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STORICITÀ DEI VANGELI

La Passione, tra Vangeli coerenti ed esegesi meno

Il calendario in una mano e le Scritture nell'altra: la precisione capillare del racconto sacro mozza il fiato. Nulla è lasciato al caso.

Attualità 11_04_2012
Ecce Homo

 

La lettura puntuale del Vangelo rivela che Gesù è sempre molto attento agli orari e, più in generale, al tempo scandito. Ogni appuntamento è l’occasione per riconoscere un dono di Dio nel tempo che scorre, all’alternarsi del buio e della luce, delle stagioni, dei cicli lunari e delle festività che il popolo ebraico ha stabilito per celebrare la memoria degli interventi di Dio nella storia. Non deve quindi sorprendere il frequente riferimento di cui Gesù e gli evangelisti fanno uso indicando le modalità con cui la società di allora soleva rapportarsi con il tempo. Ne consegue che, per cogliere pienamente il significato di queste puntuali annotazioni, è necessario conoscere con sufficiente precisione il sistema di riferimento globale.

All’epoca in cui il Figlio visse l’Incarnazione non erano ancora disponibili gli orologi moderni, ma una conoscenza diffusa della natura e l’osservazione della medesima permettevano ugualmente una scansione accurata del tempo. Quando il Sole spunta sopra l’orizzonte è l’orario esatto dell’alba e quando esso scompare sotto la linea dell’orizzonte è il preciso orario che viene chiomato tramonto. Tuttavia, l’osservazione solare consente di vedere che i passaggi dal buio alla luce e viceversa sono graduali: i primissimi chiarori anticipano l’alba di circa un’ora e mezza, mentre il buio fitto segue il tramonto di altrettanti minuti. Dopo l’alba, il Sole rimane dapprima basso, per salire progressivamente verso il punto più alto nel cielo (mezzogiorno), raggiungendo a metà mattina un’intensità luminosa considerata “piena”; nel pomeriggio, invece, a un certo punto il Sole inizia sensibilmente a declinare, allungando le ombre: entrambe queste situazioni, tra l’alba e la metà del mattino, e dopo la metà del pomeriggio fino al tramonto, erano distinguibili e distinte nello scandire i tempi del giorno. Anche la notte ha un proprio momento più buio, la mezzanotte, equamente distante dagli ultimi chiarori serali e dai primi che annunciano l’aurora.

Queste fasi sono oggi codificate scientificamente attraverso quello che è definito come il crepuscolo rispettivamente detto “civile”, “nautico” e “astronomico”. Il calendario dell’almanacco solare spiega che il periodo che precede il sorgere del sole o ne segue il tramonto prende il nome di crepuscolo. La sua durata complessiva è legata alla data e alla latitudine del luogo in cui si trova l'osservatore ed è connessa pure, in maniera sensibile, alle condizioni meteorologiche e alla trasparenza dell'atmosfera. Il crepuscolo civile inizia subito dopo il tramonto e termina quando il Sole si trova sotto l'orizzonte di 6 gradi. Durante tale fase, essendo il cielo molto luminoso, le stelle non sono ancora visibili. La visione senza l'ausilio di altra illuminazione supplementare da parte dell’osservatore è ancora possibile.

Poi ha inizio il crepuscolo nautico, durante il quale cominciano a essere gradualmente visibili le stelle. All'inizio si osservano soltanto quelle di prima magnitudine, successivamente quelle di seconda e infine, al termine del crepuscolo, quelle di terza. Il sole nel frattempo è passato da 6 a 12 gradi sotto l'orizzonte, e i suoi raggi riescono ancora a rischiarare, seppure molto debolmente, gli strati più alti dell'atmosfera. La denominazione di "nautico" dipende dal fatto che, durante tale crepuscolo, il navigante può osservare le stelle al fine di determinare la propria posizione in mare. Per tale scopo egli utilizza un particolare strumento ottico, il sestante, con il quale misura l'altezza degli astri rispetto all'orizzonte marino. È quindi necessario poter osservare contemporaneamente sia l'orizzonte sia le stelle: tale contemporaneità non è invece possibile durante gli altri crepuscoli. Al termine di questa seconda fase, inizia il crepuscolo astronomico durante il quale si rendono visibili tutte le altre stelle, fino alla sesta magnitudine. Alla fine di tale periodo, il Sole è depresso di 18 gradi e l'oscurità è completa: si perde cioè del tutto la percezione dei colori e dei contorni degli oggetti non illuminati. Al mattino, ogni cosa procede a ritroso, da quando il Sole sta 18° sotto l’orizzonte all’alba vera e propria.

