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La nave di Pietro e la Croce, promessa di eternità

La Deposizione di Cristo di Caravaggio sorprende il gruppo dei discepoli più fedeli nell’atto drammatico di seppellire il loro Maestro. La loro fede è più che mai messa alla prova. Ma se il corpo di Gesù è morto, pare solido e fermo come il timone della nave di Pietro. Sembra l'immagine della Chiesa in questo preciso momento storico. Di fronte allo sgomento di un mondo in frantumi, Papa Francesco riafferma la forza della croce come segno vincente della storia.

Cultura 24_03_2013
La Deposizione di Cristo

Sembrava morta, ai più, la Chiesa di Benedetto XVI. Per alcuni, benché intimoriti dalla corale acclamazione di santità fatta a papa Ratzinger dopo quel fatidico 11 febbraio 2013, le dimissioni del Papa furono il primo segno di un cedimento inevitabile per l’istituzione della Chiesa, considerata ormai incapace di resistere ai marosi del progresso.
Eppure qualcuno aveva già visto tutto ciò. Qualcuno leggendo con acuta riflessione e spirito libero, e alto, il Vangelo aveva già raccontato lo sconcerto di questa nave, quella di Pietro sottoposta ai venti più feroci. Quest’uno è Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio.

La vela della Chiesa e il suo timone. È proprio questa l’immagine possente che ci restituisce il Caravaggio nel dipinto Deposizione di Cristo, ora ai Musei Vaticani, ma destinato, probabilmente, alla Chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma. L’opera commissionata al Merisi da Girolamo Vittrice è stata realizzata dall’artista tra il 1602 e il 1604 e sorprende il gruppo dei discepoli più fedeli nell’atto drammatico di seppellire il loro Maestro, il Signore e Salvatore nel Sepolcro.
Il grido di disperazione di Maria di Cleofa, espresso attraverso le braccia tese, si dilata all’intero gruppo costituendo un ideale abbraccio protettivo. Al suo interno si consuma il dramma della fede.

Le ultime ricerche sul dipinto han visto emergere, dietro questa donna, a tutto tondo una rigogliosa pianta di fico, duplice rimando biblico all’antico giardino dell’Eden e alla primavera dell’amore promessa nel Cantico dei Cantici.
L’albero di fico, infatti, a motivo del rimando alle foglie con cui si sono rivestiti i progenitori dopo il peccato e per la configurazione delle foglie che permette di avere luce pur rimanendo seduti alla sua ombra, è diventato – all’interno della tradizione biblica – l’albero della Sapienza. Lo sapeva certo il Merisi, attento osservatore delle opere dell’altro Michelangelo, il Buonarroti, considerato da Caravaggio suo ideale maestro. Il Buonarroti, infatti ritrae, nella Cappella Sistina, i progenitori nell’atto di cogliere dall’albero dell’Eden un fico (e non una mela come vuole l’iconografia tradizionale).

Quel fico annuncia dunque la sconfitta del peccato primordiale e, seguendo la poetica del Cantico dei Cantici annuncia una nuova primavera dello Spirito. Lo stesso che soffia in questa Chiesa apparentemente sbattuta dal vento della morte del suo Fondatore.
Non posso fare a meno di pensare alla pagina della Chiesa che stiamo vivendo. Non è forse questa la sfida che cade sotto i nostri occhi quotidianamente, quella che ferì ripetutamente il cuore del Papa emerito Benedetto? Non è forse la diatriba sull'origine misteriosa dell'uomo? Non siamo forse in mezzo a una generazione che vuole metter mano di nuovo a quel fico, con le teorie sul "gender", con la manipolazione genetica, con l'eutanasia?

