del Pd e delle sinistre, chi l’avrebbe mai detto che oggi ci saremmo ritrovati in una situazione simile? Se qualcuno si fosse assentato dall’Italia per sei mesi e fosse rientrato oggi, si sentirebbe su “Scherzi a parte”, tanto paradossale è il quadro politico che si è creato.

Meno di due anni fa, alle urne, il Partito democratico era stato severamente punito dai suoi elettori. Scese al 18,7%, nonostante i renziani fossero ancora dentro il partito. Gli scissionisti bersaniani di Liberi e Uguali superarono di poco il 3% e sembravano al crepuscolo. L’alleanza di centro-destra, composta da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, si affermò come prima coalizione, anche se la prima forza politica, con quasi il 33% dei consensi, risultò essere il Movimento Cinque Stelle.

Che cosa accadde subito dopo lo ricordiamo tutti. Si tentò un governo tra Lega e Cinque Stelle e, subito dopo, un governo tra Lega e Pd, ma non se ne fece nulla. Fino a quando Matteo Salvini e Luigi Di Maio trovarono la quadra e diedero vita a un esecutivo giallo-verde che resse le sorti del Paese fino all’agosto scorso.

Poi è iniziato il capolavoro di camaleontismo e trasformismo di Giuseppe Conte, che ha cambiato alleati rimanendo in sella come premier. E il Pd, che all’opposizione sembrava impalpabile, prima è tornato al governo con una manovra di palazzo, poi ha vissuto la scissione dei renziani, che hanno creato Italia Viva.

La situazione che si è determinata progressivamente ha davvero dell’incredibile. Una forza politica che alle politiche del 2018 aveva raccolto il 18% dei consensi e che, considerata l’elevata astensione dell’elettorato italiano, rappresenta sì e no il 10-15% del sentimento del Paese, ha in mano le chiavi della legislatura.

Nel frattempo, infatti, i Cinque Stelle sono evaporati. La loro presenza numerica in Parlamento risulta assai più elevata rispetto ai consensi che il Movimento raccoglie oggi nell’opinione pubblica. Il crollo verticale di voti e fiducia li mette in una posizione di enorme debolezza nell’interlocuzione con i dem, abituati a gestire il potere e a occupare in modo scientifico e capillare tutti i gangli vitali dello Stato, dagli incarichi politici ai ruoli amministrativi e burocratici.

L’obiettivo dichiarato del ringalluzzito Nicola Zingaretti è di annettere senza troppi giri di parole l’alleato pentastellato, per costruire un nuovo centrosinistra. Il disegno è ormai fin troppo chiaro: dar vita a una sorta di Ulivo 2, che possa avere in Giuseppe Conte il faro e la guida, anche in vista di una sua candidatura al Quirinale.

I giochi per la successione a Sergio Mattarella sono infatti già cominciati. La road map è ben tracciata. Il governo ha convocato per il 29 marzo il referendum confermativo della riforma sul taglio dei parlamentari. I “sì” dovrebbero raccogliere una maggioranza schiacciante, ragion per cui, a urne chiuse, nessuno degli attuali parlamentari smanierà dalla voglia di andare a casa, con la quasi certezza di non mettere più piede a Palazzo Madama e Montecitorio. Inoltre, il sistema proporzionale che le forze di maggioranza intendono reintrodurre consentirà a Pd, Leu, Italia Viva, Movimento Cinque Stelle e altre liste e formazioni di sinistra di correre ognuno per conto proprio e di intercettare le differenti sensibilità sociali, civiche e politiche per poi ricomporre, a urne chiuse, un rassemblement di centro-sinistra anti-populista proiettato verso il governo del Paese.

Nei tre anni che mancano di qui al 2023, data di scadenza della legislatura, il Pd darà le carte a tutti, imporrà un ribilanciamento (leggi rimpasto) di poltrone e incarichi agli alleati pentastellati, sempre più in agonia, divisi e disorientati sul da farsi. Morale: in Rai il “Nazareno” tornerà a comandare, le prossime nomine in Eni, Enel, Leonardo e altri colossi saranno targate sinistra. I parlamentari di maggioranza, ma forse anche qualcuno dell’opposizione, in particolare di Forza Italia, sotto sotto assicurerà al governo Conte una navigazione sicura fino all’agosto 2021, quando si entrerà nel semestre bianco e Mattarella non potrà più sciogliere le Camere. Tra gennaio e febbraio 2022 si eleggerà il suo successore e a quel punto mancherà meno di un anno al termine naturale della legislatura. Chi mai si assumerebbe la responsabilità di far cadere il governo per andare a elezioni anticipate, sottraendo la pensione a centinaia di parlamentari, per l’ultima volta così numerosi (630 deputati e 315 senatori)? Si ricorderà, infatti, che il diritto alla pensione scatta se la legislatura supera almeno i 4 anni e sei mesi.

Ci sono dunque tutti gli ingredienti per concludere amaramente che chi ha perso le elezioni politiche del marzo 2018 ora comanda come se avesse vinto e che dunque è in atto una restaurazione, assai visibile non solo nella compagine governativa ma anche nel repentino riposizionamento dei cosiddetti poteri forti.