Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Venerdì Santo a cura di Ermes Dovico
LA CRISI TRA CHIESA E PECHINO

La Cina e l'Altro: le ragioni di un'incomprensione

"Senza un principio del Male, da cui il pensiero cinese è libero, e senza il dogma della Verità, è logico che il conflitto tra verità e menzogna finisca per perdere la sua pregnanza". Le ragioni dell'inconciliabilità tra Cina e Occidente/Chiesa hanno una matrice ontologica. L'intervista a François Julllien

Attualità 16_02_2018

Molti hanno tentato di capire la Cina, un Paese che veramente ha dei tratti di grande impenetrabilità. Questo ha a che fare anche con elementi culturali profondamente radicati nel modo di essere e di agire dei cinesi. Una delle critiche che più è venuta fuori sui recenti sviluppi nei rapporti sino-vaticani da molti era proprio quella che da parte vaticana non si capiva bene la Cina e i rischi connessi con certe azioni e con certe concessioni.

Un pensatore acuto come François Julllien nel suo “Essere o vivere” ha detto: “All’origine del pensiero e dunque della morale cinese si trova infatti la relazionalità: la morale è un affare di soggetti, riguarda fenomeni di polarità e d’interazione, e l’“ essere due” è originario (come si evince dalla nozione di ren,仁, che si traduce con “umanità”: nella grafia comune sta per l’uomo e la cifra "2"). La contestualità, qui, è circostanziale: non si denuncia il proprio padre, sostiene Confucio. Soprattutto, il comportamento rituale non implica di fingere, ma di rispettare le forme invece che opporvisi, un rispetto inseparabile dal coinvolgimento interiore: visitando un tempio, Confucio pone una domanda su ogni usanza, benché conosca già la risposta; e un giorno aspetta che il principe sia uscito per andare a ringraziarlo...

Senza un principio del Male, da cui il pensiero cinese è libero, e senza il dogma della Verità, è logico che il conflitto tra verità e menzogna finisca per perdere la sua pregnanza. Anche il linguaggio è impreciso a questo riguardo: “diffondere divagando”, si dice in cinese (sa huang); “ingannare” (qi kuang); “abusare” (qi pian); “fingere” (zha) ecc. Non c’è un termine univoco che isoli il fatto (pseudos, mendacium, “menzogna”), che lo definisca come atto specifico e, insieme, lo riveli al pensiero come scandalo, o perlomeno come enigma”. Con questo in mente, ho pensato che approfondire come il cinese si percepisce fosse importante anche per capire quello che ci accade intorno. La Nuova BQ ne parla con Perry Johansson, storico ed educatore, esperto nella storia moderna e contemporanea della Cina e autore di un prezioso libro “The Libidinal Economy of China”. 

Lei ha parlato nel suo libro della relazione importante fra la Cina e l’Altro come di un concetto importante per capire la Cina stessa. Può spiegarci meglio?
Ho parlato dell'"Altro", non nel senso di un’altra persona, ma come il grande “Altro”,  quello che l’occidente rappresenta nelle relazioni internazionali, nella cultura, nell’essere il modello per la Cina di come si dovrebbe essere. È l’Altro simbolico, come troviamo in Lacan, qualcuno a cui tu guardi come un modello ma con cui hai anche una relazione conflittuale perché alla fine l’altro non è te stesso.

Nel suo interessante libro, in cui parla dell’economia libidinale in relazione alla Cina e al suo rapporto con questo "Altro" simbolico, viene fuori che questa relazione è sana o malata?
È una relazione, e questa è la cosa importante. Ho cominciato dagli anni ‘90 in cui c’era una nuova economia libidinale in Cina; prima avevamo una economia pianificata di stile sovietico, ma poi con l’arrivo del consumismo c’è stata una trasformazione che ha fatto evolvere questa economia libidinale, questo desiderare, questo volere le cose, il desiderio che guida anche la nostra economia in occidente”.