Sì, siamo qui, anche noi sotto quel fico con una Maria di Cleofa urlante per lo scandalo e per la perplessità di fronte a ciò che i più vendono per "naturale".
Ma ecco che arriva un Papa, Papa Francesco, che sorprende tutti, additando in quello stesso fico il segno certo della speranza. Per papa Bergoglio il dolore, lo scandalo delle piaghe presenti anche nella Chiesa non turbano la perenne verità del Vangelo. Cosí ecco, davanti a Maria di Cleofa, la Maddalena con il suo pianto invita a inabissarsi nel dolore che qui viene rappresentato. Il corpo del Cristo sorretto dall’Evangelista Giovanni a sinistra e da Nicodemo a destra, è inequivocabilmente morto, eppure pare solido e fermo come il timone di questa enorme nave di Pietro.

Il mare che solca sifatta nave è quello della morte, rappresentato dalla pietra sepolcrale che con il suo angolo semi illuminato sembra indicare il destino ineluttabile di ogni uomo.
Su questa pietra sepolcrale immensa, i discepoli stanno con la forza che viene loro da quel corpo. Si comprende pertanto come nella collocazione originaria dell’opera, i fedeli nel momento della celebrazione eucaristica, quando il Sacerdote sollevava l’ostia, si trovavano a guardare al Sacramento, alla Croce che adornava l’altare e, sul retro, al Corpo purissimo del Salvatore che, benché morto, nell’assenza assoluta delle piaghe, annunciava già la risurrezione.

Chi ci guarda, l’unico che ci guarda del gruppo dei discepoli, è Nicodemo, vestito con tunica corta e cintura di cuoio alla vita, abbigliamento tipico dello scultore.
Nicodemo, che incontrando Gesù di notte aveva ricevuto la rivelazione della croce: quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me, è considerato dalla tradizione cristiana antica l’inventore dei crocifissi. Il primo scultore, quindi, della storia cristiana. Non fa meraviglia che Caravaggio dia a Nicodemo il volto di Michelangelo Buonarroti. La critica più recente ha voluto vedere in quel volto Girolamo Vittrice, committente dell’opera, ma la somiglianza con il celebre genio del Cinquecento è indiscutibile e non è, tra l’altro, l’unica citazione che Michelangelo Merisi fa di quel suo grande omonimo.

La figura di Nicodemo con il suo prepotente rimando alla croce mi ricorda ancora Papa Francesco che di fronte allo sgomento di un mondo in frantumi riafferma la forza della croce come segno vincente della storia.

L’unica figura che abbraccia totalmente il gruppo dei discepoli e il Cristo è la Madre. Invecchiata dal dolore e avvolta nel manto blu della sofferenza, questa donna è l’albero maestro della nave di Pietro. Con gli occhi fissi su Gesù, autore e perfezionatore della fede, allarga le braccia toccando i confini della tela come se fossero i confini del mondo.
La mano destra, quella più luminosa situata alla sinistra del dipinto sopra il capo di Cristo, si tende verso una oscurità che indagini a raggi X hanno rivelato essere occupata dalla porta spalancata del sepolcro.

Quella mano di Maria, dunque, annuncia la speranza. Annuncia quel vento di salvezza che permetterà alla Chiesa di solcare il mare tortuoso dei secoli. Perpendicolare alla mano di Maria, infatti possiamo scorgere, alla base della pietra sepolcrale la pianta di tasso barbasso. Pare indicata, quasi, dalla mano del Cristo e dal suo lenzuolo, unico testimone della resurrezione.
Questa pianta con le sue foglie carnose, fu preferita spesso da Caravaggio (ma non solo perché la utilizzò nel suo capolavoro anche il Manzoni) per segnalare la certezza della risurrezione.
In quella timida pianta nascosta, dunque la risposta silenziosa di Dio al dramma dell’uomo. La chiesa, scossa dai venti della storia troverà sempre nella promessa di eternità che il Crocifisso risorto le ha lasciato in eredità la forza nuova per conquistare gli uomini al Vangelo. E questa è pure la forza misteriosa e nascosta nella semplicità profonda di Papa Francesco.