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a cura di Stefano Fontana

COMUNISMO

Il primo maggio e lo scippo del lavoro

Dottrina sociale 04_05_2021

L’essenza vera del comunismo e del socialismo non è mai stato il lavoro né lo sono stati i lavoratori. Questa illusione è stata venduta a caro prezzo e molti l’hanno fatta propria, sia tra i socialisti sia tra i non socialisti. Dostoevskij diceva invece che l’essenza del socialismo è l’ateismo e l’ateismo, aggiungo, porta via con sé tutto, compreso il lavoro. Si spiega così perché oggi sono proprio i sindacati dei lavoratori a scippare il lavoro alla festa del primo maggio. Il concertone e le immancabili declamazioni ideologiche radicali e libertarie contro la vita e la famiglia non hanno niente a che fare col lavoro, ma hanno molto a che fare col socialismo. Credo sia sbagliato accusare i sindacati di incoerenza, la stessa incoerenza di cui si accusa l’attuale sinistra di proteggere i diritti LGBT e non i lavoratori. La secolarizzazione del lavoro era già nel DNA del comunismo e del socialismo e scippare il lavoro è da parte loro un segno di coerenza.

La Dottrina sociale della Chiesa è stata spesso accusata di non considerare in modo adeguato il lavoro. Soprattutto è stata accusata di non arrivare ai nodi strutturali dell’economia e della lotta di classe e di fermarsi invece agli aspetti etici e religiosi. Poi, però, laddove si è arrivati a cambiamenti strutturali, come in Russia ieri o in Cina oggi, il lavoro non è stato certo protetto. Nei Paesi comunisti il lavoro è stato negato, anche se ufficialmente esaltato dalla propaganda. Eppure da quella parte è sempre arrivato verso la Dottrina sociale della Chiesa un giudizio di inadeguatezza. La Chiesa avrebbe perpetuato l’alienazione dell’uomo sul lavoro, quando invece l’uomo era alienato sul lavoro nei regimi socialisti e, con ogni probabilità, anche in quelli socialdemocratici.

Questa accusa di non incidere nel campo del lavoro, di conservare le ingiustizie presenti, di fare solo bei discorsi moralistici ma di non cambiare le cose è stata ampiamente recepita dalla teologia cattolica contemporanea che, soprattutto con le teologie della rivoluzione e della liberazione e con il processo di incontro tra marxismo e cristianesimo, ha cercato di emendare i propri comportamenti, con ciò contribuendo allo scippo del lavoro  tipico di comunismo e socialismo.

A pensarci bene questo è avvenuto anche in altri campi e non solo in quello del lavoro. La Dottrina sociale della Chiesa è stata anche accusata di non considerare adeguatamente il ruolo della donna, oppure del corpo. I dogmi Mariani e la Risurrezione della Carne confutano ampiamente queste accuse e semmai le rovesciano, ma sta di fatto che anche in questi campi la teologia cattolica contemporanea si è fatta convincere. Ma non Giovanni Paolo II che ha dedicato sia al lavoro che alla donna che al corpo umano approfondimenti e una grande mole di insegnamenti. Mole in senso non materiale ma di contenuto qualitativo. La Chiesa che propone il lavoro addirittura come collaborazione alla Creazione e come santificazione personale viene accusata di assumere posizioni consolatorie, mentre chi si vanta di proteggere il lavoro e i lavoratori produce concertoni plastificati proni all’ideologia più borghesemente borghese.

Il concertone del primo maggio è ormai da anni la testimonianza più palpabile dello scippo del lavoro attuato dalla cultura della sinistra ex comunista ed ex socialista, la quale ha così evidenziato come nella propria essenza non ci fosse mai stata la tutela del lavoro e dei lavoratori. C’è da rammaricarsi ma non da stupirsi. Che superpagati personaggi dello spettacolo di celluloide irridano la vita e la famiglia dal palco del primo maggio, in nome dei lavoratori e del lavoro, non è né un caso né una incoerenza. Del Noce lo aveva spiegato in modo insuperato, illustrando cosa significasse quello che Dostoevski aveva già visto, ossia che l’essenza del socialismo è l’ateismo. Il comunismo è l’ideologia più radicalmente atea della modernità perché ritiene che tutto i principi siano epifenomeni di altro: sovrastrutture prodotte storicamente da delle strutture impersonali. La sua conclusione è che tutto è sovrastruttura, compreso il lavoro e, naturalmente, compresa la famiglia. Perché mai allora ci si dovrebbe stupire che dal palcoscenico del primo maggio si derida la vita e la famiglia in nome del lavoro?

L’atteggiamento corretto, soprattutto dei cattolici, sarebbe di abbandonare quella piazza e quel palco e festeggiare il vero lavoro e i veri lavoratori in una festa del vero lavoro e della vera famiglia, da tenersi, naturalmente, il 19 marzo festa di San Giuseppe. Non basta denunciare certi giochi, bisogna tirarsene fuori.