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DIPLOMAZIA

La "Nuova Europa" rappresentata a Gerusalemme

Chi c'era e chi non c'era alla cerimonia del trasferimento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme: è importante per capire il posizionamento su Israele dei vari paesi. Fra gli invitati europei, c'erano anche 4 membri dell'Ue che sono andati contro alla linea dettata da Bruxelles: Austria, Ungheria, Repubblica Ceca e Romania. Ecco perché.

Esteri 15_05_2018
Benjamin Netanyahu (S) e Ivanka Trump (D)

Il presidente Usa Donald Trump ha mantenuto la sua promessa e ha trasferito l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, applicando una legge ormai in vigore da un paio di decenni, ma sempre rimandata ogni sei mesi, da tutti i suoi predecessori. Il trasferimento non è solo un gesto simbolico, né un modo per accorciare i tempi e risparmiare il carburante ai diplomatici che dovevano finora far la spola fra le istituzioni di Israele a Gerusalemme e l’ambasciata a Tel Aviv. Si tratta, invece, di un riconoscimento anche formale di Gerusalemme quale capitale dello Stato di Israele. Contare chi c’era e chi non c’era, è ora fondamentale per capire quali saranno i posizionamenti dei vari Stati nei confronti di Israele.

Su più di ottanta invitati, hanno risposto all’invito in 34. Fra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu c’erano solo gli Usa. Fra i paesi dell’Unione Europea c’erano 4 Stati. Più altri paesi candidati o aspiranti a farne parte, specialmente nell’Est europeo. Interessante capire quali e perché. I paesi membri che hanno partecipato, con una delegazione, alla cerimonia della nuova ambasciata americana, sono: Austria, Repubblica Ceca, Ungheria e Romania. “So che Benjamin Netanyahu ha detto un paio di volte che si aspetta che altri seguano la decisione del presidente Trump di spostare l'ambasciata a Gerusalemme. Può tenersi le sue aspettative per altri, perché da parte degli Stati membri dell'Ue questa mossa non arriverà”. E invece è arrivata. Da ben quattro membri. Cosa accomuna quei quattro Stati? I loro leader, tutti, a prescindere dal loro schieramento e matrice ideologica, classificati come “populisti” e critici nei confronti dell’Ue. Non solo: in prima linea nel combattere la politica pro immigrazione e pro-multiculturalismo di Bruxelles.

Repubblica Ceca e Ungheria sono al centro del “gruppo Visegrad”, i quattro paesi (che includono anche Polonia e Slovacchia) dell’ex blocco sovietico, pre-esistente al loro ingresso nell’Ue (il gruppo, detto V4, è nato nel 1991, quando la Cecoslovacchia era ancora unita). Nato per creare un dialogo fra nascenti democrazie appena uscite dal totalitarismo comunista, adesso le quattro repubbliche ormai mature si distinguono per le loro scelte “sovraniste”, a tutela dei loro interessi nazionali, prima che di quelli europei. La Repubblica Ceca del presidente Milos Zeman e l’Ungheria del premier conservatore Viktor Orban, sono l’epicentro (non solo geografico) di questo gruppo. Alcuni commentatori si spingono a definirli “il cuore di tenebra” dell’Europa. E a proposito del Cuore di tenebra, il cancelliere Kurz (che si chiama, appunto, come il misterioso colonnello del romanzo di Conrad) si sta ricollocando politicamente come paese partner più avanzato del gruppo Visegrad, riassumendo, con metodi molto più aggiornati e meno coercitivi, quel ruolo che era di Vienna ai tempi dell’Impero. Non più ruota di scorta della Germania, insomma, ma guida dei paesi mitteleuropei.

Infine c’è la Romania, che è al di fuori del gruppo Visegrad e non c’entra nulla con l’Austria e il suo passato, ma ha un leader carismatico, Liviu Dragnea, molto vicino alle posizioni di Orban e Zeman, benché sia alla testa del locale partito socialdemocratico (il Psd). Non è lui il premier rumeno, è presidente della Camera e leader della formazione socialista. Ma è di fatto lui alla guida. Anche in questa circostanza, pur mettendo in imbarazzo il presidente Iohannis (liberale, europeista) e la premier Viorica Dancila (socialdemocratica, prima donna capo del governo), ha subito lanciato il cuore oltre l’ostacolo, annunciando lui lo spostamento dell’ambasciata rumena da Tel Aviv a Gerusalemme. E la Romania, assieme alla Repubblica Ceca, è uno dei due Stati europei che, almeno a parole, si è detta disposta a trasferire la sua sede diplomatica.

“Siamo parte della civiltà europea. Se guardate al Medio Oriente, l’Europa arriva fino a Israele. Ecco quanto”, aveva dichiarato l’anno scorso Netanyahu, ospite del vertice Visegrad. “I Quattro di Visegrad condividono con Israele il concetto che la difesa dei confini sia fondamentale. Il libero movimento delle persone solleva rischi di terrorismo”, aveva risposto Viktor Orban, in quell’occasione. Sostanzialmente è questo scambio di battute che spiega tutto. Quello del gruppo Visegrad non è solo e non è tanto un atto di rottura, per protesta contro una Ue che non sentono affine. E’ un atto di principio, a favore di uno Stato che, pur essendo in Medio Oriente, è culturalmente e politicamente vicino. Il fatto che ci sia un uomo come Benjamin Netanyahu al governo, conservatore e detestato da media e classi politiche europee occidentali, facilita l’amicizia con questi leader “di rottura”.

Interessante notare, poi, che alla cerimonia hanno presenziato anche tre Stati candidati all’ingresso nell’Ue, l’Albania, la Macedonia e la Serbia, e due Stati che vorrebbero entrare, ma sono costantemente respinti: l’Ucraina e la Georgia. La Serbia e la Macedonia seguono una linea politica molto affine ai paesi membri del gruppo Visegrad. Negli altri casi, conta di più l’amicizia con gli Usa e la sincera vicinanza con la comune causa pro-Israele. L’Albania, almeno dall’intervento Nato in Kosovo, resta il paese a maggioranza musulmana più amico degli Stati Uniti. E’ un’eccezione anche la sua storica (da un ventennio) amicizia con lo Stato ebraico. La Georgia ospitava la comunità ebraica più numerosa dell’ex Urss. Anche se questa si è notevolmente ridotta dopo l’indipendenza georgiana e la prima guerra civile, restano forti legami storici, commerciali e militari fra i due paesi. L’Ucraina, benché sia dipinta, dalla propaganda russa, come un paese governato da un esecutivo “nazista”, ha invece molte affinità con Israele. A partire da due premier di fila di origine ebraica. Sono tutti paesi alleati degli Stati Uniti, che preferiscono mantenere un solido legame con Washington piuttosto che farsi intimidire da Bruxelles.