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LA SETTIMANA

La tirannide dell'omofobia, il peggio del '68

Se su qualcosa di fondamentale tu non sei d’accordo con me, allora tu mi odi. Perciò ho diritto di impedirti di esprimerti. Questo equivoco, che è l’inizio di una tirannide, sta alla base della pretesa di bollare come “omofobia” la posizione di chi è convinto che eterosessualità e omosessualità non siano due realtà equivalenti..

Editoriali 13_01_2015
Fermiamo la legge sulla omofobia

Se su qualcosa di fondamentale tu non sei d’accordo con me allora tu mi odi. Perciò ho diritto di chiedere alle autorità di impedirti di esprimere e di affermare pubblicamente il tuo convincimento. Questo equivoco, che è l’inizio di una tirannide, sta alla base della pretesa di bollare come “omofobia”, ossia come odio per l’omosessuale, la posizione di chi è convinto che eterosessualità e omosessualità non siano due realtà equivalenti. 

Non importa che poi costui non manifesti alcun odio per l’omosessuale, né pretenda affatto di imporgli la propria visione delle cose. Egli odia per così dire oggettivamente. Pertanto il potere pubblico ha il dovere di impedirgli di odiare. Tra l’altro ciò implica l’idea che un sentimento, l’odio in questo caso, possa venire vietato per legge: un’idea stravagante, che implica dubbi sulla ragionevolezza di chi la sostiene. L’aspetto più grave di tale pretesa è però il suo contenuto liberticida, che va anche ben oltre il caso specifico.  

Chiunque è in grado di affermare qualcosa come normale può insomma trasformare questa sua idea in pensiero unico, e mobilitare a tutela di tale sua pretesa l’ordine costituito. E per questo basta avere delle buone entrature nelle élites economiche e professionali che sono in posizione dominante nel mondo della comunicazione di massa. La questione oggi alla ribalta è quella del “gender”, ma domani potrebbe essere qualunque altra cosa.

Elemento tipico di questo processo è il suo contenuto autoritario. Affermata una certa tesi come pensiero unico, su di essa non si può più ragionare, la questione è chiusa. Chi la sostiene è buono e chi invece vorrebbe discuterla è cattivo. Il disegno di legge Scalfarotto sull’“omofobia” è esemplare al riguardo. Ciò che lo caratterizza è qualcosa di mostruoso dal punto di vista giuridico: la punibilità di un comportamento che non viene adeguatamente né descritto né definito. Che cosa è l’”omofobia”? In che cosa consiste? Siccome nella legge non lo si spiega chiunque può affermare come “omofoba” qualsiasi cosa. Se poi si arriverà a un giudizio  sarà il giudice a decidere. Il reato viene insomma definito a posteriori, in sede giudiziale. Siamo quindi al culmine dell’arbitrio. 

In questo quadro è tra l’altro significativo il caso della campagna montata contro il convegno “Difendere la famiglia per difendere la comunità” in programma a Milano il prossimo 17 gennaio per iniziativa di Fondazione Tempi, Manif pour tous, Nonni 2.0 e Obiettivo Chaire. Il tema del convegno corrisponde pienamente allo spirito dello statuto d’autonomia di Regione Lombardia al cui art. 2 si legge che, nell’ambito delle sue competenze, la Regione “tutela la famiglia, come riconosciuta dalla Costituzione, con adeguate politiche sociali, economiche e fiscali, avendo particolare riguardo ai figli, alla funzione educativa e alla cura delle persone anziane”.

Non dovrebbe perciò sorprendere che il governo regionale abbia deciso di ospitare il convegno in una sua sala congressi. Invece, apriti cielo! Senza tornare in dettaglio sui calunniosi argomenti di tale campagna, su cui La Nuova Bussola Quotidiana ha già informato i propri lettori, sottolineiamo qui l’ulteriore passo avanti sulla via dell’autoritarismo che così s’intende fare. Si veda ad esempio l’interrogazione presentata in Consiglio regionale dal Movimento 5 Stelle ove si afferma che la Regione non deve dare spazio ad organismi che “propagandano una posizione settaria, ideologica, escludente e riduttiva del concetto di famiglia”.

Non importa insomma ai firmatari dell’interrogazione qual è il programma del convegno e quali ne saranno i contenuti: gente così non ha diritto di parlare comunque  Siamo alla pretesa di negare a priori lo spazio pubblico, l’ “agibilità politica” a questo e a quello: qualcosa che richiama tristemente alle memoria il peggio del ’68, il peggio di una stagione che nessuna persona davvero amante della libertà e della giustizia ha motivo di rimpiangere.