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ABORTO

La 38a Marcia per la Vita, oggi a Washington

Un popolo che prega, 50 i vescovi. E parla Michele Bachmann, che domani replica a Obama sull'Unione.

Attualità 24_01_2011
I regret my abortion

 

Oggi si svolge a Washington la 38a Marcia per la Vita. Dal 1974, ogni anno, migliaia di persone da tutto il Paese si radunano nella capitale federale degli Stati Uniti per ricordare l’anniversario, il 22 gennaio 1973, della legalizzazione dell’aborto americano. Tutto avvenne attraverso una sentenza della Corte Suprema federale, emessa a conclusione del caso “Roe vs. Wade” (che poi si rivelò essere basato su un falso clamoroso) il quale ribaltò, con un colpo di mano (la Corte Suprema non ha compiti legislativi, ma solo di tutela della Costituzione), le provvisioni di legge a favore della vita nascente vigenti in molti Stati dell’Unione. Da allora, i non-nati americani sono stati calcolati in circa 50 milioni.

La prima Marcia fu lanciata, quasi 40 anni fa, da uno sparuto gruppo di persone. Si svolge sempre il 22 gennaio tranne quando la data coincide con un sabato o una domenica, come quest'anno. In questo caso, infatti, la Marcia viene posticipata al lunedì successivo. Così senatori e deputati federali, che durante il week-end  spesso tornano nelle città di origine e nei propri distretti elettorali, non hanno "scuse" per mancare.

Il gruppetto di pionieri delle origini oggi è un fiume in piena. L’anno scorso si sono registrati 250mila partecipanti (cifra enorme per gli standard delle manifestazioni americane) e per quest’anno si prevede la presenza di una cinquantina di vescovi cattolici che concelebreranno, la sera della vigilia, la Messa nel Santuario Nazionale dell’Immacolata Concezione di Washington. La basilica si trasforma del resto ogni anno in un “pio bivacco” che alloggia quelle decine di ragazzi che non possono permettersi gli hotel della capitale, e fuori c’è sempre freddo e gelo e neve, e che srotolano i sacchi a pelo dove c’è posto in cattedrale.

Chiunque abbia partecipato anche una sola volta all’evento fa fatica a scordarlo. E a trattenere la commozione. Un popolo intero, variopinto, con bandiere e stendardi del proprio gruppuscolo o del college, di ogni confessione religiosa, protestanti, ortodossi, ebrei, ma i cattolici sono in numero enorme, e “guidano” la Marcia, che canta, sfila, ma soprattutto prega. E chiede di tutelare la vita innocente dalla concepimento alla morte naturale. Non polemizzano, non contestano, non rivendicano. Semmai molti, anzi molte, indossano quel cartello che pesa come un macigno: «Mi pento del mio aborto», o, gli uomini, «Mi pento della paternità perduta».
Gente pacifica, tranquilla; non si sono mai verificati incidenti, follie, intemperanze.

Oramai è un fenomeno internazionale, la March for Life. Viene gente da ogni angolo del globo. Del resto la Marcia di Washington è un po’ la madre di tutte le marce per la vita che si svolgono oramai in diversi Paesi del mondo occidentale.

Ci sono amministratori, uomini politici, opinionisti, gente qualsiasi, e tanti, tantissimi giovani. Ci si trova di tutto, dai “rocker for life” ai più compassati mister in abito scuro. E il tema è l’aborto, certo, ma anche l’eutanasia (sfilano anche i parenti di Terri Schiavo), la sperimentazione sugli embrioni umani, la contraccezione, persino la castità prematrimoniale. Per questo vedere lì migliaia e migliaia di giovani, la maggioranza del popolo della vita, è un bel colpo d’occhio.

È pieno di Repubblicani, anche di uomini politici. Ma anche di “Democrats for Life of America” sul cui palco, nel 2006, Alveda King, nipote di Martin Luther King, parlò della difesa della vita umana prima d’incamminarsi lungo Constitution Avenue.

Il presidente George W. Bush jr. s’inventò, lo ricordano tutti, la telefonata di supporto ai “marciatori” al mattino presto, trasmessa mediante altoparlanti alle migliaia di partecipanti radunati nel Mall della capitale. Nel 2008, l’ultimo anno della sua permanenza alla Casa Bianca, invitò pure a colazione un paio di centinaia di pro-lifer con tanto di bimbi vocianti in sottofondo e mandò per l’ultima volta il saluto presidenziale. L’anno scorso fu invitato, ma Barack Obama non andò né telefonò. Lo hanno invitato anche quest’anno, i telefoni funzionano, vedremo.

Anche perché, in serata, si svolgerà, come sempre la "Rose Dinner" (nella Regency Ballroom dell'Hyatt Regency a Capitol Hill, l'albergo che ospita gli stand dei gruppi pro-life), vale a dire la cena di fund-raising durante la quale prendono tradizionalmente la parola personaggi pubblici di grande rilievo. Stasera la scena sarà di Michele Bachmann, deputata Repubblicana del Minnesota eletta come esponente dei "Tea Party" il 2 novembre scorso, luterana (e a chi le contestava che la sua Chiesa considera il Papa l'Anticristo ha risposto da tempo per le rime), nota per il proprio impegno sui "princìpi non negoziabili" in politica, ma soprattutto uno dei due membri dell'opposizione (l'altro è il deputato Paul Ryan, del Wisconsin, presidente del Commissione bilancio della Camera) che domani sera - questi i programmi - risponderà a caldo e in diretta televisiva (organizza il noto gruppo californiano "Tea Party Express") al presidente Obama appena questi avrà concluso il discorso sullo Stato dell'Unione.