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RELAZIONE

La Prima guerra mondiale secondo Benedetto XVI

Nell'interpretazione teologica della storia proposta da Papa Benedetto XVI, durante tutto il suo Pontificato, la Prima guerra mondiale ha aperto una finestra su tutta la storia recente e ha creato a sua volta cambiali che l’Europa non ha ancora finito di pagare. 

Ecclesia 31_05_2013
Prima guerra mondiale

Pubblichiamo la relazione, dal titolo "La Prima guerra mondiale nel Magistero di Benedetto XVI", che Massimo Introvigne terrà oggi al convegno «Il Beato Carlo d’Asburgo e l’Europa», organizzato al Sacro Monte di Crea per il 65° anniversario dell’incontro fra il presidente del Consiglio italiano Alcide de Gasperi e il Ministro degli Esteri francese Georges Bidault e presieduto dal vescovo di Casale Monferrato mons. Alceste Catella.


Benedetto XVI ha messo al centro del suo Magistero un’interpretazione teologica della storia. Come ha spiegato nell’omelia del 16 ottobre 2011 nel corso della Santa Messa per la nuova evangelizzazione, «la teologia della storia è un aspetto importante, essenziale della nuova evangelizzazione, perché gli uomini del nostro tempo, dopo la nefasta stagione degli imperi totalitari del XX secolo, hanno bisogno di ritrovare uno sguardo complessivo sul mondo e sul tempo, uno sguardo veramente libero».

La teologia della storia permette anche d’identificare le cause della drammatica crisi dell’Europa, un altro tema caro a Papa Ratzinger.
Queste cause sono molteplici, ma Benedetto XVI è spesso tornato su un evento fondamentale, la Prima guerra mondiale. Certamente anche in precedenza c’erano state guerre tremende, ma la Grande Guerra del 1914-1918 rappresenta una sinistra novità non solo per il primo uso massiccio di armi di distruzione di massa – tali sono considerati, ancora oggi, i gas asfissianti –, ma anche perché si teorizza e si pratica la separazione fra la guerra e la morale.
Questa separazione si evidenzia anche nell’attacco – che aveva solo pochi precedenti – ai monumenti storici, chiese comprese, particolarmente alla cattedrale di Reims, un evento senza precedenti che suscitò enorme emozione in tutto il mondo.

Nel primo dei suoi messaggi per le Giornate mondiali della Pace, quello per la XXXIX Giornata celebrata il 1° gennaio 2006, Joseph Ratzinger lega al dramma della Prima guerra mondiale la stessa scelta del nome Benedetto XVI.
«Il nome stesso di Benedetto, che ho scelto il giorno dell’elezione alla Cattedra di Pietro, sta a indicare il mio convinto impegno in favore della pace. Ho inteso, infatti, riferirmi sia al Santo Patrono d’Europa, ispiratore di una civilizzazione pacificatrice nell’intero Continente, sia al Papa Benedetto XV [1854-1922], che condannò la Prima Guerra Mondiale come “inutile strage” e si adoperò perché da tutti venissero riconosciute le superiori ragioni della pace».

Il riferimento a Benedetto XV è rilevante per il giudizio sulla Prima guerra mondiale. L’Europa è cambiata, e quando le sue due massime autorità tradizionali, il Papa di Roma e l’Imperatore di quanto sopravvive del Sacro Romano Impero, il beato Carlo I d’Asburgo (1887-1922), cercano di fermare il conflitto facendo notare che tutto quanto le nazioni vogliono con la guerra lo potranno ottenere con la pace, a stento sono trattati con cortesia e comunque non sono presi sul serio. Naturalmente il Papa, il cui padre ha combattuto nella Prima guerra mondiale, non intende certo mancare di rispetto a quello che chiama «il sacrificio degli uomini caduti sul campo di battaglia per amore della loro patria»: ai tanti che in quella guerra, da una parte e dall’altra, hanno fiducia nella bontà della loro causa e si battono con valore.

Il problema non riguarda i combattenti, ma la guerra in sé, in cui viene a scadenza una cambiale secolare emessa all’epoca della Rivoluzione francese, quando cominciano a diffondersi in Europa nazionalismi senza nazione, ideologie in cui ciascuno vuole più potere per la sua nazione perché, appunto, è la sua e non perché la ritiene portatrice di valori moralmente apprezzabili. Perché, se si trattasse di valori, scendendo in profondità – e certo incontrando nel corso della discesa la frattura della Riforma protestante – ogni nazione europea li troverebbe nelle sue radici e queste radici sono comuni, sono cristiane.