Perché ha usato la parola “libidinale”?
Questa parola è apparsa abbastanza tardi nel titolo del libro e significa alcune cose differenti: una fa riferimento al modo in cui è arrivata la cultura consumistica in Cina, ho studiato gli esempi relazionati alla pubblicità come la moda, il mondo della cosmesi. In fondo stavo studiando, in un certo senso, la femminilità e il desiderio trasposto dalle relazioni sociali a quelle dell’essere consumatori. Ma l’economia libidinale per la Cina è anche chiedersi la sua posizione in campo internazionale: per questo ho fatto molte ricerche nel campo della moda, cultura, prodotti, film, letteratura.

Dal suo libro si nota che lei considera la Cina come la parte femminile e l’occidente come quella maschile. Che cosa significa?
Il mio studio è cominciato considerando la cultura consumistica, la pubblicità, il ruolo della mascolinità e femminilità nell’ambito dei prodotti femminili e lì ho scoperto qualcosa che poi non era completamente nuovo e non limitato alla cultura consumistica, essendo stato investigato anche da altri studi: cioè il fatto che la mascolinità cinese era in un certo sensi castrata, l’uomo cinese nella cultura popolare non rappresentava veramente la mascolinità, come se fosse appunto castrato, non possedeva quella forza. Questo appariva nella cultura popolare che aveva a che fare con l’occidente. Negli anni ‘90 ci furono molti testi, soap opera ed altro che parlavano dell’incontro fra Cina e occidente - incontro che in precedenza non era stato possibile per ragioni politiche - e le donne occidentali erano rappresentate come mascoline e in questi ambiti (cioè quelli di cui ho parlato in precedenza), la relazione fra la donna occidentale e l’uomo cinese era che le donne erano come più mascoline degli uomini che apparivano, appunto, come castrati.

Ha descritto questa relazione come “isterica”...
Isterica in quale senso? C’è un riferimento a Freud, a Lacan. Questo ha a che fare con la tua identità sessuale, con la tua identità rispetto agli altri. Ho preso questo livello della relazione e l’ho trasportato a livello internazionale. Il nazionalismo degli anni ‘90 è arrivato quando i cinesi hanno capito il loro vero posto nel mondo, non quello delle fantasie al tempo di Mao Tse-tung che li faceva sentire al centro del mondo, ma hanno realizzato di essere un paese povero e in una posizione non vantaggiosa rispetto all’occidente. Ma allo stesso tempo, è stato anche il tempo in cui la Cina ha provato ad uscire fuori da questa situazione con delle riforme economiche. Quindi isterica perché la Cina non poteva più accettare la posizione che aveva tra le nazioni.

Alcuni pensano che la Cina vuole l’occidente ma senza gli occidentali, vuole essere come noi ma senza di noi. Pensa che sia una interpretazione che abbia fondamento?
È un argomento interessante che risolverebbe l’isteria di cui parlavamo, perché in questo modo ti liberi dell’Altro, non è più lì. La relazione è caratterizzata da questo, come fosse schizofrenica: vogliamo veramente essere come l’occidente, avere quel potere, la modernità, la forza....ma allo stesso tempo c’è questa aggressività, questa reazione isterica per cui l’occidente è l’Altro cattivo, la minaccia.

Non pensa che quello di cui parla potrebbe essere applicato per comprendere le difficoltà fra la Chiesa Cattolica e la Cina, fra il Cristianesimo e la Cina? Il Cristianesimo senza il suo elemento che appare a loro come occidentale?
Non so molto su questo argomento, ma intuisco che il problema con la Chiesa Cattolica sia che essa è un’organizzazione che in un certo senso somiglia quella del partito: un’istituzione centralizzata che comanda su una moltitudine. Quindi penso che essi si sentano minacciati e questo è accaduto anche nella storia europea quando la Chiesa era coinvolta, ci furono questo tipo di frizioni anche con altre entità politiche.