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L'ecologismo di Coldiretti che uccide l'agricoltura

Ennesima campagna contro i cibi importati dall'estero, in quanto inquinanti per il trasporto. Si usa il pretesto dell'ambiente per difendere biechi interessi economici e di potere, danneggiando consumatori e produttori.

Creato 06_06_2014
Mercato ortofrutticolo

Nell'ambito della Giornata mondiale dell'ambiente, al Nelson Mandela Forum di Firenze è stato presentato il Dossier "Lavorare e vivere green in Italia", con la top ten dei cibi che inquinano di più. In particolare il comunicato stampa diffuso dall'Ansa (leggi qui), ci informa che secondo Coldiretti «ciliegie cilene, mirtilli argentini e asparagi del Perù salgono sul podio della top ten dei cibi che inquinano perché arrivano sulle tavole degli italiani dopo lunghi viaggi, con conseguente consumo di petrolio ed emissioni di gas serra». 

Nella lista dei prodotti a rischio ci sono anche le rose dell'Ecuador per le quali - sottolinea Coldiretti - «sono state denunciate anche situazioni di sfruttamento del lavoro, condizioni a rischio per la salute, messa in pericolo dai numerosi prodotti chimici con cui sono trattati i fiori e la mancanza di tutele sindacali».

Nell'elenco ci sono poi anche le more del Messico, i cocomeri del Brasile, i meloni di Guadalupe, i melograni da Israele e i fagiolini dall'Egitto, «che arrivano sulle tavole - osserva Coldiretti - a causa della cattiva abitudine di consumare fuori stagione alimenti di cui è ricca anche l'Italia». 

Mi sembra che da questo fiume in piena di contestazioni ai prodotti di provenienza estera, emergano tre punti chiave che vale la pena di discutere in dettaglio e cioè la mancanza di sicurezza di tali prodotti, il fatto che il trasporto inquina ed infine la mancanza di tutele sindacali per i lavoratori agricoli.

Sul primo tema ricordo che il problema della salubrità del cibo non dipende solo da dove esso viene prodotto ma anche e soprattutto dei controlli messi in atto su questo cibo. In altri termini senza controlli anche il cibo che viene dalla Germania o magari da  Busto Arsizio può essere oltremodo pericoloso. È grazie ai controlli che fenomeni come quello del vino al metanolo non si sono più ripetuti, ed è sempre grazie al sistema dei controlli in atto nel nostro Paese che oggi possiamo consumare con relativa sicurezza le mozzarelle campane prodotte nella tanto vituperata “terra dei fuochi”. Emblematico in tal senso è il caso dei germogli di fieno greco prodotti da una filiera biologica nella civilissima Germania e che nel 2011 produssero 54 morti e oltre 10mila ricoverati in ospedale. Di questo evento, oltremodo traumatico e che poteva essere evitato se il sistema dei controlli avesse funzionato a dovere, si parla pochissimo perché il “biologico” secondo la vulgata diffusa dalla stessa Coldiretti produce cibi salubri per definizione.

Circa poi il tema dell'inquinamento che deriverebbe dai trasporti a distanza del cibo, in linea di massima si può convenire che il problema sussista. Tuttavia mi domando se oggi noi italiani,  primi esportatori mondiali di vino e grandi esportatori di pasta, prosciutti e formaggio grana, possiamo permetterci campagne protezionistiche basate sull'inquinamento da trasporto. Se infatti riteniamo di imporre una moratoria alle importazioni di prodotti da zone remote del mondo dobbiamo anche tener conto che la cosa sarà presto messa in atto anche nei confronti dei nostri prodotti, con grande danno per i nostri produttori e per la nostra stessa bilancia dei pagamenti. 

Riguardo poi alle tutele sindacali per i lavoratori, val la pena di ricordare che si sentono da tempo voci circa il riapparire del caporalato nelle nostre campagne ed in particolare al sud, nelle zone di raccolta dei pomodori. Non vorrei che il pomodoro italiano non fosse più accettato all'estero per tali ragioni...

Circa poi il refrain sull'unicità del cibo italiano, ricordo che la Bresaola valtellinese (buonissima) è fatta con carne di razze zebuine che viene dal Brasile, che la nostra pasta (la migliore del mondo) è fatta con grani australiani o canadesi che hanno spesso qualità superiore rispetto a quella dei grani italiani e che il nostro bestiame da cui viene il latte per tanti prodotti tipici è non di rado alimentato con soia OGM prodotta in Brasile ed Argentina (e qui preciso che ciò non è affatto un male perché il cibo OGM non ha mai fatto venire il mal di pancia a nessuno). 

Pertanto, poiché nel commercio mondale vige la regola dell'occhio per occhio, è plausibile che prima o poi brasiliani, argentini, australiani, canadesi, ecc. si mettano a chiedere le royalties su quello che spacciamo come "cibo italiano" senza che in realtà lo sia fino in fondo, e che fino in fondo per inciso non potrà mai esserlo se è vero che siamo ampiamente dipendenti dall'estero per le materie prime con cui tale cibo è prodotto. Il paradosso è che per divenire autosufficienti in termini di materie prime alimentari (alimenti zootecnici, grano da pasta, ecc.) dovremmo puntare sull'innovazione tecnologica (ingegneria genetica, agrotecniche innovative), un concetto che la Coldiretti vede da sempre come fumo negli occhi e che invece è stato da tempo recepito da un'organizzazione agricola assai più lungimirante, e cioè la Confagricoltura.

Vorrei infine fare un piccolo richiamo di tipo morale: il commercio con l'estero aiuta fortemente i paesi in via di sviluppo ad affrancarsi dalle situazioni di indigenza in cui spesso si trovano. Pertanto quando acquisto le ottime pere argentine o cilene (spesso prodotte da nostri connazionali emigrati) ritengo di fare del bene aiutando quei produttori agricoli e quelle economie. Queste campagne dei Coldiretti mi sembrano invece ispirate da tutt'altra filosofia e certo non da carità cristiana nei confronti dei loro colleghi d'oltre mare. 

In ragione di ciò si può esprimere il fondato timore che il povero Nelson Mandela si sia rivoltato nella tomba nell'udire quanto si è scritto nel dossier presentato a Firenze. Ma soprattutto bisogna domandarsi se il Paese organizzatore di Expo 2015 possa rassegnarsi a simili rigurgiti di protezionismo di bassa lega.