Invece, la Prima guerra mondiale è la conseguenza della separazione dell’idea di patria e di nazione dalle sue radici religiose: con il Kulturkampf in Germania, con la laïcité in Francia, con le campagne laiciste e anticlericali dell’Ottocento in Italia, con l’affermarsi pressoché ovunque d’ideologie che emarginano il cristianesimo.
Benedetto XVI, che è stato un Papa molto affezionato alle ricorrenze, ha proposto la sua analisi della Prima guerra mondiale soprattutto in due testi relativi al novantesimo anniversario rispettivamente della battaglia di Verdun e della Nota del 1° agosto 1917 di Papa Benedetto XV.
La battaglia di Verdun, che nel 1916 provoca 250.000 morti e 500.000 feriti, rappresenta un orrore per molti versi senza precedenti nella storia d’Europa. «Verdun – scrive Benedetto XVI in una lettera a mons. François Maupu, vescovo della città francese teatro della battaglia, in occasione dell’anniversario –, momento oscuro della storia del Continente, deve restare nella memoria dei popoli come un evento da non dimenticare mai e da non rivivere mai».

A Verdun si sono manifestate le «potenze oscure della storia», in relazione alle quali Papa Ratzinger ricorda ancora una volta che «in una nota del 1° agosto 1917, inviata ai capi dei popoli belligeranti, il mio predecessore Papa Benedetto XV proponeva una pace duratura e, allo stesso tempo, lanciava un appello pressante a cessare quella che egli chiamava una “inutile strage”». Nello stesso tempo, Verdun è stata teatro di gesti di riconciliazione, come la costruzione di un ossario comune per i caduti di tutte le parti.
«Le spoglie di tutti i morti, senza distinzione di nazionalità, riposano ora nell’ossario di Douaumont, grazie al suo [di mons. Maupu] predecessore, Monsignor [Charles] Ginisty [1864-1946], che prese l’iniziativa, facendo inscrivere sul frontone dell’edificio la parola che riassume tutto, Pace».

Il richiamo è significativo: mons. Ginisty, dopo essere stato il patriottico «vescovo del fronte» nella Prima guerra mondiale, divenne il vescovo della riconciliazione, spingendosi fin negli Stati Uniti per raccogliere fondi per il suo ossario.
Verdun è così oggi, afferma Benedetto XVI, «anche uno dei simboli della riconciliazione fra due grandi nazioni europee un tempo nemiche, che invita tutti i Paesi in guerra a un simile passo che fa gioire le persone, poiché solo la riconciliazione permette di costruire il futuro e di sperare».
Questi gesti – cui si può affiancare la cerimonia dell’8 luglio 1962, quando il cancelliere tedesco Konrad Adenauer (1876-1967) e il presidente francese Charles de Gaulle (1890-1970) s’incontrarono nella cattedrale di Reims faticosamente ricostruita –, afferma Benedetto XVI, ripetono che «l’amore è più forte dell’odio e che, come dice san Paolo, Cristo, mediante la sua Croce, ha abbattuto il muro dell’odio per riconciliare gli uomini fra di loro (cfr Ef 2, 14-17)».

La riconciliazione è un dono di Dio, ma è anche una nozione politica. «Solo la riconciliazione e il perdono reciproco possono condurre a una pace autentica. Provenendo da uno spirito cristiano, appartengono a loro volta ai criteri dell’azione politica. Tale è oggi la responsabilità dei dirigenti, dei popoli d’Europa e di tutte le nazioni».
La riconciliazione non sarà un'utopia, ma un principio di azione realistica, se non si dimenticherà la teologia della storia. La riconciliazione, conclude la lettera dedicata a Verdun da Benedetto XVI, può essere fondata solo «sulle radici e sui valori cristiani che hanno ampiamente contribuito a modellare l’Europa delle nazioni e l’Europa dei popoli».

Fu infatti l’oblio delle radici cristiane a provocare Verdun. Il 22 luglio 2007 a Lorenzago di Cadore, nel corso delle sue vacanze estive di quell’anno, Benedetto XVI, recitando l’Angelus, ha commemorato il novantesimo anniversario del tentativo di Benedetto XV d’intervenire sul «dramma della libertà umana nel mondo» messo in scena dalla Prima guerra mondiale.
«Non posso, in questo momento, non andare col pensiero – ha affermato Papa Ratzinger – a una data significativa: il 1° agosto 1917 – giusto 90 anni or sono – il mio venerato predecessore, Papa Benedetto XV, indirizzò la sua celebre Nota alle potenze belligeranti, domandando che ponessero fine alla Prima guerra mondiale. Mentre imperversava quell’immane conflitto, il Papa ebbe il coraggio di affermare che si trattava di un’“inutile strage”. Questa sua espressione si è incisa nella storia. Essa si giustificava nella situazione concreta di quell’estate 1917, specialmente su questo fronte veneto. Ma quelle parole, “inutile strage”, contengono anche un valore più ampio, profetico».

