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LEGGE SULLA CITTADINANZA

Indù contro musulmani, sanguinose tensioni religiose in India

Delhi, nei quartieri a maggioranza musulmana scoppia la guerriglia. Le manifestazioni dei musulmani contro la nuova legge sulla cittadinanza sono state infatti accolte da violente contro-manifestazioni dei nazionalisti indù. Dopo quattro giorni, il bilancio è molto pesante: 27 morti. I fragili equilibri religiosi dell'India sono a rischio

Libertà religiosa 27_02_2020
Scontri a Delhi

L’India ufficiale era in festa, accogliendo la coppia presidenziale americana Donald e Melania Trump, concludendo nuovi miliardari accordi militari e commerciali, rafforzando le relazioni con gli Usa. Ma a Delhi, nei quartieri nordorientali a maggioranza musulmana scoppiava la guerriglia. Le manifestazioni dei musulmani contro la nuova legge sulla cittadinanza sono state infatti accolte da violente contro-manifestazioni dei nazionalisti indù. Dopo quattro giorni, il bilancio è molto pesante: 27 morti e circa 200 feriti. Ieri è stata la prima giornata senza scontri, anche se la tensione resta alta. E dai quartieri musulmani è iniziato l’esodo.

La causa delle violenze fra musulmani e indù è la nuova legge sulla cittadinanza voluta dal partito nazionalista di governo, il Bjp. In base a questa riforma, indù, buddisti, giainisti, cristiani, sikh e parsi (ma non i musulmani) che dimostrino di essere fuggiti alle persecuzioni nei tre Paesi confinanti a maggioranza musulmana, Afghanistan, Bangladesh e Pakistan, possono chiedere la cittadinanza indiana in tempi dimezzati rispetto al passato, dopo 6 anni di residenza in India. La minoranza islamica dell’India (la maggior minoranza religiosa del Paese), oltre alle opposizioni laiche e di sinistra, sono insorte sin da subito con grandi manifestazioni.

A Delhi, domenica, i musulmani sono scesi in piazza di nuovo, ma uno dei leader locali del nazionalismo indù, Kapil Mishra, ha intimato alla polizia di far piazza pulita dei manifestanti entro tre giorni, oppure vi sarebbero state “gravi conseguenze”. Dopo aver radunato i suoi militanti, Mishra si è di fatto sostituito alle forze dell’ordine. Con la polizia incapace di reagire, i manifestanti delle due parti hanno iniziato a scambiarsi fitti lanci di pietre e ad incendiare tutto il circondario. Il momento di tensione peggiore, nel primo giorno di scontri, è avvenuto quando un uomo, poi identificato come Mohammed Shahrukh (arrestato la sera stessa), ha iniziato a sparare con la pistola contro i manifestanti e poi ha sfidato apertamente un poliziotto puntandogli la rivoltella in faccia. Il bilancio della prima giornata è stato già grave: sette morti e decine di feriti. L’episodio ha infiammato ancor di più l’opinione pubblica indù che lunedì e ancor peggio martedì ha assaltato i manifestanti musulmani, sempre approfittando di una polizia imbelle.

Le autorità hanno tentato, invano, di invitare alla calma. Il primo ministro dello Stato della capitale, Arvind Kejriwal (centrosinistra), si è detto “molto addolorato per le notizie che riportano il disturbo della pace e dell’armonia in alcune parti di Delhi”, ha invitato il ministro dell’Interno Amit Shah a ripristinare l’ordine, ritenendolo responsabile di quanto avvenuto. Ma il picco della violenza è stato raggiunto il martedì, quando gli indù hanno attaccato violentemente i musulmani e le loro proprietà, hanno anche danneggiato due moschee, distruggendo copie del Corano, dando loro fuoco e cercando di rimuovere le mezzelune dai minareti. Il bilancio complessivo delle vittime, fra domenica e martedì è stato di 27 morti e 189 feriti. Molti musulmani hanno abbandonato i quartieri colpiti per timore di nuove violenze e l’esodo è ancora in corso.

La polizia è finita di nuovo sotto accusa. Martedì è stata accusata dai musulmani di essersi schierata, praticamente, dalla parte degli indù, non intervenendo neppure di fronte alle peggiori aggressioni. Gli agenti hanno subito, dal canto loro, almeno 1 morto e 50 feriti. Dopo le peggiori giornate di fuoco, Kejriwal ha chiesto l’intervento dell’esercito. Il governo federale non lo ha accontentato, ma ha comunque fatto affluire nella capitale numerosi rinforzi della polizia e ha cambiato comandi e regole di ingaggio. Nella giornata di ieri, un assembramento di alcune centinaia di persone è stato sgomberato in poco tempo. La calma parrebbe essere tornata a Delhi, almeno per ora.

I cristiani, almeno per il momento, non sono direttamente coinvolti nei disordini. Esponenti della minoranza cristiana, tuttavia, si sono espressi con estrema chiarezza contro la nuova legge. Non è certamente una normativa che penalizza i cristiani in sé, anzi, li include nella lista delle minoranze perseguitate nei Paesi confinanti a maggioranza musulmana. Tuttavia mina, dalle fondamenta, il principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini (a prescindere dalla loro religione) di fronte alla legge. Ed è solo questo principio di tolleranza religiosa che finora ha tenuto in piedi un Paese con 1 miliardo di indù, quasi 200 milioni di musulmani, 30 milioni di cristiani, 24 milioni di sikh, 9 milioni di buddisti, oltre a zoroastriani, gianisti, bahai e altri culti. Un mosaico potenzialmente esplosivo che finora è stato tenuto assieme nonostante le ondate periodiche di violenze, ma che un governo a forte connotazione indù rischia di far esplodere.