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PARLAMENTO ISLAMICO

Iran, vincono i conservatori già prima del voto

Iran, il 21 febbraio le elezioni del Majlis, il parlamento della Repubblica Islamica, erano state vinte dai conservatori ancora prima di iniziare. L’organo di controllo, il Consiglio dei Guardiani, aveva eliminato dalle liste gran parte dei candidati conservatori. Ignota l'affluenza, il dato non è stato diffuso (quindi vuol dire che è bassa?)

Esteri 23_02_2020
Iran al voto

Iran, il 21 febbraio le elezioni del Majlis, il parlamento della Repubblica Islamica, erano state vinte dai conservatori ancora prima di iniziare. L’organo di controllo, il Consiglio dei Guardiani, aveva eliminato dalle liste gran parte dei candidati conservatori, giudicandoli troppo poco fedeli ai valori della rivoluzione islamica khomeinista. L’opposizione invitava al boicottaggio, tramite astensione dal voto. L’ayatollah Khamenei spronava il popolo a votare, definendo la partecipazione allo scrutinio un “dovere religioso”. I dati ufficiali sull’affluenza non sono ancora stati diffusi. Il che vuol dire che non è andato tutto bene per la Guida Suprema. Ora l’Iran ha un parlamento dominato dai conservatori, ma privo di quella legittimazione popolare che le massime cariche dello Stato islamico si attendevano.

La purga preventiva dei riformatori e dei moderati ha riguardato 6850 candidati, compresi i 90 membri più riformatori del precedente parlamento. Il Consiglio dei Guardiani, un organo non elettivo di 12 membri, che rispondono alla costituzione e alla Guida Suprema, ha il compito di selezionare i candidati in base alla loro fedeltà all’islam sciita, ai principi della rivoluzione khomeinista e soprattutto alla loro fedeltà all’attuale Guida Suprema. La durezza e le dimensioni della purga, in queste elezioni, si spiegano con il momento storico che l’Iran sta vivendo. All’estero va ricordata l’uccisione, da parte degli americani, del generale Soleimani, comandante delle Forze Qods (i pasdaran all’estero) e architetto della politica espansionista dell’Iran degli ultimi quattro anni. Dopo la sua uccisione e il breve scontro con gli Usa che ne è seguito, la Repubblica Islamica si è definitivamente ritirata dall’accordo sul nucleare, riprendendo il suo braccio di ferro con Israele, gli Usa e la comunità internazionale tutta sullo sviluppo di un’energia nucleare autoctona, probabilmente anche con scopi militari. Ma le sfide sono soprattutto interne. La ripresa delle sanzioni economiche statunitensi (sempre per la questione nucleare) ha provocato una grave crisi economica. Per protestare contro la crisi, la corruzione e le dure leggi religiose che reprimono la società, vari settori della società civile sono insorti. La repressione ha causato un numero non precisato di vittime (1500, secondo fonti dell’opposizione) e 12mila scomparsi. L’ultimo moto di protesta è iniziato per l’abbattimento, per errore, di un volo ucraino sui cieli di Teheran, con a bordo quasi tutti passeggeri iraniani, proprio durante il breve scontro con gli Usa seguito all’uccisione di Soleimani.

Non è affatto un mistero che le elezioni siano l’effetto e non la causa della politica iraniana. Vinsero i moderati negli anni Novanta, quando Clinton era più morbido con l’Iran e il Paese era relativamente stabile. Poi vinsero i falchi di Ahmadinejad quando negli Usa c’era Bush e nel Paese era già scoppiata, pochi anni prima, la grande rivolta studentesca. Poi con l’arrivo di Obama e della sua politica della “mano tesa” e dopo l’esaurimento definitivo dell’Onda Verde (il moto di protesta del 2009), il clima si è disteso abbastanza da consentire la vittoria dei moderati e riformatori di Rouhani, gli stessi che poi hanno ratificato in parlamento l’accordo di Vienna sul nucleare. Adesso il momento richiede, puntualmente, che il pendolo della politica iraniana si sposti dalla parte dei falchi. Dei 7000 candidati rimasti (poco più della metà) per contendersi i 290 seggi del Majlis, i conservatori erano già maggioranza schiacciante.

Già vinte a tavolino, le elezioni si giocavano solo sull’affluenza. Ed è per questo che Khamenei chiamava alle urne per “dovere religioso”, mentre leader della piazza ribelle, come Maryam Rajavi, invitavano all’astensionismo. Chi ha vinto? Secondo l’agenzia Fars, alla chiusura ufficiale dei seggi, alle 18 (ora locale), l’affluenza era ferma al 40%, dunque il 22% in meno rispetto alle precedenti elezioni. Ma allora le autorità hanno deciso di prolungare le operazioni di voto, rimandando la chiusura, più volte, fino alle 23,30. Il motivo ufficiale erano le “code” di elettori. Stando ai dati che sono trapelati, invece, era un modo per guadagnare tempo e spingere al voto anche i più riluttanti. Fatto sta che, contrariamente alle consuetudini, stavolta il dato sull’affluenza non è stato diffuso. Venerdì sera, il governatore della provincia di Teheran ha annunciato che non sarebbero stati annunciati i dati per provincia, senza fornire alcuna spiegazione sul perché. Poi, a livello nazionale, il ministro degli Interni, Abdolreza Rahmani-Fazli, ha dichiarato che i dati sarebbero stati diffusi il giorno dopo. A due giorni dal voto, oggi, non si conoscono ancora.

E’ evidente che ci sono stati problemi di affluenza. Khamenei non ha ottenuto la legittimazione popolare che desiderava per i suoi candidati favoriti. Che hanno vinto, comunque. Ha prevalso la lista guidata dall’ex sindaco di Teheran, Mohammad Bagher Qalibaf, che diverrà, salvo imprevisti, il prossimo presidente del parlamento. In vista di una sua (molto probabile) candidatura alle presidenziali, che si terranno l’anno prossimo.