Gli stessi «commoventi canti degli Alpini» invitano a «fare tesoro delle esperienze negative che purtroppo i nostri padri hanno sofferto, per non ripeterle».
La Nota di Benedetto XV, ricorda Papa Ratzinger, «non si limitava a condannare la guerra; essa indicava, su un piano giuridico, le vie per costruire una pace equa e duratura: la forza morale del diritto, il disarmo bilanciato e controllato, l’arbitrato nelle controversie, la libertà dei mari, il reciproco condono delle spese belliche, la restituzione dei territori occupati ed eque trattative per dirimere le questioni. La proposta della Santa Sede era orientata al futuro dell’Europa e del mondo, secondo un progetto cristiano nell’ispirazione, ma condivisibile da tutti perché fondato sul diritto delle genti».

A un livello più profondo, e teologico, Benedetto XVI collega gli orrori della Prima guerra mondiale al rifiuto della bellezza – un altro grande tema del suo Magistero – da parte degli uomini: un rifiuto così assurdo che possiamo solo presupporre che dietro a questi orrori sia all’opera il diavolo, secondo uno schema che anche il regnante Pontefice Francesco ha più volte evocato.
«La bellezza della natura – spiegava Benedetto XVI nel 2007 – ci ricorda che siamo stati posti da Dio a “coltivare e custodire” questo “giardino” che è la Terra (cfr Gn 2, 8-17): e vedo come realmente voi coltivate e custodite questo bel giardino di Dio, un vero paradiso.
Ecco, se gli uomini vivono in pace con Dio e tra di loro, la Terra assomiglia veramente a un “paradiso”. Il peccato purtroppo rovina sempre di nuovo questo progetto divino, generando divisioni e facendo entrare nel mondo la morte. Avviene così che gli uomini cedono alle tentazioni del Maligno e si fanno guerra gli uni gli altri. La conseguenza è che, in questo stupendo “giardino” che è il mondo, si aprono anche spazi di “inferno”».

La rievocazione della Prima guerra mondiale in Benedetto XVI non ha solo un valore storico. I problemi di quella guerra fanno sentire i loro effetti ancora oggi. A Lorenzago di Cadore, Papa Ratzinger ricordava che l’impostazione della Nota di Benedetto XVI è la stessa che i Papi «Paolo VI [1897-1978] e Giovanni Paolo II [1920-2005] hanno seguito nei loro memorabili discorsi all’Assemblea delle Nazioni Unite, ripetendo, a nome della Chiesa: “Mai più la guerra!”. Da questo luogo di pace, in cui anche più vivamente si avvertono come inaccettabili gli orrori delle “inutili stragi”, rinnovo l’appello a perseguire con tenacia la via del diritto, a rifiutare con determinazione la corsa agli armamenti, a respingere più in generale la tentazione di affrontare nuove situazioni con vecchi sistemi».

L’«inutile strage» non è un fatto isolato. La teologia della storia, come Benedetto XVI ha mostrato in quel perno del suo Magistero che è l’enciclica «Spe salvi» del 2007, richiede uno sguardo più ampio.
La Prima guerra mondiale apre una finestra su tutta la storia recente, e crea a sua volta cambiali che l’Europa non ha ancora finito di pagare. Sono cambiali non pagate della Grande Guerra – il trattamento dei vinti, la questione tedesca, la distruzione dell’Impero Austro-Ungarico – che diventano il brodo di coltura del nazional-socialismo e della Seconda guerra mondiale. È perché nel clima della Prima guerra mondiale si è permesso ai comunisti di conquistare il potere in Russia che continua fino al 1989 – ma in qualche parte del mondo ancora oggi – quella che gli storici americani chiamano la Terza guerra mondiale, la Guerra fredda fra l’Occidente e il comunismo.

Ed è certo anche a causa di quello che molti ancora oggi considerano un errore fatale – la distruzione dell’Impero Ottomano dopo la Grande Guerra senza troppo sapere che cosa mettere al suo posto – che dai risentimenti musulmani nasce fra la Prima e la Seconda guerra mondiale il fondamentalismo islamico, che dall’11 settembre 2001 si manifesta come protagonista di una Quarta guerra mondiale.
A differenza delle prime tre, questa non è una guerra civile europea esportata anche fuori dell’Europa, ma una guerra civile fra musulmani che, a causa del rilievo demografico dell’islam ed energetico dei Paesi medio-orientali produttori di petrolio, fa sentire i suoi effetti in tutto il mondo.

Ma, da un certo punto di vista, tutto comincia a Verdun e nelle trincee del Cadore e del Carso. Tutto inizia con la Prima guerra mondiale, il cui inizio segna, nelle parole del ministro degli Esteri britannico sir Edward Grey (1862-1933), il giorno in cui «le lampade si stanno spegnendo in tutta Europa, e nella nostra vita non le vedremo mai più accese».