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"DIRITTI" DEGLI OMOSESSUALI

La casta, la Concia e sua "moglie" Ricarda

Tra la bandiera arcobaleno dei gay
e quella a prevalenza rossa del suo partito, la deputata del Pd sceglie
la terza con scritto «Tengo famiglia».

Attualità 15_09_2011
Anna Paola Concia e Ricarda

 

In effetti, non deve essere facile dividersi tra due coerenze. Non di rado, infatti, accade che una coerenza confligga con un’altra e allora bisogna scegliere. Nel caso di Anna Paola Concia, il soggetto ha già scelto. E insiste. Vengo e mi spiego.

La brava collega Romana Liuzzo tiene su il Giornale una rubrica quotidiana di gossip politico, Chiacchiere da Camera. Nella puntata del 14 settembre 2011 un tassello riguardava la deputata Paola Concia, del Pd nonché omosessuale dichiarata, e sempre pronta a combattere per i "diritti" della sua categoria (quella dei gay; e anche quella partitica ma, a quanto pare, in subordine). Infatti, l’abbiamo vista in primissima fila nella battaglia (persa) per introdurre nel codice penale l’aggravante dell’omofobia. Cioè, se io ti do una pedata e tu per caso sei gay, pago il doppio. Il parlamento ha correttamente giudicato che la pedata è già punita nel codice e non si vede perché discriminare tra calciati. Anche perché le categorie protette cominciano a essere talmente tante da star vanificando, di fatto, il famoso motto «la legge è uguale per tutti».

Tornando alla nostra onorevole, è noto che la Concia si è "sposata" all’estero con la sua compagna tedesca Ricarda. In Italia il matrimonio tra omosessuali non è (ancora) ammesso e perciò le nozze Paola-Ricarda hanno dovuto essere celebrate in trasferta. Ora, succede che la Concia ha presentato regolare domanda affinché la sua assistenza sanitaria venga estesa alla "moglie" (?). Ma qui c’è un problema. Infatti, il regolamento della Camera italiana prevede il rimborso in questione per le coppie coniugate legalmente. Cosa che, nel caso Concia, non è, perché il suo "matrimonio" in Italia non è (ancora) ammesso.

È vero, la Camera e il Senato hanno già da tempo esteso la norma assistenziale ai conviventi more uxorio, data la "laicità" di non pochi parlamentari. Ma anche qui la Concia ha un problema, perché la Ricarda vive e lavora all’estero: le due "metà" si vedono quando hanno tempo. Dunque, non possono invocare nemmeno una stabile convivenza. Il garbuglio è, a tutti gli effetti, complicato e per risolverlo si dovrebbe - parliamoci chiaro - fare un favore alla Concia, derogando o cambiando i regolamenti. Tutto era più semplice, è vero, ai tempi in cui il matrimonio era ammesso solo tra etero e per giunta indissolubile. Ma la Costituzione non poteva prevedere l'"evoluzione" (chiamiamola così) del costume italico. Infatti non l’ha prevista e, oggi, offre il fianco - e anche qualcos’altro - a ogni vento interpretativo. Risulta che da ben due anni l’onorevole Concia si batta per l’estensione dell’assistenza sanitaria alla sua donna (?). Da qui il conflitto, cui accennavamo all’inizio, tra due coerenze.

L’altra è la lotta contro i privilegi della Casta politica, di cui la Concia e i suoi colleghi pidiessini hanno fatto bandiera in tempi, come i correnti, di crisi economica. Che fare, dunque? Battersi per il "diritto" che equivarrebbe a un privilegio, e non solo perché sarebbe letto come tale dall’opinione pubblica, o lottare contro tutti i privilegi della Casta, compresi i propri? A quanto pare, la Concia, divisa tra due bandiere, quella arcobaleno del movimento gay e quella a prevalenza rossa del suo partito, ha scelto la terza, quella su cui, come diceva Longanesi, sta scritto «Tengo famiglia».