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Il cantante a Sanremo

La risposta dei genitori al figlio omosessuale

Il cantante omosessuale Jo Conti, che parteciperà al Festival di Sanremo, racconta che a causa del suo outing fu scacciato dalla famiglia e vessato dai genitori. Ora mamma e papà raccontano un’altra verità.

Gender Watch 21_01_2021

Come avevamo già avuto modo di raccontare qualche giorno fa, il cantante omosessuale Jo Conti, che parteciperà al Festival di Sanremo, in una intervista ha rivelato che a causa del suo outing fu scacciato dalla famiglia e vessato dai genitori. Ora a Fanpage mamma Angela e papà Vincenzo raccontano un’altra verità. Riportiamo per intero la loro lettera.

«Siamo i genitori di Jo Conti. Non vi nascondiamo che ci ha ferito profondamente leggere sul vostro giornale le accuse rivolte contro di noi da nostro figlio. Non avremmo mai voluto scrivere questa lettera e smentire pubblicamente nostro figlio, a cui vogliamo bene. Ma purtroppo le accuse di Jo gettano fango sulla nostra famiglia e sulla nostra religione, e meritano quindi di essere corrette.

Non è vero che abbiamo cacciato via di casa nostro figlio, né che lo abbiamo discriminato o maltrattato in qualche modo quando si è dichiarato omosessuale. Nostro figlio Giuseppe Jo è il maggiore di tre amati figli, e ci ha rivelato di essere gay più di 15 anni fa. Da allora ha ovviamente continuato a vivere a casa, partecipando a tutte le attività familiari e avendo un ruolo importantissimo nella nostra famiglia. Come genitori ci siamo sempre presi cura di lui, anche per i suoi problemi di salute. Anche se non condividiamo le scelte di nostro figlio dal punto di vista sentimentale, abbiamo continuato ad amarlo, lasciandolo libero di vivere la sua vita come voleva. A costo di grandi sacrifici economici, ci siamo addirittura indebitati per farlo studiare presso una scuola privata per realizzare le sue ambizioni nella moda e poi lo abbiamo aiutato ad avviare una sua società di telefonia.

Abbiamo fatto del nostro meglio per accontentarlo, anche a discapito dei suoi fratelli minori ai quali purtroppo non abbiamo potuto dare lo stesso sostegno economico, perché siamo una famiglia modesta. Ma lo abbiamo fatto di buon grado, perché gli vogliamo bene. La scelta di andare via di casa all’età di 32 anni è stata una scelta di nostro figlio. Lo ha deciso non perché fosse maltrattato, ma perché non accettava le regole di comportamento all’interno della famiglia, le stesse che anche i suoi fratelli erano tenuti a rispettare. Crediamo che i genitori abbiano tutto il diritto di chiedere a un figlio di rispettare alcune basilari norme igieniche e di comportamento. Ma a Giuseppe quelle norme non stavano bene e ha deciso di andarsene. In seguito ci chiese di tornare a casa e noi lo abbiamo riaccolto. Poi ha trovato un lavoro e se ne è andato di nuovo. Il nostro sostegno non è venuto mai meno e, contrariamente a quanto lui afferma, ci sentiamo e vediamo regolarmente.

Ci ha fatto male sentirci accusati di essere noi la causa dei suoi ricoveri, quando lui sa benissimo che erano legati alla fine delle sue relazioni. E in tutti quei momenti gli siamo sempre stati accanto, anche a costo di partire all’ultimo minuto per raggiungerlo a Milano, dov’è stato ricoverato. Quando ha lasciato casa, abbiamo continuato a dimostrargli il nostro affetto aiutandolo con il trasloco, dandogli qualsiasi cosa di cui avesse bisogno e mettendoci a disposizione per la spesa e altre faccende, addirittura svegliandolo per telefono la mattina! Inoltre, le accuse alla religione ci lasciano molto perplessi. Giuseppe ha sempre avuto buoni rapporti con i Testimoni di Geova e nel tempo libero stava volentieri in loro compagnia. La nostra fede non c’entra nulla con le sue difficoltà. Anzi, come Testimoni di Geova ci sforziamo di seguire le norme della Bibbia, amando e rispettando il prossimo indipendentemente da razza, età, ceto sociale, livello di istruzione, religione e orientamento sessuale (1 Pietro 2:17).

Promuoviamo un messaggio di amore e speranza, non certo di odio e intolleranza, anche se non sempre riceviamo lo stesso trattamento. Noi non abbiamo mai chiesto a Giuseppe di scusarsi per la sua omosessualità, né mai lo faremo. Speriamo però che anche lui rispetti le nostre scelte e i nostri valori. Non riusciamo a capire perché nostro figlio abbia rivolto queste false accuse pubblicamente contro di noi e anche contro la nostra fede. Che sia tutta una trovata pubblicitaria volta ad attirare su di sé l’attenzione dei media e a promuovere così la sua carriera musicale? Magari sfruttando il fatto che i Testimoni di Geova sono un facile bersaglio, spesso vittime di pregiudizi e disinformazione? Ci auguriamo di cuore che conoscendo meglio i fatti, la stampa non si presti a questo strano meccanismo che sta facendo molto male alla nostra famiglia. Come genitori vogliamo che nostro figlio abbia una vita significativa, felice e più lunga possibile. Se lui vuole, il nostro aiuto non verrà mai meno.

Caro Giuseppe, ricordati che ti amiamo molto e ti ameremo sempre. Papà e mamma».