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IL PERSONAGGIO

Kenneth Minogue

Lo scorso 26 giugno è scomparso lo storico e filosofo Kenneth Minogue. Pochi come lui sono stati capaci di muovere critiche a quello che lo scrittore Harry Adams ha chiamato "il degrado del dogma democratico".

Cultura 05_07_2013
Kenneth Minogue

Nonostante due (solo due) dei suoi libri più significativi siano stati tradotti in italiano, La mente liberal (Liberilibri, Macerata 2011), del 1963, e La mente servile. La vita morale nell’era della democrazia (IBL Libri, Torino 2012), del 2010, lo storico e filosofo Kenneth Minogue, scomparso il 26 giugno all’età di 82 anni mentre rientrava dalle Galapagos dove si trovava per un meeting della Mont Pelerin Society, era noto nel nostro Paese solo a un piccolo gregge, segno non ultimo dell’endemico provincialismo e dell’imperdonabile ritardo in cui langue la nostra accademia.

Eppure pochi come lui sono stati capaci di muovere critiche sapide a quello che lo scrittore statunitense Henry Adams (1838-1918) ha chiamato “il degrado del dogma democratico”. Per Minogue il mondo contemporaneo è infatti vittima, sempre meno consapevole ma non per questo meno colpevole, di una deresponsabilizzazione che rende tutti incapaci di fronteggiare l’umana avventura con dignità. Ogni cosa si perde così in un vago conformismo spacciato per morale pubblica. L’avanzare, poi, di un sempre più incapacitante mito del “politicamente corretto” finisce per svuotare il senso della libertà che subito viene colmato dallo Stato onnipresente. In questo modo, sostituendosi al padre e a Dio, lo Stato si fa padrone delle vite degli altri, estorcendone persino il permesso e addebitandone addirittura il conto; e i cittadini, illusi si partecipare alla vita sociale in virtù di quella democrazia che saprebbe sistemare tutto, dai “princìpi non negoziabili” al traffico stradale, solo perché è capace di rendere tutto indifferente per via di opinione, sondaggio, maggioranze tracotanti e minorane aggressive, si arrendono spossati all’invadenza di governi e politicanti. I quali, per alimentare quel potere sulle anime e sulle cose che li mantiene in vita, si fanno dispensatori di “soluzioni” più gravi dei problemi che dovrebbero affrontare.

Kenneth Robert Minogue era nato l’11 settembre 1930 in Nuova Zelanda, ha fatto le scuole in Australia e la carriera universitaria in Inghilterra, accasandosi nel 1959 alla prestigiosissima London School of Economics. Sempre stuzzicanti e talora illuminanti sono i suoi Nationalism (1967), The Concept of a University (1974), Contemporary Political Philosophers (1976), Alien Powers: The Pure Theory of Ideology (1985), The Silencing of Society (1997) e Politics: A Very Short Introduction (1995), nonché i saggi raccolti in Thatcherism: Personality and Politics (1987) e Conservative Realism: New Essays in Conservatism (1996), da lui curati.

Attento osservatore del divenire contemporaneo, si è cimentato anche con il giornalismo di opinione su testate importanti come The Daily Mail, The Times e The Times Higher Education Supplement, ma anche il superbo periodico The New Criterion, fondato e diretto a New York sino alla scomparsa da un altro rimpianto gentleman della cultura occidentale anglofona, l’ebreo americano Hilton Kramer (1918-2012), e oggi proseguito dal suo pupillo, Roger Kimball. Senior Research Fellow alla Social Affairs Unit di Londra, diretta fino al ritiro a vita privata dall’indimenticato Digby C. Anderson, Minogue amava la musica classica e non ha disdegnato nemmeno la tivù, raggiungendo nel 1986 una certa notorietà sugli schermi di Channel 4 con un programma in sei puntate dedicato all’economia libera di mercato, cui diede un titolo non privo di una certa ironia, The New Elightenment.

Non manca mai, infatti, in pensatori di razza e di talento del suo calibro, una riflessione specificamente dedicata alla dimensione economica della libertà personale. Anzi, proprio pensatori come Minogue sono stati tra i più abili nel mostrare come la libertà economica della persona è la condizione materiale che permette concretamente all’essere umano di esercitare storicamente, e quindi anche civilmente e politicamente, il fondamentale diritto alla libertà, che altrimenti diviene mera speculazione teorica. In più, Minogue ha saputo prendere di petto in maniera seria uno dei nodi veri dell’intera faccenda: la non automatica coincidenza tra liberalismo filosofico (e noi aggiungeremmo teologico) e “liberalismo” economico, poiché non è affatto scontato che il relativismo morale debba essere il veicolo dell’economia di mercato o viceversa. Contribuendo a smontare l’idea che il liberalismo filosofico detenga il monopolio della libertà umana (e dell’economia libera), in una biblioteca ideale i suoi contributi sull’argomento starebbero benissimo accanto a Defending the Free Market: The Moral Case for a Free Economy (Regnery, Washington 2012) di don Robert A. Sirico (cofondatore e presidente dell’Acton Institute for the Study of Religion and Liberty di Grand Rapids, in Michigan) e Il libero mercato in una società cristiana (trad. it. con prefazioni di don Sirico e Roberto de Mattei, Edizioni Segno, Udine 2000) di Adolpho Lindenberg (ingegnere, imprenditore e docente universitario brasiliano).