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PRETI COL COVID

La Messa è finita (tra pizzate e mercato equosolidale)

La facilità con cui i vescovi hanno chiuso le chiese durante il lockdown dà i primi "frutti": una volta era la fonte e il culmine della vita cristiana, ma adesso la Messa può essere sospesa come un qualunque altro servizio parrocchiale, tra la pizzata dell'oratorio e il mercatino per le missioni. In una parrocchia romana tutti i preti hanno il Covid. Per un po' sopperiscono i confratelli, poi il parroco chiude tutto: «Mica possiamo tenere aperto solo per la Messa mentre gli altri servizi sono chiusi».

Editoriali 19_09_2020

Giornali e agenzie l’hanno derubricata come notizia-curiosità. Una piccola distrazione nel mare magnum delle news di giornata. Ma la decisione della parrocchia di San Gregorio Magno di Roma, di sospendere tutte le messe a causa del contagio di tutti e tre i preti, è la summa che mostra fino a che punto la Chiesa si stia arrendendo alla pandemia e di come sia diventato semplice ormai togliere una Messa per una qualunque scusa.

Niente Messe dunque nella parrocchia di Piazza Certaldo, zona Portuense, per almeno un’altra settimana. La decisione presa dal parroco don Stefano Meloni è clamorosa, ma rischia di passare inosservata.

«Fortunatamente stiamo bene. Tutto è partito da una suora che aveva alcuni sintomi. Dopo aver fatto il tampone è risultata positiva. A quel punto c’è stato lo stesso esito per i due sacerdoti, mentre io ero negativo – ha detto il parroco -. Dopodiché, il 30 agosto, anch’io sono risultato positivo al primo tampone. Abbiamo fatto il secondo il 12 settembre e l’esito era lo stesso. Il prossimo lo faremo domani, siamo in contatto con l’Asl e sapremo il risultato verso martedì. Speriamo di essere negativi e di poter ricominciare a celebrare le messe, dopo aver sospeso tutto».

Così su Facebook la parrocchia ha comunicato ai fedeli che «la chiesa rimane comunque aperta per la preghiera dalle 7 alle 12 e dalle 16 alle 19 ma non saranno presenti i sacerdoti. Comunicheremo la ripresa appena ne avremo di nuovo la possibilità».

Fin qui la cronaca.

Al telefono con la Bussola, don Meloni ha spiegato che «non possiamo più contare sull’aiuto dei sacerdoti delle parrocchie vicine, che in queste due settimane ci hanno gentilmente sostituito, così dobbiamo necessariamente sospendere le celebrazioni feriali e festive». In effetti, verrebbe facile facile pensare che nella Città eterna almeno qualche prete per dieci giorni, tempo di una quarantena, possa sostituire tre confratelli malati. Mica cinquanta. In una città, per giunta, come Roma nella quale dalle 6 alle 8 di mattina su ogni altare di San Pietro si celebrano Messe, poi… figuriamoci se i tanti vicari di Roma non sono in grado di trovare dei preti che si trasferiscano per dieci gironi alla Magliana…

Invece la risposta di don Stefano mostra che il problema non è tanto la ricerca di sacerdoti. «No, non è solo questo – spiega alla Bussola con romanesca nonchalance – è che poi con la Messa, ci sono i battesimi, e poi i funerali e poi l’ufficio deve restare aperto. Insomma, non si può togliere tutti i servizi e lasciarne aperto solo uno. Così abbiamo deciso di sospendere tutto».

Il ragionamento non fa una grinza. Mica la Messa penserà di essere davvero la fonte e il culmine della vita cristiana? Insomma, ci sono tutte le altre attività pastorali che reclamano…se sta ferma la fotocopiatrice allora chiude i battenti anche il tabernacolo.

«Comunque – rassicura don Stefano – il cardinale De Donatis (vicario del Papa per la diocesi di Roma) è assolutamente informato e d’accordo». E non avevamo dubbi, visto che De Donatis è stato coinvolto, col Papa, nella storica serrata delle chiese di Roma al tempo del lockdown.

Il problema però non è solo per le attività pastorali sospese. La decisione di sospendere la Messa e di trattarla al pari di tutte le altre attività di una parrocchia è la definitiva trasformazione della celebrazione dell’Eucarestia in un mero servizio. Come tutti i servizi, l’agenzia Chiesa può decidere di sospenderla per qualunque motivo. Un servizio, dunque. Non un obbligo, non un appuntamento indispensabile e insostituibile per la vita cristiana, ma un servizio come un altro, inserito, quasi casualmente, tra la pizzata del sabato della polisportiva dell’oratorio e la mostra mercato equosolidale per le missioni diocesane.

La decisione rivela anche quanto a febbraio e marzo, con la serrata delle chiese, si temeva. Chiudere Messe e chiese la prima volta è stato facile facile. La seconda volta, come sempre, è sempre più semplice e meno problematica. E la terza, non dubitiamo, sarà ancora più in discesa. Merito dell'arrendevolezza dei vescovi di fronte alle pressioni - pur non invincibili - del governo. Arriveremo alle chiusure per turno, come le macellerie di paese…