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USA

La transizione da Trump a Biden non è ancora certa

A che punto è la transizione al vertice degli Stati Uniti, dall’amministrazione Trump a quella di Biden? Non è affatto cosa “già fatta”. L’amministrazione uscente attende il responso dei tribunali d’appello. Nemmeno l'attivazione della Gsa (logistica della transizione) certifica la vittoria di Biden. Le pressioni per accelerare questo processo sono fortissime. In molti casi anche violente.

Esteri 25_11_2020
Georgia, secondo riconteggio

A che punto è la transizione al vertice degli Stati Uniti, dall’amministrazione Trump a quella di Biden? Non è affatto cosa “già fatta” e neppure certa, anche se è molto probabile che venga portata a compimento. L’amministrazione uscente, infatti, non ha ancora gettato la spugna e attende il responso dei tribunali d’appello, a cui è ricorsa, dopo le bocciature nei tribunali di primo grado. Dunque, anche se abbiamo una prima lista di nomi di chi comporrebbe il governo federale a guida democratica, non possiamo dire con certezza che quelli saranno i prossimi ministri.

Certo è che le possibilità che Trump ribalti il risultati si fanno di giorno in giorno sempre più basse. La Pennsylvania, ieri, ha certificato i risultati, dando la vittoria a Joe Biden, assegnandogli 20 Grandi Elettori che lo potranno votare il prossimo dicembre. “Come richiesto dalla legge federale, ho firmato il Certificato di accertamento per la lista degli elettori di Joe Biden e Kamala Harris - ha dichiarato Tom Wolf, governatore della Pennsylvania - Voglio ringraziare i funzionari elettorali che hanno gestito un'elezione equa e libera durante un tempo impegnativo nel nostro Commonwealth e nella storia del paese”. Di quel “equa” e “libera”, Rudolph Giuliani, avvocato di Trump, non è affatto convinto e la causa legale continua per disparità di trattamento ai danni degli elettori repubblicani, espulsione dei rappresentanti di lista e possibili brogli elettorali.

Il giudice di primo grado Matthew Brann, tribunale distrettuale degli Stati Uniti per il distretto centrale della Pennsylvania, ha respinto il ricorso, con un pronunciamento molto duro (“Ci attendevamo di avere prove schiaccianti per accuse tanto gravi, invece abbiamo solo accuse speculative”). Giuliani ritiene che Brann, giudice nominato a suo tempo da Obama, sia stato tanto frettoloso nell’esprimere il suo giudizio da non prendere in considerazione neppure una deposizione giurata e da non sentire alcun testimone, fra quelli portati da Giuliani. Ma il team legale di Trump considera che questa fretta possa anche andare a vantaggio della sua stessa strategia, visto che ora ricorrerà prima in appello presso la Corte federale d’appello del Terzo circuito. E prima il caso arriva fino alla Corte Suprema, meglio è per la campagna di Trump, che ha ancora tre settimane di tempo prima dell’elezione finale di Biden alla carica di presidente da parte del Collegio Elettorale.

Oltre alla Pennsylvania, anche la Georgia ha certificato i risultati elettorali venerdì, dopo un riconteggio dei voti. Ma l'amministrazione Trump, ieri, è riuscita ad ottenere dal governo locale di avviare un secondo riconteggio. Dunque anche quello Stato resta ancora in bilico. Lunedì è stata la volta del Michigan, altro Stato in cui sono in corso ancora due cause legali della campagna di Trump per presunti brogli elettorali. La decisione di certificare il voto è stata molto sofferta, data per certa la settimana scorsa, poi ritirata, infine confermata lunedì. La pressione sullo State Board of Canvassers, l’organo statale preposto alla certificazione, è stata fortissima, minacce comprese.

Jenna Ellis, consulente legale della campagna di Trump, ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che “la certificazione da parte dei funzionari statali è semplicemente un passaggio procedurale”. “Continueremo a combattere le frodi elettorali in tutto il paese mentre lottiamo per contare tutti i voti legali. Gli americani devono essere certi che i risultati finali sono equi e legittimi”.

La notizia che fa pensare (erroneamente) ad una transizione già compiuta riguarda l’attivazione, autorizzata da Trump, della Gsa, l’agenzia che gestisce la logistica del team di transizione per la Casa Bianca. Anche la sua direttrice, Emily Murphy, ha subito pressioni e minacce, da sinistra evidentemente, perché anticipasse l’attivazione. Come si può leggere nella lettera, scritta di suo pugno, inviata a Joe Biden, spiega di aver agito in piena autonomia e non su spinta del potere esecutivo, di aver rispettato i tempi delle certificazioni e di non aver precipitato l’azione, nonostante le pressioni ricevute. Da sinistra, evidentemente, da chi, cioè, voleva precipitare i tempi della transizione. Queste pressioni sono stati, a quanto pare, molto violente: “Ho comunque ricevuto minacce online, per telefono e per posta, contro la mia persona, contro la mia famiglia, i miei dipendenti e anche i miei animali domestici, nel tentativo di farmi prendere questa decisione prematuramente”, scrive la Murphy. Che comunque tiene a precisare: “L’amministratore della Gsa non nomina né certifica il vincitore di un’elezione presidenziale”.