In aggiunta, vi sono altri indicatori naturali: per esempio il gallo suole iniziare a cantare circa un’ora prima dei primi chiarori (anticamente era un animale associato a simbologie religiose, perché anticipatore del ritorno del Sole, adorato come divinità). Il gallo continua poi a cantare fin quasi a metà dell’aurora, per smettere all’incirca un’ora prima dell’alba propriamente detta.
Tutte queste informazioni ci permettono di rileggere con una diversa sensibilità le pagine dei Vangeli (per esempio la quarta vigilia della notte in Matteo 14,25 e le varie ore della giornata lavorativa in Matteo 20, 4-6).

I romani dividevano la notte in quattro frazioni (veglie o vigilie) che corrispondevano ai turni di guardia delle sentinelle (sera, mezzanotte, canto del gallo e mattino). Durante il giorno, la divisione ancora in quattro periodi seguiva i movimenti del Sole (mattino, ora terza fino a che le ombre non son più allungate, ora sesta nel pieno Sole del mezzogiorno, ora nona da quando il Sole inizia a declinare fino al tramonto). Naturalmente, queste “ore” variavano al variare delle stagioni e non corrispondono quasi mai alle “nostre” di sessanta minuti, durando in realtà circa tre ore delle nostre odierne. Durante la notte, i romani stessi distinguevano un gallicinium al primo canto del gallo dal canticinium, circa un’ora dopo, quando il gallo smette di cantare: infatti Marco 14,72 fa un precisissimo riferimento a questo intervallo, per nulla vago. Fin da epoca antica quest’ora è quella in cui si celebra  il matutinum della Liturgia delle ore ed essa si protrae fino al cosiddetto diluculum, per quella che è l’ora più luminosa dell’aurora che precede l’alba, da cui comincia il mattino, cioè il primo quarto del giorno. 

Gli ebrei avevano assunto queste modalità di computo dei romani, ma mantenevano anche articolazioni più precise (in Giovanni 1,39 è ricordata un’indimenticabile ora decima; Matteo 20,6 fa riferimento agli operai dell’undicesima ora). Può risultare interessante consultare siti Internet che riportano la precisissima scansione oraria per l’accensione delle candele, cosa che fa comprendere come l’accensione delle luci anticipi il tramonto. In alcune traduzioni di Luca 23,54  si parla delle «prime luci del sabato» che già brillavano, caratterizzando di straordinaria precisione un’annotazione apparentemente più vaga. 

Ora, è possibile riportare quanto fin qui esposto a una data precisa: il 14 nisan dell’anno in cui Gesù fu crocifisso. Già si sa, per svariate ragioni, che l’anno non può essere che il nostro attuale 33 d.C. Dai calendari perpetui, si può riferire quel 14 nisan al 1° aprile del calendario gregoriano attualmente in uso da noi, un venerdì. Forti di questa data precisa e di un luogo certo, Gerusalemme, si hanno dunque tutti gli elementi per rivisitare la scena nel suo svolgersi esatto.

