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IL FILM

Il prigioniero coreano, vittima del Nord e del Sud

Il prigioniero coreano tratta della difficile situazione delle due Coree, la Nord e la Sud, divise dalla cortina di ferro. E da più di settant'anni di odio. Il protagonista è un pescatore nordcoreano la cui barchetta sconfina a Sud. Dove iniziano i suoi guai, per poi tornare a Nord dove si compie la tragedia. Critica feroce di comunismo e capitalismo, dove il primo è il male peggiore.

Cinema e tv 03_10_2018

Kim Ki-duk è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico sudcoreano, già vincitore del Leone d'Oro e del Leone d'Argento al Festival di Venezia, e del premio «Un Certain Regard» al Festival di Cannes. Di lui ricordiamo, tra gli altri, i film La samaritana del 2004 e Pietà del 2012. Due anni fa ha diretto una pellicola che merita di essere qui ricordata, Il prigioniero coreano, perché tratta della difficile situazione delle due Coree, la Nord e la Sud, divise dalla cortina di ferro. E da più di settant’anni di odio. Il protagonista è un povero pescatore nordcoreano la cui barchetta percorre un fiume che scorre tra le due nazioni vigilato a vista da guardie armate.

Lui ha il permesso di pescare, e di mantenere così moglie e figlioletta, ma solo, ovviamente, nel settore Nord. Un giorno la rete gli si impiglia nell’elica e la corrente lo spinge a Sud. Qui viene catturato e estenuantemente interrogato per vedere se si tratta di una spia. A un certo punto decidono di lasciarlo libero per le strade di Seul, convinti che la vista del benessere lo convincerà a defezionare. Ma lui tiene gli occhi appositamente chiusi: vuol tornare dalla sua famiglia e sa che, al ritorno, sarà spietatamente interrogato; perciò, meno vede e meno avrà da dire. Il trucco non riesce.

Vagando senza meta si imbatte in una prostituta picchiata dai suoi papponi. D’istinto la difende e apprende che quella si vende per bisogno. Viene ripreso dagli agenti del Sud, uno dei quali si  convince che non è una spia e gli dà dei soldi fittamente arrotolati, da nascondere nell’ano. Frattanto la sua storia è finita nelle televisioni dei due Paesi, così che tutti, anche al Nord, lo vedono in giro per le strade di Seul a guardare le vetrine piene di ogni bendidio. Perfidamente, gli agenti del Sud hanno mandato la videocassetta ai colleghi del Nord, quale ultimo ballon d’essai per sapere se quello è davvero una spia. Così, gli riparano la barca e lo rimandano indietro.

Appena arrivato viene preso in consegna dagli agenti del Nord e duramente interrogato. Adesso sono loro a voler scoprire se si tratta di una spia del Sud. L’ufficio in cui viene portato è squallidissimo e scrostato, a differenza di quello luccicante e asettico del Sud. Il poveraccio viene anche picchiato. Deve scrivere ogni dettaglio di quel che ha fatto mentre era al Sud. La stessa cosa aveva dovuto fare, più e più volte, dall’altra parte. E guai se un dettaglio, anche infinitesimo, nelle varie scritture divergeva dalla precedente. La sua salvezza viene proprio dalla perquisizione: gli scoprono i soldi e se li dividono, ammonendolo di non farne parola con nessuno. L’uomo può tornare a casa, che consiste in un’unica stanza con alla parete l’obbligatorio ritratto del Caro Leader e di suo padre, condita con la scritta inneggiante alla rivoluzione comunista. Ma ormai è spezzato e traumatizzato da quello che gli è successo.

L’indomani vuole uscire con la sua barca per pescare, ma scopre che la licenza gli è stata revocata. Quasi impazzito, salpa lo stesso perché è l’unico mezzo di sostentamento che ha. Mentre si allontana, però, gli sparano alla schiena e muore. Il regista ha messo in scena il neorealistico ritratto di un povero cristo venuto a trovarsi  in mezzo a una realtà politica più grande di lui. Uscito per caso da un mondo irreggimentato e governato dal terrore, un mondo di squallore, corruzione e miseria, l’unica cosa che gli importa è la sua famiglia, per la quale non cede alle lusinghe della società dell’opulenza. Nella quale, però, la libertà è direttamente proporzionale alle dimensioni del portafogli, come ha modo di constatare.

Ma, ed è questo il merito, il film non mette sullo stesso piano i due avversari antitetici, comunismo e capitalismo. Il primo è peggio, molto peggio, e solo l’amore per la sua famigliola impedisce al pescatore di disertare. E magari rifarsi una vita con quella giovane e bella prostituta che l’aveva pregato di prenderla con sé.