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LO SCACCHIERE MEDIORIENTALE

Israele e le risoluzioni Onu: quale equilibrio?

Non si può avviare un processo di pace sulla base soltanto delle risoluzioni dell’ONU. Perché se è ragionevole che si pretenda il rispetto di quelle recenti, non si comprende il rifiuto di quelle del passato, che pure avevano stabilito delle situazioni equilibrate come  la creazione di due Stati, arabo e israeliano e lo status internazionale per la città di Gerusalemme.

Esteri 30_12_2016

Premeditazione, tradimento, disprezzo: queste parole grosse, poco consuete nella pratica delle relazioni internazionali , sono state sbattute in faccia a statisti, analisti politici e opinione pubblica mondiale in occasione della risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che – è ormai noto –  quasi unanime ( 14 si e l’astensione degli Stati Uniti) ha condannato la politica degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme est definendoli “ostacolo alla pace” . Quel che è accaduto ha  modificato, in maniera inattesa, lo scenario in cui si è da anni impantanato il processo negoziale  israelo-palestinese. Senza però aiutarlo, anzi rendendolo ancor più ostico.

Uno scenario scontato questo, in partenza,  per la reazione che  l’abbandono del sostegno diplomatico degli Stati Uniti al suo alleato di sempre,  ovvero la fine  dell’impunità in sede ONU,  avrebbe causato nello stato di Israele. Le intemperanze verbali contro il presidente Barak Obama   –  definito addirittura un “falso ipocrita filo-islamico”  – e le analisi di politologi  sul suo “voltafaccia” –  attuato proprio  in limine mortis del suo potere  –  si intrecciano intorno a due grandi interrogativi :  il perché di tutto questo  e le sue prevedibili conseguenze.

Nell’esporre la sua  road map per risolvere il conflitto israelo-palestinese, una sorta di “piano onnicomprensivo”  basato sul principio di due Stati per due popoli, il segretario di stato John Kerry ha sostenuto che con la prosecuzione della politica degli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme est lo Stato israeliano abbandonerà la sua democrazia e dominerà inevitabilmente il popolo palestinese. E’ questo l’avvertimento che con la risoluzione all’ONU tutta la comunità internazionale ha inteso dare. L’astensione americana al momento della sua approvazione ha inteso salvaguardare il mai rinnegato impegno a difesa della sicurezza d’Israele.

Kerry non l’ha detto, ma è molto probabile che questo programma volto alla ripresa del negoziato di pace sarà formalmente presentato  il 15 gennaio a Parigi alla conferenza convocata dalla Francia, alla quale però da tempo Israele si è detto contrario e quindi non vi parteciperà. (Privilegia una trattativa diretta e senza pre-condizioni con i palestinesi, che però non intendono affrontarla.  E molti analisti israeliani si chiedono oggi, polemicamente, perché mai Kerry non ha trovato il tempo per spingere il palestinese Abu Mazen a incontrare Netanyahu che l’ha invitato mille volte !)

L’attivismo  dell’amministrazione Obama è stato indubbiamente accelerato dalla consapevolezza che la nuova amministrazione presieduta da Donald Trump –  si insedierà alla Casa Bianca il 20 gennaio –  intende istradare gli Stati Uniti su altri e ben diversi percorsi di politica estera. ( Ha addirittura esorato Netanyahu ad attendere ancora pochi giorni per la svolta, non subirà più affronti).  Per cercare di far ripartire il processo di pace  israelo-palestinese,  Kerry si era impegnato  negli anni scorsi, più volte, in una spola tra Netanyahu e Abu Mazen senza conseguire alcun risultato; ed erano pure falliti gli sforzi di Obama, anzi erano cresciute le divergenze con Netanyahu  tanto da diventare oggetto di speculazioni.  

Obama aveva  risentito l’ amarezza di questi insuccessi, tanto più che gli era stato conferito, all’inizio del suo mandato e senza apparenti valide motivazioni, il Nobel per la pace . Alla fine, ha fatto il possibile per meritarselo. Ma se ha consolidato la pace e l’amicizia con il Giappone – con uno scambio di visite e di cerimonie colme di significato nei due luoghi più emblematici di una guerra folle: Hiroshima e, nei giorni scorsi,  Pearl Harbor –  ha operato con Israele in modo pesante, per nulla trasparente ( le cronache giornalistiche abbondano di retroscena , di trame vere e presunte , persino di minacce e pressioni nella elaborazione e creazione del consenso attorno alla risoluzione 2334) e soprattutto tardivamente.

In uno scenario, quello del Vicino e Medio Oriente,  di caos, guerra , distruzioni ed  emigrazioni , di conflitti d’interesse e strategici, che vedono protagoniste grandi potenze persino nella strumentalizzazione del Consiglio di Sicurezza, e perciò di fatto paralizzato. Ma che riesce a trovare unanimità di consensi soltanto contro Israele, l’ unico stato laico e democratico della regione. ( Quest’anno l’Assemblea Generale dell’ONU ha votato 18 risoluzioni contro Israele  e 12  il Consiglio di Sicurezza : più di quelle, insieme, su Corea del Nord, Siria, Sudan. E il Consiglio dell’ONU per i diritti dell’uomo ha finora votato  57 condanne di Israele, quattro dell’Iran, una dell’Isis , nessuna per Al Qaeda, Boko Haram, Hamas, Hezbollah, Jihad islamica).

Certo si possono affrontare i grandi problemi del processo di pace israelo-palestinese in attesa che si stabilizzi la situazione nella regione. Ma non si può avviare un processo di pace sulla base soltanto delle risoluzioni dell’ONU. Perché se è ragionevole che si pretenda il rispetto di quelle recenti, non si comprende il rifiuto di quelle del passato, che pure avevano stabilito delle situazioni equilibrate come  la creazione di due Stati ,arabo e israeliano, e lo status internazionale per la città di Gerusalemme. Tutti sappiamo che fecero promuovere ben tre guerre dei paesi arabi, tutte perdute, contro Israele.

Oggi la situazione è cambiata? Sembra di no. Il mondo palestinese, e quello arabo, non hanno modificato, e non lo possono,  i principi territoriali sui quali si stabilisce uno stato islamico, rifiutano in essi l’esistenza di  uno stato ebraico e la stessa città – nel caso addirittura Gerusalemme  –  come capitale. Per non dir d’altro. Israele ha sperimentato il rigetto palestinese di  soluzioni territoriali e di condivisione nel segno del compromesso, frutto di trattative svoltesi nel primo decennio scorso.  Ed ha continuato a sviluppare gli insediamenti per residenti ebrei in Giudea e Samaria – le due regioni della Cisgiordania, dopo aver abbandonato quelli nella striscia di Gaza – e ad estendere i quartieri satelliti attorno alla città di Gerusalemme, sui quali preme l’incremento demografico della popolazione.

Le costruzioni di appartamenti non sono però il principale ostacolo alla pace. Dev’essere superato innanzi tutto quello della fine dell’odio  tra nemici e accettato il principio della riconciliazione fra i due popoli  con una serie di iniziative  che preludano alla collaborazione in svariati campi, a cominciare da quello educativo e scolastico, e sviluppando quello economico. Una grande impresa che dovrebbe avere come protagonisti non solo i politici, ma anche i leader religiosi, nel superamento dell’invidia e la lotta ai fanatismi. In mancanza le lacerazioni si aggraveranno.