Anzitutto, si è favoriti dal fatto che la Pasqua cada a ridosso dell’equinozio di primavera, per cui la divisione in 12 ore di giorno e 12 ore di notte è abbastanza veritiera. Ci si deve tuttavia rendere pure conto che l’orario oggi vigente e riferito al meridiano di Greenwich è una convenzione. Per questa stessa consuetudine, il fuso orario attuale di Gerusalemme è anticipato di tre ore rispetto a quello “ufficiale”, il cosiddetto GMT: Greenwich Mean Time. Tuttavia, il Sole a Gerusalemme, come altrove, sorge e tramonta a un orario proprio, per cui raggiunge l’apice in cielo indipendentemente dalle 12,00 ufficiali. Vittorio Messori, in Patì sotto Ponzio Pilato, spiega che il padre domenicano Marie-Joseph Lagrange (1855-1938), celebre biblista, verificò personalmente come a Gerusalemme, in aprile, il canto del gallo sia udibile prima delle 3,00 del mattino. A fine marzo, ciò accade una mezz’ora più tardi: il 14 nisan ebraico va dal tramonto del giovedì al tramonto del venerdì del nostro modo di scandire i giorni, quindi tra il 31 marzo e il 1° aprile. Si può verificare (attenzione a non lasciarsi confondere dalle moderne esigenze dell’ora legale) che l’alba a Gerusalemme, quel 1° aprile, fu esattamente alle 5,26. I primi chiarori (il “crepuscolo astronomico”, 18° sotto l’orizzonte) cadde alle 4,10. Il gallo cantava già alle 3,00 (gallicinium) e smise di farlo poco dopo le 4,00 (canticinium), in corrispondenza con il crepuscolo astronomico. Il mezzogiorno reale fu alle 11,25 e il tramonto alle 17,59: il Sole saliva nel cielo dall’alba alle 8,30 (mattino), l’ora terza andava dalle 8,30 alle 11,30, la sesta dalle 11,30 alle 14,30 circa e la nona era corrispondente al declinare del sole. Secondo le regole ebraiche -già citate- di accensione delle candele, il primo di aprile, 14 nisan, esse andavano accese (plag ha-minchà) attorno alle 16,40, più di un’ora prima del tramonto.  

Ricapitolando, si ha qui una serie intera di criteri certi e circostanziati per seguire con grande precisione il racconto dei Vangeli. Si sono prese le mosse ricordando il grande risalto che Gesù e i Vangeli danno alla scansione del tempo, nel rispetto della Legge e della ritualità mosaica.
Non a caso Gesù, agnello da immolare, fa l’ingresso a Gerusalemme sei giorni (il 10 nisan) prima di Pasqua (15 nisan), rispettando la prescrizione di Esodo 12,3 in base al quale il decimo del mese è il giorno per procurare l’agnello pasquale. Il Vangelo di Marco descrive l’andirivieni tra Betania e Gerusalemme, verificatosi in quei giorni, permettendo di individuare le mosse di Gesù e dei dodici nei giorni 11, 12 e 13 nisan: quest’ultimo, peraltro, è il giorno che ebbe inizio con una cena a Betania resa memorabile dal (secondo) “spreco” di oli costosi per onorare Gesù (preceduto da quello descritto da Giovanni a casa di Lazzaro, avvenuto tre sere prima) e che fu seguito da un discorso ai “gentili” caratterizzato dalla manifestazione (la terza, dopo quella del Battesimo e della Trasfigurazione) della voce del Padre (Gv 12,28).

A quel punto, Gesù dice: «Sapete che tra due giorni è la Pasqua» (Matteo 26,2): è cioè ancora il 13 nisan. Quando i discepoli vanno a preparare il luogo per la cena, secondo le indicazioni ricevute, il tramonto è già passato: sono quindi le 18,00 ed è iniziato il 14 nisan, che era anche il giorno in cui si toglieva meticolosamente da casa ogni traccia di pane lievitato (di fatto il primo degli azzimi) e il giorno in cui si immolavano gli agnelli (Matteo 26,17; Marco 14,12; Luca 22,7): dunque nessuna contraddizione tra gli evangelisti!

