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QUANDO IL FUNZIONARIO DECIDE

Il sonno della ragione della grassa burocrazia

Non c'è solo la politica ad ostacolare il sentimento religioso, ma anche la burocrazia statale. Due casi: i 3 milioni per restaurare la chiesa di Mirandola serviranno per trasformarla in museo. Così ha voluto la sovrintendente. E un ambasciatore nega il visto a 11 religiosi avanzando dubbi sull'ospitality della diocesi.

Editoriali 11_08_2016

Spesso siamo portati ad accusare la classe politica di voler far sparire il sensus fidei del popolo italiano. L’agenda politica di questi anni ci porta a provvedimenti legislativi totalmente in contrasto con la fede e la ragione. Ma finché sono i politici o i partiti a farsi portavoce di determinati provvedimenti i cittadini sanno con chi prendersela. Possono scendere in piazza o organizzare azioni di protesta per far valere un diritto o un principio di identità.

Ma che cosa succede quando questi principi e questi diritti vengono calpestati da funzionari che non rispondono agli elettori rimanendo nel più completo anonimato? Succede che il disorientamento e l’indignazione assumono l’aspetto di un grido nel vuoto che nessuno può raccogliere. La burocrazia diventa così un elemento critico in un Paese come l’Italia che ne fa un grande uso e alla quale ha affidato decisioni capitali per le sorti dei cittadini.

La cronaca di questi giorni ci offre due spunti per ragionare sul rischio che alberga in tutte le democrazie: quando un funzionario, spesso delegato dalla politica, si mette a decidere su principi sacrosanti, il risultato il più delle volte fa a pugni con il buon senso e la ragione.

Due episodi emblematici, diversi tra loro ma che sono uniti da un filo rosso burocratico inquietante.

Il primo arriva da Mirandola, la città in provincia di Modena colpita dal sisma nel maggio 2012 e dove i fedeli cattolici, a differenza della comunità islamica, dicono messa ancora in un prefabbricato. Come raccontato dalla Nuova BQ ieri c’è un aspetto singolare che sta iniziando a indignare i cittadini. Mentre la comunità islamica, godendo di un cospicuo finanziamento della Regione Emilia Romagna e di una Fondazione del Qatar, si gode la moschea tirata a lucido e ristrutturata, la comunità cattolica, con tutta la sua storia di fede e arte riceverà solo nei prossimi giorni i primi finanziamenti statali per iniziare a sistemare le sue chiese. I primi 3 milioni di euro che arriveranno nella città dei Pico saranno dirottati per il restauro parziale della chiesa di San Francesco, un monumento cittadino essendo la chiesa francescana più antica della zona e rappresentando il Pantheon mirandolese con le tombe dei signori rinascimentali che qui hanno governato e prosperato.

Ma il restauro non servirà per consentire ai mirandolesi di rientrare dentro una chiesa di mattoni e poter così ricominciare una vita spirituale al sicuro dalle intemperie e dalle gelate. Bensì per allestire un museo a cielo aperto a futura memoria del sisma che ha distrutto la Bassa. Un museo al posto di una chiesa, non è la prima volta. Ma quando succede in una città con un sufficiente numero di edifici di culto, la cosa viene, diciamo così, digerita. Ma se accade ad una città che non ha un tempio di mattoni sotto cui ripararsi a pregare, assume contorni inquietanti.

L’idea era stata avanzata già nel 2013 nel corso di un convegno svoltosi a Carpi sulla ricostruzione. Fu la sovrintendente Graziella Polidori ad avanzare l’idea di un restauro finalizzato ad un uso civile per la chiesa di San Francesco. L’idea trovò contrario il ministero dei Beni Culturali, ma evidentemente si è fatta strada se poco dopo i mirandolesi avviarono una petizione raccogliendo oltre mille firme per chiedere che tuti gli edifici religiosi una volta sistemati venissero destinati alle loro funzioni di culto.

La proposta finale – si legge nel verbale di quel convegno - è quella di conservare la chiesa di San Francesco ma in uno stato di rovina, all'interno di un centro storico riqualificato: una “traccia” nobilitata a simbolo di identità dei luoghi, stimolo alla riqualificazione e memoria solenne di una ferita”. Così, il timore che quei 3 milioni servano sostanzialmente per solleticare il gusto un po’ radical chic di certi funzionari è ancora vivo, se è vero che lo stesso capogruppo di Forza Italia Antonio Platis ha denunciato l’uso non condivisibile di quei soldi.

Se la chiesa di San Francesco dovesse essere sottratta ai fedeli e consegnata alla città come un palazzo delle esposizioni, dovrà essere ovviamente la politica a ratificarlo, ma il fatto che la burocrazia abbia potuto dettare legge in tutto questo tempo sull’uso che deve avere una chiesa è un aspetto inquietante di come la burocrazia sia capace di eliminare la ragione, prima che il sensus fidei. E di farlo con una sostanziale incapacità di verifica dei cittadini che si traduce in una successiva “impunità” per le scelte operate.

Discorso simile si può fare, mutatis mutandis, per una vicenda che vede protagonista la Diocesi di Trieste. E’ stata raccontata da Fausto Biloslavo sul quotidiano il Giornale di ieri. La Diocesi friulana ci aveva lavorato molto per accogliere gli 11 religiosi cattolici cingalesi per farli partecipare ad alcuni momenti spirituali e culturali tra il Friuli e la Gmg di Cracovia. E aveva avviato le pratiche con l’ambasciata dello Sri Lanka per regolarizzare il visto indispensabile per il loro arrivo in Italia.

La diocesi avrebbe provveduto a tutto: vitto, alloggio, spese di viaggio e si sarebbe incaricata di organizzare per i cingalesi tutto il necessario. I quali alla fine di quell’esperienza sarebbero tornati in patria. Serviva solo l’ok dell’ambasciata italiana in Sri Lanka. Che, inspiegabilmente non è arrivato. Dalla lettera di protesta del vescovo Giampaolo Crepaldi all’ambasciatore si scopre che il motivo del rifiuto risiederebbe nel dubbio sul mantenimento dei giovani religiosi una volta arrivati in Italia. Crepaldi ha definito “stupefacenti” le motivazioni dell’ambasciata in Sri Lanka, che ha avanzato dei dubbi sulla buona fede dell’iniziativa della Diocesi.

Un diniego inspiegabile e soprattutto non motivato a fondo, tanto ce c’è chi avanza che il rifiuto abbia altre motivazioni. Fatto sta che l’ambasciatore, anch’egli funzionario di rango dello Stato italiano, ha potuto disporre con sostanziale arbitrio di una decisione che di solito viene evasa con ben altra solerzia. Soprattutto quando a garantire c’è una diocesi e non dei parvenu dell’accoglienza.

Laicismo latente? Anticlericalismo sotto traccia? Presto per dirlo. Di sicuro una decisione burocratica che non è stata in grado di tenere in conto il buon senso e la ragione.

Si torna sempre al punto di partenza: alla cecità di certi funzionari, che per pregiudizio o per ottusità possono disporre della vita delle persone. Il sonno della ragione appartiene alla politica, ma la burocrazia statale è sicuramente un buon compagno di letto.