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L'ANTIDOTO

LA SFIDA DI BARTOLO LONGO

Nell’Ottocento fu grande l'opera del fondatore del santuario di Pompei per i figli dei carcerati. Gli scienziati positivisti lo accusarono di creare “un covo di belve”. Ma lui con le sue scuole dimostrò che nessuno nasce delinquente.

L'antidoto 13_08_2011
Bartolo Longo
Nell’Ottocento tra le tante iniziative di riscossa cattolica bisogna annoverare le opere di assistenza del beato Bartolo Longo, fondatore del santuario di Pompei, ai figli dei carcerati. Nel 1885 il Longo si era incontrato con don Bosco, che gli aveva suggerito di diffondere il suo periodico Il Rosario e la Nuova Pompei con lo stesso sistema usato dal Bollettino salesiano: a tutti, anche a quelli che non pagavano. Riguardo all’iniziativa carceraria del Longo, «gli scienziati positivisti della Scuola antropologica criminale sostenevano l’”impossibilità di educare i nati delinquenti” e lo accusarono di creare a Pompei “un covo di belve”, usando per di più metodi educativi inadeguati, se non addirittura dannosi».

Ma per l’avvocato Bartolo Longo
(che pur era stato spiritista) le sue scuole «avrebbero negato l’atavismo e l’innata delinquenza, a favore della libertà dell’essere umano. Molto simile fu la risposta che don Bosco diede nei fatti a chi, come Darwin, sosteneva che gli indigeni della Patagonia fossero più simili alle bestie che agli umani, mandando i suoi missionari a convertirli e quindi a trasformarli in persone civili». La Patagonia fu, infatti, il primo posto scelto da don Bosco per mandarvi i suoi salesiani in missione (cfr. Lucetta Scaraffia, Il contributo dei cattolici all’unificazione; in I cattolici che hanno fatto l’Italia, Lindau, a cura di Lucetta Scaraffia).