Per il nostro modo di intendere, si è nel tardo pomeriggio del giovedì e c’è ancora molta luce. Quanto poi segue è sensatissimo: la cena fu consumata «giunta la sera» (Matteo 26,20), cioè tra le 18,00 e le 21,00. Il lungo discorso di addio, meticolosamente consegnatoci da Giovanni nei capitoli da 14 a 17 del suo Vangelo, prende avvio dopo che Giuda è uscito, ed era già notte (Giovanni 13,30), quindi dopo le 21,00. Lo scrupolo con cui Giovanni riporta queste parole profondissime dà l’idea di un lungo e intenso momento di preghiera vissuto da Gesù assieme agli Undici. Quando la cena terminò, la notte era ancora più inoltrata e si era in piena “seconda vigilia”. Il tempo di arrivare al Getsemani non dovette superare la mezz’ora e la luna piena garantiva sufficiente vista ai passi anche fuori città. La preghiera vinta dal sonno dei discepoli dura un’ora - come Gesù specifica (Matteo 26,40 e Marco 14,37) - ed è dunque mezzanotte passata quando Giuda arriva con le guardie del tempio per arrestare il salvatore. La cattura e la traduzione in catene presso il sommo sacerdote durano ragionevolmente un’altra ora. Segue il primo processo religioso, nel cuore della notte. Il rinnegamento di Pietro è precisamente collocato dai due canti del gallo, tra le 3,00 e le 4,00. Poi c’è una breve detenzione di Gesù presso Caifa, quindi il passaggio al Sinedrio, convocato il mattino presto, attorno alle 5,30. Da Ponzio Pilato si arriva subito dopo, quindi c’è il rapido confronto presso Erode e infine il ritorno nuovamente da Pilato, che svolgeva il proprio ruolo di magistrato più logicamente presso il palazzo degli Asmonei che non nella torre Antonia, e comunque il tutto in uno spicchio di città sufficientemente ridotto da giustificare la repentinità del succedersi degli eventi. Tutti questi spostamenti rapidi avvengono al mattino, prima delle 8,00. Gesù viene fatto flagellare attorno alle 8,30; quindi è mostrato sfigurato al popolo che ne chiede una volta ancora la condanna a morte, preferendogli la liberazione di Barabba, già dopo le 9,00.

Quando Pilato, lavandosene le mani, consegna Gesù ai carnefici  per la crocifissione è dunque già iniziata l’ora terza (che è tra le 8,30 e le 11,30), come riporta Marco 15,25. La Via Crucis, che prevede pure la collaborazione forzata di Simone di Cirene, fino al Calvario (circa 500-600 metri di strada) e la crocifissione si svolgono logicamente tra le 10,00 e le 11,30. Giovanni ci dice che era l’ora sesta: effettivamente - a parte un possibile problema di interpretazione tra un digamma (il tre) e un sigma aperto (il sei) di cui disquisisce Raymond Brown  nel suo Giovanni, tale per cui il Codice Sinaitico riporta “ora terza” anche per l’orario della crocifissione descritto nel quarto Vangelo -, soprattutto se il Sole non era più molto visibile, era facile confondere la fine dell’ora terza con l’inizio della sesta (che non sono orari distanti tre ore, ma intervalli lunghi circa tre ore che si succedono l’un l’altro). C’è anche un’altra spiegazione: mentre Marco utilizza la convenzione romana, per cui l’ora terza è un periodo di tre ore (dalle 8,30 alle 11,30 circa, visto l’orario effettivo in cui il Sole sarebbe stato esattamente “a picco” nel cielo), Giovanni utilizza il sistema ebraico, per cui l’ora sesta è effettivamente l’ora dalle 10,30 alle 11,30, coerente con lo svolgersi della Via Crucis e la crocifissione, nonché sovrapponibile alla tempistica indicata da Marco. I sinottici riportano che si fece buio tra l’ora sesta e la nona, orario in cui la Croce era già stata innalzata con Nostro Signore a essa inchiodato.

