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DOTTRINA MITTERRAND

L'Abbé Pierre: mistero dei cattolici negli anni di piombo

Nei giorni dell’estradizione di Cesare Battisti si è riaperta la ferita degli ex terroristi che, come lui, sono latitanti. Soprattutto quelli che sono latitanti in Francia, da decenni, mai estradati. Uno degli ispiratori della Dottrina Mitterrand fu un celeberrimo cattolico, l'Abbé Pierre. Perché?

Editoriali 20_01_2019
Il presidente Mitterrand con l'Abbé Pierre (a destra)

Nei giorni dell’estradizione di Cesare Battisti si è riaperta la ferita degli ex terroristi che, come lui, sono latitanti. Soprattutto quelli che sono latitanti in Francia, da decenni, mai estradati. Dal 1982 al 2002 sono stati protetti dalle autorità francesi in base alla cosiddetta “dottrina Mitterrand”, non una vera e propria legge, ma una politica di protezione di chi era accusato di terrorismo in Italia. La Francia lo ha fatto per ragioni giuridiche, perché non ha mai riconosciuto l’istituto del pentitismo. Dunque non ha mai ritenuto affidabile la magistratura italiana. Ma anche per motivi politici: finché è stato Mitterrand, presidente socialista, il dominus della politica francese, i latitanti italiani sono stati protetti. Sotto Chirac, soprattutto dopo il 2002, le estradizioni sono incominciate. Non è un mistero che, dietro la dottrina Mitterrand vi sia anche un sacerdote. Non un prete qualunque, ma Henri Antoine Grouès, noto a tutti come l’Abbé Pierre, eroe della Resistenza in Francia, fondatore delle comunità Emmaus, sempre in prima fila nell’aiuto ai poveri in tutto il mondo. Che cosa ha spinto un cattolico così noto e stimato ovunque a premere per la protezione di Brigatisti?

La presunzione di innocenza è certamente una delle prime cause. L’Abbé Pierre ottenne un colloquio con l’allora presidente italiano Sandro Pertini per perorare la causa di Vanni Mulinaris, incarcerato preventivamente. Il processo, effettivamente, lo assolse. Protestare per un innocente in carcere è innegabilmente una giusta causa. L’Abbé Pierre tuttavia estese la protesta alla causa di tutti i Brigatisti detenuti. Fece otto giorni di sciopero della fame, dal 26 maggio al 3 giugno 1984, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni di prigionia dei condannati per brigatismo nelle carceri italiane. Perché protestare proprio per le condizioni dei Brigatisti condannati (dunque colpevoli, secondo la legge italiana) e non altrettanto per la condizione delle loro vittime?

La spiegazione non si esaurisce certamente con la presenza di una nipote dell’Abbé, Françoise Tuscher, sposata con Innocente Salvoni, uno dei rifugiati in Francia che l’Italia doveva processare per brigatismo. La Tuscher lavorava come segretaria all’Hyperion, scuola di lingue parigina fondata (nel 1977) e diretta, appunto, daVanni Mulinaris, da Duccio Berio e da Corrado Simioni, tutti e tre esponenti di quella che allora veniva chiamata “sinistra extraparlamentare”. Hyperion è stata oggetto di tantissima attenzione nelle inchieste sul terrorismo in Italia, perché era, quantomeno, “mal frequentata”. Tanto che poteva essere scambiata per un’attività di facciata di varie sigle del terrorismo degli anni ‘70, non solo italiano, ma anche palestinese, irlandese e basco. Secondo fonti Ansa, l’Abbé avrebbe aiutato Michele d'Auria, ex membro di Prima Linea. D'Auria, come molti protagonisti degli anni di piombo, fuggì in Francia, dove entrò nella comunità di Emmaus. Non ci sono prove di una vera e propria complicità, ma di amicizia e la comunità Emmaus è aperta a tutti gli uomini di buona volontà.

Cattive amicizie non sempre condizionano le idee, non necessariamente è vero il motto “dimmi chi frequenti e ti dirò chi sei”. Ma nel caso dell’Abbé Pierre, anche quel che lui stesso diceva poteva dare adito a dubbi. Come in uno dei suoi ultimi discorsi, quando si scagliò contro l’ipocrisia dei benpensanti e disse: “Quelli che hanno preso tutte le pietanze nei loro piatti lasciando i piatti degli altri vuoti e che hanno tutti una buona immagine, una buona reputazione, una buona coscienza, dicono... noi... siamo per la pace. A tutti questi che cosa dobbiamo gridare? I primi violenti, i provocatori di tutte le violenze siete voi e quando la sera nella vostra bella casa voi andrete ad abbracciare i vostri bambini con la vostra buona coscienza rispetto a Dio voi avrete probabilmente più sangue nelle vostre mani di incoscienti che quello che non avranno mai le mani dei disperati che hanno preso le armi per cercare di uscire dalla loro disperazione”.

Quando le parole, le amicizie e le azioni tendono tutte dalla stessa parte, diventa lecito pensare che l’impegno dell’Abbé Pierre nel dar rifugio ai Brigatisti in Francia fosse coerente con il suo pensiero. E si entra qui in una zona grigia, nel mistero di tanti cattolici che parteggiarono, o parteciparono attivamente alla contestazione del ’68 prima e poi alla lotta armata negli anni di piombo. Lo stesso Renato Curcio, così come gli altri fondatori delle Br, erano cattolici di formazione.

Don Gianni Baget Bozzo, nel suo L’intreccio, cattolici e comunisti in Italia 1945-2004, scrive: “Il ’68 è una rivoluzione contro la ragione illuminista e contro la ragione moderna”. Su questo punto molti cattolici di allora hanno preso una rotta altrimenti inspiegabile: “La rivoluzione culturale pensa se stessa come il bene e il reale come il male, sostituisce la dicotomia religiosa tradizionale di bene e di male a quella illuminista di razionale e irrazionale. Ciò spiega perché abbia generato un così gran numero di ‘post cattolici’, con la trasposizione delle categorie cattoliche di peccato e di grazia in quelle di multinazionali e di rivoluzioni”. Scriveva Baget Bozzo che “I cattolici che scelgono la rivoluzione culturale non si convertono al mondo moderno, ma al mondo antimoderno, non perdono le origini del loro cattolicesimo come posizione culturale, anche quando l’abbandonano sul piano della professione di fede e di vita. Mutuano, dalle loro origini cattoliche, l’idea di oblazione totale, di offerta di sé alla rivoluzione culturale e alla violenza individuale, come atti mistici di cambiamento del cuore del popolo, del suo passaggio dalla banalità della vita individuale al significato della vita nuova”.