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MEDIO ORIENTE

Israele nel pantano, verso il voto per la terza volta

Israele: due elezioni in un anno non hanno dato una maggioranza. Netanyahu ha esaurito il suo mandato esplorativo e ha passato il testimone al centrista Gantz. Ma è possibile che si torni al voto per la terza volta. Giustizialismo contro Netanyahu e partiti arabi che forse appoggiano Gantz: due novità assolute nel panorama israeliano.

Esteri 26_10_2019
Benny Gantz

Israele è nel pantano post-elettorale: Benjamin Netanyahu, leader del Likud uscito dalla consultazione del 17 settembre secondo, con 31 deputati, ma forte dei 55 della coalizione di centro-destra, non è riuscito a formare un governo sostenuto dalla maggioranza parlamentare (61 seggi). Ha così gettato la spugna due giorni prima dei 28 giorni di tempo che si accompagnavano al conferimento dell’incarico ricevuto dal capo dello Stato Reuven Rivlin. Il mandato è passato ora al suo rivale Benny Gantz, leader del partito centrista “Bianco e Blu” premiato dagli elettori per numero di seggi (32, uno in più del partito rivale) ma con una più debole coalizione di sostegno, di 44 deputati. Potrà farcela?

A riprova della serietà dell’interrogativo, è emersa di nuovo ad aleggiare l’eventualità di una terza chiamata dell’elettorato alle urne nel corso dell’anno. Ne parlano apertamente i giornali, naturalmente con una serie di informazioni e riflessioni per nulla incoraggianti: innanzi tutto sull’irrigidimento delle principali forze politiche nella difesa di loro preclusioni, sulle quali si sono infrante le speranze di Rivlin di far nascere un governo di unità nazionale. Necessario dinanzi alla realtà conflittuale della regione, più inquietante “del solito” (a causa di grandi e piccole potenze).

Preclusioni di carattere personale incentrate prevalentemente su Netanyahu, da dieci anni alla guida del Paese, che non ha inteso mollarla quando, all’inizio dell’anno, il partito “Israel Beitenu” del russofono Avigdor Lieberman, si è ritirato dalla coalizione. Era insofferente del condizionamento dei partiti religiosi nel mantenimento di diversi privilegi per il loro elettorato (in particolare l’esenzione del servizio militare agli studenti delle scuole rabbiniche) e della mancata reazione bellica alle continue provocazioni – incendi e attacchi armati ai soldati – di decine di migliaia di palestinesi fondamentalisti alla frontiera di Gaza che tanti danni hanno arrecato all’agricoltura e alla popolazione anche di località lontane dal confine.

Netanyahu ha reagito indicendo elezioni politiche anticipate per il 9 aprile: sperava in un rafforzamento della sua coalizione, ma così non è stato. Trovatosi di nuovo nella impossibilità di contare su una maggioranza parlamentare, ha sollecitato l’elettorato a recarsi di nuovo alle urne. E neanche il 17 settembre, nel mantenimento del sistema proporzionale puro, si è modificato l’assetto delle formazioni politiche e degli schieramenti, salvo lievi variazioni numeriche come il rafforzamento del partito di Lieberman (segno di una significativa approvazione in una porzione dell’elettorato laico delle sue istanze) e la ricomposta coalizione dei partiti rappresentativi della minoranza araba (nella precedente tornata elettorale si erano presentati divisi e ne erano stati penalizzati).

E proprio poggiando sulla disponibilità di questa coalizione, dichiaratasi pronta a dargli un sostegno esterno, che Benny Gantz potrà cercare di costruire una maggioranza di 61 deputati. Ma si presterà a questa operazione sensazionale? Sarebbe infatti la prima volta che la minoranza di cittadini arabi condizionerebbe la politica dello stato ebraico! Ecco perché gli analisti della politica israeliana, evocando la prudenza finora dimostrata dall’ex capo di Stato Maggiore delle Forze Armate, ipotizzano una strada diversa.

È la via della “scomparsa” forzata di Netanyahu dalla scena politica ad opera della Magistratura. Un’operazione per nulla certa; ma neanche desiderabile in un paese che fino ad oggi si è detto orgoglioso di fondarsi su valori e principi democratici. (Israele è indiscutibilmente la sola democrazia del Vicino e Medio Oriente). Su Netanyahu pende l’accusa di corruzione, ma solo ipotizzata per dei contatti che si vorrebbero non chiari con chi gli avrebbe promesso appoggio giornalistico: potrà mai incriminarlo il procuratore generale Avichai Mandelbit? Appaiono risibili altre due presunte accuse, una di suo abuso di potere, l’altra di illecito profitto di cui si sarebbe resa responsabile la moglie.

Ma è quel che spera il partito “Bianco e Blu”, attendendo una decisione di questo procuratore per metà novembre, durante il periodo di tempo di 28 giorni legati al mandato esplorativo che Reuven Rivlin ha affidato a Benny Gantz. Ora se si è certi del basso livello dei contrasti e delle polemiche della lotta politica, si è pure scoraggiati dal fatto che ha portato al fallimento della insistente richiesta del capo dello Stato di far nascere un governo di coalizione fra Likud e “Bianco e Blu”, nell’alternanza del premierato tra i due leader.

Si dice che Gantz abbia così mantenuto la promessa elettorale di non entrare in un governo con Netanyahu “sotto incriminazione”. Ma ha agito dando a intendere che voglia soltanto tenerlo lontano. Da parte sua Netanyahu ha profittato del tempo del suo (inconcludente) mandato, rafforzando la sua coalizione, “tagliando l’erba” sotto i piedi di Gantz che spera invece di sfaldarla. Ecco perché l’ipotesi di nuove elezioni, le terze nell’anno, non appare un semplice esercizio mediatico.