Quando Gesù muore è l’ora nona. Si aggiunge qui un altro straordinario elemento astronomico: quel giorno, già misteriosamente caratterizzato da un’assenza della luminosità incompatibile con un’eclisse solare (che non può esserci in caso di Luna piena), ci fu una spettacolare eclisse di Luna, una di quelle che arrossano il disco lunare facendolo apparire color sangue. Ebbene, il fenomeno a Gerusalemme fu visibilissimo (e questo fa pensare che l’oscurità non fu dovuta a nubi) proprio attorno alle 15,00 (lo si può verificare sui cataloghi delle eclissi lunari della NASA) e possiamo ben comprendere l’impressione che essa suscitò in un simile frangente, evidenziato anche dalla scarsità di luce solare. Indubbiamente, questo fenomeno richiamò la profezia di Gioele (3,3-4) e anche Pietro non mancò di farlo notare (Atti 2,19-20) ai propri interlocutori, certamente memori di quanto accaduto il 14 nisan, in un discorso subito dopo la Pentecoste, quindi nemmeno due mesi dopo.

Quando Gesù venne deposto dalla Croce e poi sepolto («venuta la sera» del giorno della Parasceve, come riportano tutti e quattro i Vangeli, senza alcuna contraddizione) sono circa le 17,00 (cioè si accendono le «prime luci del sabato», secondo Luca). Tutto viene fatto in fretta, per non trasgredire il sabato, quell’anno solenne (Giovanni 19,31), coincidendo con il 15 nisan e dunque con la Pasqua.
«Il giorno seguente» di cui scrive Matteo 27,62 altro non è che i minuti immediatamente successivi al tramonto, attorno alle 18,00, quando è ancora chiaro. Quanto accade rappresenta una clamorosa trasgressione al sabato da parte dei sacerdoti, che vanno da Pilato per chiedere di poter far vigilare il sepolcro.

Trascorso il sabato, il primo giorno della settimana venne constatata la Resurrezione. L’orario della visita delle donne corrisponde all’aurora, quando è ancora buio, cioè all’ora del crepuscolo astronomico, a Gerusalemme, il 3 aprile, attorno alle 4,00. Gesù era già risorto. Non sappiamo a che ora esatta questo è accaduto. Ma era il «terzo giorno»: morto il Gesù 14 nisan, trascorso il 15, eravamo già entrati nel 16 nisan. Dall’ora nona del Venerdì Santo possono essere trascorse da un minimo di 27 a un massimo di 37 ore. Alla mezzanotte erano 33…
La sera stessa di quel giorno, presso Emmaus, due discepoli incontrano Gesù. A che ora? Ancora preciso il Vangelo di Luca: «il sole già declina» (Luca 24,29). Quindi non era ancora giunto il tramonto, ma si era nel periodo tra le 16,00 e le 18,00. Perciò i due discepoli faranno in tempo a correre a Gerusalemme, trovando gli apostoli che avevano già incontrato - sempre durante il 16 nisan, domenica - il Signore risorto. E ancora non c’è contraddizione tra l’apparizione avvenuta mentre i discepoli di Emmaus riportano l’accaduto agli Undici (descritta da Luca 24,36) e l’apparizione descritta in Giovanni 20,19, collocata «la sera di quel giorno», sempre il 16 nisan.

Non è facile, insomma, scovare contraddizioni nei Vangeli. È invece molto più semplice scoprire imprecisioni e illogicità in molte esegesi, pronte a vantare un “amore per la Parola di Dio” che, mentre ne decanta l’importanza, non imbarazza troppi esegeti quando la definiscono inadatta a descrivere un fatto storico, accusando gli evangelisti di non avere interesse per la cronaca, sminuendoli come testimoni di fatti realmente accaduti, così da permettere a noi uomini di far dire a quella stessa Parola di Dio anche quel che non scrive, inseguendo le simbologie e le sociologie che ci rendono più graditi agli occhi del mondo e non costano la fatica di rimettere in discussione le nostre idee.