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L'EDITORIALE

La ricchezza dell'Italia sono le reti familiari

Contrariamente a quanto appare dai servizi dei tg e dalle analisi giornalistiche, il rapporto Istat non offre l'immagine di un paese povero. Ma lo sarebbe se a salvarlo non ci fossero le reti familiari che hanno permesso di attutire gli effetti della crisi.

Editoriali 24_05_2011

L’Italia è un Paese povero abitato da poveri. Questa in sintesi l’idea che appare dalle analisi giornalistiche, in particolare dei telegiornali, del rapporto annuale presentato lunedì mattina dall’Istat nell’austera sede della Camera dei deputati. E le cifre sembrerebbero (il condizionale è d’obbligo) parlare chiaro: in Italia, sentenzia l’Istat, circa un quarto della popolazione (24,7 per cento) sperimenta il rischio di povertà o esclusione, un valore superiore alla media europea (23,1 per cento). Eppure altre cifre, formulate nello stesso rapporto, fanno un’altra impressione.

La povertà assoluta (cioè l’impossibilità di acquistare un paniere di beni e servizi considerati essenziali) avrebbe infatti interessato nel 2009 “solo” 1,2 milioni di famiglie, pari al 4,7 per cento del totale, e 3,1 milioni di persone,  il 5,2 per cento della popolazione. Considerando anche altri indicatori di povertà, fa notare l'Istat, negli ultimi anni in Italia la povertà relativa (cioè una capacità di spesa inferiore a circa la metà della spesa media dei consumi) ha registrato una sostanziale stabilità: 2,7 milioni di famiglie povere (il 10,8 per cento nel 2009) e quasi 7,8 milioni di persone (il 13,1 per cento della popolazione).


Ma non basta. Ancora nello stesso rapporto c’è un altro indicatore, quello del disagio finanziario che segnalerebbe la quota di famiglie che non sono in grado, con il loro reddito, di far fronte regolarmente alle proprie spese correnti e sono obbligate ad attingere ai risparmi o a indebitarsi. Sino all’inizio della crisi, riferisce l’Istat, la quota di famiglie che non riusciva a far fronte ai propri impegni di spesa era pari a circa il 20 per cento in Francia, tra il 12 e il 14 per cento in Italia e Regno Unito, e tra il 6 e l’8 per cento in Spagna e in Germania. Durante la crisi le famiglie in difficoltà aumentano nettamente in Francia e in Italia, raggiungendo una quota prossima, rispettivamente, al 25 e al 20 per cento; nello stesso periodo, la quota sale anche in Spagna e nel Regno Unito e resta invece sostanzialmente invariata in Germania. Con l’inizio della ripresa, emergono ulteriori differenze: in Francia e in Italia la quota delle famiglie in difficoltà inizia a calare, sino a riportarsi alla fine del periodo attorno ai livelli pre-crisi.


Allora si può dire che l’Italia sia un Paese di poveri? Sicuramente no. La crisi economica ha ovviamente inciso sui redditi, ha costretto molte famiglie ad intaccare i risparmi per mantenere il precedente tenore di vita, ha creato condizioni di maggiore instabilità soprattutto per la precarietà del lavoro per i giovani e le donne. Ma nel complesso, anche grazie agli interventi sociali di sostegno al reddito come la cassa integrazione, la crisi non ha provocato un sostanziale aumento della povertà.


C’è tuttavia un disagio di fondo che continua a crescere e contro il quale non si stanno attuando sufficienti politiche di intervento. E’ il disagio determinato dal fatto che la spesa sociale in Italia, al contrario degli altri paesi, è fortemente sbilanciata sul fronte degli interventi previdenziali e assistenziali verso gli anziani lasciando solo le briciole per i sostegni alle famiglie e ai giovani. Soprattutto al Sud c’è una fortissima carenza di asili nido, di scuole per l’infanzia, di strutture in grado di affiancare la famiglia nella cura dei più piccoli. E’ significativo che i bambini da 0 a 13 anni che nel 2009 sono stati affidati a un adulto almeno qualche volta a settimana sono stati circa 3,7 milioni, pari al 47,4 per cento del totale (contro il 49,6 per cento del 1998). Tra le figure che ne hanno cura quando non sono con i genitori o a scuola, nel 75,7 per cento dei casi si tratta di nonni non conviventi, nel 7,5 per cento di nonni conviventi. L’aiuto dei nonni non conviventi è ancora più rilevante nel caso di bambini molto piccoli.


“Nel nostro Paese – afferma l’Istat - è fondamentale il ruolo dei nonni, soprattutto delle nonne che sono 4 milioni e 200 mila. Oltre un terzo (34,9 per cento) ha tra i 55 e i 64 anni, il 37,5 per cento è costituito da donne anziane tra i 65 e i 74 anni e circa il 15 per cento ha 75 anni o più. Solamente il 12,7 per cento dei nonni non si occupa mai dei nipoti”. E’ la forza delle reti di solidarietà che fanno perno sulla famiglia, reti indispensabili il cui intervento non può essere valutato dal punto di vista del valore economico, ma che resta fondamentale almeno per attenuare le mancanze della politica di sostegno pubblico.


L’Italia, conferma l’Istat, è più o meno in linea con la media europea come spesa sociale, ma la maggior parte delle risorse sono assorbite dai trasferimenti monetari di tipo pensionistico, mentre quote molto residuali e inferiori alla media Ue vengono destinate alle funzioni dedicate al sostegno delle famiglie, alla disoccupazione e al contrasto delle condizioni di povertà ed esclusione sociale. In particolare, nel 2008 l’Italia si colloca all’ultimo posto tra i paesi Ue per le risorse destinate al sostegno del reddito, alle misure di contrasto alla povertà, o alle prestazioni in natura a favore di persone a rischio di esclusione sociale.


E’ così. Se non ci fossero le reti familiari l’Italia sarebbe veramente un Paese povero.