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VOLTAFACCIA

Italia, è sempre l'8 settembre

Ennesima figuraccia del governo italiano che ha cercato di nascondere la partenza del cacciatorpediniere Andrea Doria, in missione per coprire i nostri militari in Libano. Forse che la segretezza su questi movimenti prepara il nostro coinvolgimento in Siria, con l'ennesimo voltafaccia?

Editoriali 07_09_2013
Il cacciatorpediniere Andrea Doria

L’Italia forse non entrerà in guerra sul fronte siriano ma la “sindrome da conflitto” sta colpendo i vertici politici e militari nazionali che nascondono agli italiani le informazioni circa gli impegni militari assunti. Invece di rendere conto con trasparenza ai contribuenti come vengono spesi i loro soldi il governo preferisce tacere. Negli ultimi anni la stessa “sindrome” non ha risparmiato il governo Berlusconi durante la missione italiana in Iraq, l’esecutivo Prodi circa la missione in Afghanistan, ancora il governo di centro-destra che negò le informazioni sui bombardamenti italiani sulla Libia nel 2011 e oggi ha colpito il governo Letta.

Il 4 settembre, grazie a indiscrezioni, fonti di stampa hanno raccontato della partenza del cacciatorpediniere Andrea Doria per il Mediterraneo orientale seguito dalla fregata Maestrale. Nessun organo ufficiale ne aveva dato notizia, né il Ministero né lo Stato maggiore della Difesa ma, come era facile immaginare, tenere nascosta la partenza per una zona di guerra di una nave con oltre 200 militari a bordo e almeno un migliaio di parenti stretti a casa è impossibile. 

La notizia non aveva del resto nessuna ragione per restare segreta perché è vero che il Doria ha raggiunto giovedì sera le acque del Mediterraneo Orientale dove incrociano le flotte russa, francese, turca e americana ma è altrettanto vero che (almeno per ora) la nave italiana non pare destinata ad essere coinvolta nella guerra alla Siria. La missione del Doria, ed eventualmente di altre navi, è infatti giustificata dalla necessità di fornire protezione contro eventuali rappresaglie dei siriani o dei loro alleati Hezbollah contro il contingente di caschi blu italiani schierato nel Libano meridionale nell’ambito della missione Unifil guidata dal generale Paolo Serra. I quasi 1.200 militari italiani non hanno armi pesanti, antiaeree e antimissile, mentre i 12 mila caschi blu sono schierati sul terreno non per combattere ma solo per assicurare la copertura dell’area da monitorare tra il fiume Litani e il confine con Israele. Il cacciatorpediniere Andrea Doria è una nave da difesa aerea dotata del  sistema antiaereo e antimissile PAAMS (missili Aster 15 e Aster 30) che garantisce una buona copertura contro attacchi dal cielo.

Gli sviluppi del conflitto siriano sono imprevedibili e se vedessero l’allargamento al Libano e ad altri Paesi vicini anche la nave e i caschi blu italiani rischierebbero di venire coinvolti. Forse è questa la ragione che ha indotto il governo a tenere sotto silenzio la missione del Doria e della fregata Maestrale che sembrava inizialmente pronta a partire da La Spezia per la stessa missione?  Di certo il governo ha rimediato una figuraccia che ricorda la vicenda dell’espulsione in Kazakhstan della moglie e della figlia del dissidente Muktar Ablyazov circa la quale tutti i massimi esponenti del governo negarono di esserne stati informati.

Il vice ministro degli Esteri, Lapo Pistelli, intervistato sull’argomento, ha parlato di improbabili “esercitazioni” in zone di guerra. Completamente all’oscuro della questione si era detto il sottosegretario alla difesa Gioacchino Alfano (Pdl). Tra la sera del 4 e la mattina del 5 settembre tutti i media hanno diffuso la notizia senza che nessuna fonte ufficiale si fosse ancora pronunciata. La prima a far sentire la sua voce è stata il sottosegretario alla Marina, Roberta Pinotti che, come riportato dall’agenzia Italpress, ha parlato dell’invio di due navi (Doria e Maestrale)  alla trasmissione Omnibus di La 7 giovedì mattina. Poche ore dopo però la Pinotti è stata smentita (o meglio, rerttificata) dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli. Dopo aver taciuto per tre giorni (il Doria pare sia salpato da Taranto lunedì sera) l’ammiraglio ha escluso in un’intervista a Rai News 24 l’impegno di altre navi oltre al Doria. Poco dopo le 11, un tardivo comunicato dello Stato maggiore della Difesa conferma la missione spiegando che “il cacciatorpediniere Doria è la sola unità navale attualmente diretta verso le acque del Libano”.

Perché tanti segreti? Il 20 agosto la marina francese ha inviato in quelle stesse acque il cacciatorpediniere Chevalier Paul, nave gemella di quella italiana, rendendolo noto senza reticenze mentre gli statunitensi comunicano regolarmente numero e nome delle navi presenti nel Mediterraneo per la missione in Siria. Fonti solitamente ben informate hanno riferito che a imporre il silenzio sulla missione del Doria sarebbe stato il Presidente del Consiglio. Anche se così fosse è difficile comprenderne le ragioni a meno che Roma non si appresti a “voltare gabbana” ancora una volta rimangiandosi la parola data e gli impegni assunti. Dopo aver escluso la partecipazione alle operazioni belliche contro Damasco (anche in caso di risoluzione dell’Onu) e aver aderito alla posizione della Ue contraria all’intervento, al G-20 di San Pietroburgo l’Italia è stata tra i Paesi che hanno firmato una dichiarazione che sembra preparatoria all’intervento militare.

Lo statement sottoscritto da tutti i Paesi interventisti (Australia, Canada, Francia, Giappone, Corea del Sud), Arabia Saudita, Gran Bretagna e Turchia) ma anche da Italia e Spagna attribuisce la responsabilità dell’attacco chimico del 21 agosto nei sobborghi di Damasco alle forze di Assad anche se gli esperti dell’Onu non si sono ancora pronunciati in proposito. Inoltre il documento aggiunge che di fronte alla paralisi del Consiglio di sicurezza dell’Onu nei confronti della guerra siriana “il mondo non può più aspettare”.

Quasi una giustificazione palese dell’intervento armato. Infatti  Russia e Germania non hanno sottoscritto la dichiarazione, Letta si. L’impressione è che Roma giochi la consueta partita ambigua schierandosi con tutti in attesa degli eventi. Pronta al salto della quaglia alla prima occasione utile o se gli alleati dovessero esercitare pressioni molto forti. In fondo facemmo così anche due anni or sono muovendo guerra alla Libia con la quale avevamo stipulato un Trattato di amicizia e di non aggressione. E poi basta guardare il calendario: manca poco all’8 settembre.