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RAPPORTO TESO

La Cina e i timidi segnali di risveglio del Vaticano

Prima gli arresti da parte delle autorità comuniste, nella Prefettura di Xinxiang, di un vescovo, 7 sacerdoti e 10 seminaristi. Poi il Papa chiede preghiere per “i fedeli cristiani in Cina”. Un fatto che, insieme alla nomina del vescovo di Hong Kong e alle parole sugli uiguri, fa pensare a un cambio di atteggiamento del Vaticano, meno propenso ad appiattirsi sulla linea del regime cinese.

Ecclesia 25_05_2021

Margaret Thatcher diceva che “per ogni pacificatore idealista disposto a rinunciare alla propria autodifesa in favore di un mondo senza armi, c’è almeno un guerrafondaio ansioso di sfruttare le buone intenzioni dell’altro”. La Lady di ferro, probabilmente, non è un personaggio storico molto apprezzato in Vaticano, ma questa sua frase sembra fotografare a dovere l’impasse venutasi a creare nelle relazioni tra Santa Sede e Repubblica popolare cinese. La mano tesa al Dragone durante l’attuale pontificato continua ad essere ripetutamente presa a schiaffi.

Secondo quanto riferito da Asia News, infatti, tra giovedì 20 e venerdì 21 maggio la polizia della provincia di Hebei si sarebbe resa protagonista di un blitz in grande stile all’interno di una fabbrica convertita in un seminario. Dietro le sbarre sono finiti sette sacerdoti, dieci seminaristi e anche il proprietario dell’edificio. L’operazione repressiva, però, non si sarebbe fermata lì e sarebbe proseguita nelle ore successive con una vera e propria caccia al cattolico nelle case della zona per rintracciare i seminaristi sfuggiti alle manette.

Asia News ha raccontato di fedeli multati perché trovati in possesso di croci e immagini del Papa, poi sequestrate e distrutte dagli agenti. Ai domiciliari, inoltre, è finito anche monsignor Joseph Zhang Weizhu, consacrato clandestinamente nel 1990 e nominato da san Giovanni Paolo II alla guida della Prefettura apostolica di Xinxiang nel 1998. Il problema, però, è che Pechino non la riconosce in quanto tale e da sempre vieta al presule di svolgere il suo mandato. Non è la prima volta, infatti, che Zhang Weizhu viene arrestato dalle autorità locali: già nel gennaio del 2000 era stato accusato di “attività sovversiva” e privato della libertà per 18 mesi, fino al rilascio avvenuto nel luglio 2001.

Il cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, aveva detto ad ottobre che l’Accordo Provvisorio sulle nomine dei vescovi sarebbe stato prolungato ad experimentum per altri due anni. L’azzeramento della Prefettura apostolica di Xinxiang è l’ennesima mina unilaterale che compromette ulteriormente la riuscita dell’esperimento ed espone la Santa Sede ad un doloroso fallimento.

Potrebbe essere stata proprio l’enormità dell’accaduto a spingere Papa Francesco a citare (un vero evento) i cristiani cinesi al termine del Regina Caeli di domenica in Piazza San Pietro. Il Santo Padre, che durante il suo pontificato ha dimostrato di tenere molto all’apertura del dialogo con Pechino, non ha fatto un riferimento esplicito agli arresti ma ha invitato “ad accompagnare con la preghiera i fedeli cristiani in Cina” che ha detto di tenere nel profondo del cuore, augurandosi che “lo Spirito Santo li aiuti ad essere portatori del lieto annuncio”. Bergoglio ha ricordato, inoltre, che la Beata Vergine Maria “è invocata assiduamente dalle famiglie cristiane, nelle prove e nelle speranze della vita quotidiana”.

Parlare pubblicamente di “prove” quotidiane sembra smentire, quindi, il ritratto idilliaco che qualcuno tende a fare della vita dei cattolici in Cina. Nonostante la prudenza estrema, la notizia è che di fronte ad un’azione repressiva del governo cinese non c’è più il silenzio che si era visto lo scorso luglio in occasione delle proteste pro-democrazia ad Hong Kong, quando un messaggio di vicinanza alla popolazione locale era sparito all’ultimo minuto dall’Angelus.

Qualcosa è cambiato? Lo lascerebbe pensare anche l’incidente diplomatico di novembre, all’uscita del libro Ritorniamo a sognare, scritto con il giornalista Austen Ivereigh e nel quale Bergoglio aveva annoverato gli uiguri tra i “popoli perseguitati”. Una definizione che non era andata proprio giù alle autorità di Pechino abituate a negare la persecuzione ai danni della minoranza musulmana e che subito avevano replicato, bollando come “parole senza fondamento” quelle scritte dal Papa.

Un errore di valutazione? Considerato l’attento lavoro di revisione a cui sono sottoposti i libri-intervista papali e la rilevanza attribuita alla questione cinese dalla diplomazia vaticana, è difficile pensare che non si sia preventivata la scontata reazione della Repubblica popolare. Più credibile interpretare quell’uscita come un primo segnale di differenziazione rispetto al recente passato, se si mette in conto che soltanto un mese prima il cardinale Parolin aveva respinto con un certo fastidio il ricorso all’espressione “persecuzioni” per descrivere quanto avviene ai cristiani nel Paese della Grande Muraglia.

In un certo senso, la stessa nomina di padre Stephen Chow Sau-yan a nuovo vescovo di Hong Kong potrebbe essere interpretata come un timido segnale della volontà di non appiattirsi ulteriormente sulla linea di una controparte che, nonostante i numerosi ramoscelli di ulivo ricevuti, non rinuncia minimamente a mostrare i denti. A differenza di quanto si pensava, infatti, è stata scongiurata la nomina di monsignor Peter Choi Wai-man, il vicario della diocesi considerato vicino all’Associazione Patriottica. Per una delle nomine più attese e più delicate, Papa Francesco ha scelto di pescare una carta dal mazzo che conosce meglio, quello della Compagnia di Gesù, e di designare il Provinciale gesuita su cui non incombono sospetti di simpatie verso il governo centrale.

Dal momento che l’assegnazione della sede episcopale veniva data insistentemente per certa al gradito Peter Choi Wai-man, non è azzardato supporre che la decisione papale abbia lasciato con un po’ di amaro in bocca il governo centrale. Domenica 23 maggio, poi, il pensiero ai fedeli cristiani in chiusura del Regina Caeli; quegli stessi fedeli a cui le autorità comuniste non permettono di tenere in casa la croce e l’immagine di un pontefice che in tutti i modi ha cercato di costruire ponti verso Oriente. Che ne sarà dell’Accordo Provvisorio? Difficile immaginare che la Santa Sede possa sconfessare la politica d’attenzione messa in atto fino ad oggi verso la Cina, ma non è da escludere che di fronte a retate come quella di Xinxiang possa prevalere, alla lunga, un atteggiamento meno propenso ad ulteriori slanci in avanti.