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LITURGIA E DINTORNI

La lezione dei tacchini sull’inquinamento (musicale)

Oggi, negli Stati Uniti, è il giorno del Ringraziamento e la memoria corre ai 300 tacchini morti anni fa a Baone per il panico generato dal frastuono di un rave party. Ormai si subisce inquinamento musicale in ogni luogo, anche in chiesa e durante la Sacra Liturgia. Si sono accantonati il gregoriano e la polifonia per passare a quelle che già il maestro Muti chiamava canzonette… non senza conseguenze

Ecclesia 28_11_2019

Gli Stati Uniti si fermano oggi per l’annuale Ringraziamento (Thanksgiving Day): una ricorrenza tra le più sentite - fin dal 1620, quando i Padri Pellegrini approdarono a Plymouth Rock (Massachusetts) - che si celebra il quarto giovedì di novembre per ringraziare il Signore del buon raccolto dei campi. Mentre rifletti su questo giorno, «in cui è d’obbligo mangiare il tacchino tagliato patriarcalmente dal capo di famiglia in persona» (Guido Piovene, nel Corriere della Sera del 20 dicembre 1950, p. 3), ti sovviene una notizia un po’ vecchia, ma tuttavia sempre interessante:

Trecento tacchini sono morti per il terrore causato dal frastuono di un rave party in campagna. È accaduto a Baone, piccola frazione del Padovano, qualche notte fa, dove i tacchini di un allevamento sono stati improvvisamente svegliati nel cuore della notte dai boati degli amplificatori attivati dai deejay che stavano tenendo un rave. I pennuti, terrorizzati, si sono ammassati contro una recinzione calpestandosi a vicenda. Alla fine, ne sono rimasti a terra senza vita circa trecento (La Repubblica del 26 luglio 2001).

E ti viene in mente che nei nostri difficili tempi, in cui si fa un gran parlare di «cura della casa comune», di emergenza ambientale e si invoca il «Dio dei poveri… affinché seminiamo bellezza e non inquinamento e distruzione» (Francesco, enciclica Laudato si’, 246), anche l’inquinamento musicale, cioè l’essere investiti da musica scelta da altri, dovrebbe trattenere la nostra attenzione.

Su questo fenomeno complesso, da non confondersi con l’inquinamento acustico, si comincia a studiare e parlare da qualche decennio (cfr. Giuseppina La Face Bianconi, Musica urbana: il problema dell’inquinamento musicale, Il Saggiatore Musicale, 2002, pp. 184-185). Già Immanuel Kant, nella sua Critica del giudizio (1790), quasi rilevava che le orecchie non hanno palpebre:

Alla musica è propria quasi una mancanza di urbanità, specialmente per la proprietà che hanno i suoi strumenti di estendere la loro azione al di là di quel che si desidera (sul vicinato), per cui essa in certo modo s’insinua e va a turbare la libertà di quelli che non fanno parte del trattenimento musicale; il che non fanno le arti visive che parlano alla vista, bastando che si rivolgano gli occhi altrove, quando non si vuol dare adito alla loro impressione (§ 53).

Si subisce musica, nella maggioranza dei casi di sottofondo, nei supermercati, tale che stimoli gli acquisti dei consumatori; nei ristoranti, tale che acceleri i pasti; nella liturgia, tale che…

Ora, non vorrai accusare di «mancanza di urbanità» pure la musica liturgica? O negare gli effetti di quella nuova Pentecoste, il Vaticano II cioè, che avrebbe fatto fiorire la Chiesa nella sua interiore ricchezza e nel suo estendersi maternamente verso tutti i campi dell’umana attività (cfr. Discorso di chiusura del I periodo del Concilio, 8 dicembre 1962)?

No, ma per similitudine puoi dire che, come il gruppo di tacchini di Baone voleva soltanto dormire, così vorrebbe soltanto pregare e lodare l’onnipotente Dio «l’assemblea» riunita intorno all’altare e «presieduta» dal sacerdote. E con una musica secondo le norme del Concilio e le paterne esortazioni che le accompagnarono.

Per esempio: «La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana: perciò, nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale» (Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, 116). Se metti piede in una chiesa durante la Messa, queste parole di una costituzione apostolica - che è un atto pontificio sulle materie più importanti - non restano in gran parte lettera morta, anzi ammazzata? «Nulla, semplificando, nel gregoriano, è casuale; come ciascun brano della Scrittura vive in collegamento ad altri - pensiamo al Nuovo Testamento come compimento dell’Antico - così ogni formula del canto della Chiesa allude ad altre poste in altri contesti per richiamarsi a vicenda in un fitto tessuto di citazioni teologico-musicali» (M. Rossi, Le cetre e i salici, Verona, Fede & Cultura, 2015). Questo canto così adatto al culto, alla cui base si erano formati repertori già nel II secolo, questo canto denominato “Gregoriano” quasi cinque secoli più tardi, che ha la qualità peculiare di essere parte integrante della liturgia e Parola fatta suono, ormai si può dare per ferro vecchio?

No, - tu dici tra te e te - la tradizione musicale della Chiesa, che i secoli trascorsi hanno reso gloriosa, soprattutto nelle sue espressioni più alte del gregoriano e della polifonia, non rimarrà a lungo sfigurata dall’inquinamento musicale di volgari canzonette, composte da autori improvvisati, sfuggiti alla fatica persino di scrivere versi rimati; di motivetti accompagnati da chitarre zappate, e per giunta amplificate.

Ti hanno detto per anni che tutto questo serve ad attirare i «giovani», poi vedi zappatori di chitarra dai peli grigi e dalla calvizie incipiente, strimpellatori per i quali amore è «sospiro acerbo de’ provetti giorni» (Giacomo Leopardi, Il passero solitario, 21). La musica pop di costoro non riuscirebbe forse più gradita in qualche associazione ricreativa e culturale italiana (Arci)?

Sono solo canzonette! Parola di Riccardo Muti:

La storia della musica deve molto alla Chiesa e non mi riferisco solo al periodo gregoriano che è strepitoso, ma anche ai giorni nostri. Ora io non capisco le chiese, tra l’altro quasi tutte fornite di organi strepitosi, dove invece si suonano le canzonette. Probabilmente questo è stato apprezzato all’inizio come un modo di avvicinare i giovani, ma è un modo semplicistico e senza rispetto del livello di intelligenza delle persone. Perché allora mettere quattro-cinque ragazzi di buona volontà a strimpellare delle chitarre o degli strumenti a plettro con testi che non commento? E poi se si sente l‘Ave Verum di Mozart in chiesa, sicuramente anche la persona più semplice, più lontana dalla musica può essere trasportata in una dimensione spirituale. Ma se sente invece canzonette è come stare in un altro posto (Asca, 21 maggio 2011).

Stai considerando un inquinamento degli spiriti non meno preoccupante di quello ambientale e ti auguri che anche l’ecologia liturgica preoccupi quanti hanno a cuore e hanno responsabilità della salvezza delle anime.

Poveri tacchini di Baone! E poveri fedeli di Cristo!