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Report

Leggi sull’omofobia, disastro per le libertà nel mondo

Presentato da Pro Vita il “Report sulle violazioni delle libertà fondamentali causate dalle leggi sull’omotransfobia”, incentrato sui paesi occidentali dove ci sono già norme simili al Ddl Zan.

Gender Watch 12_06_2021

Per una volta, trovarsi in retroguardia non è un fatto così esecrabile. L’oggetto del contendere sono le leggi contro la cosiddetta “omotransfobia”. In Canada, negli Stati Uniti, in Spagna, in Francia, nel Regno Unito e in molti altri paesi occidentali, queste normative sono vigenti. In Italia no. Gli esiti disastrosi nei confronti della libertà dei cittadini e, in particolare, della libertà di espressione, dovrebbero quantomeno instillare il tarlo del dubbio nei senatori italiani finora propensi a votare favorevolmente al Ddl Zan-Boldrini-Scalfarotto.

Grazie, infatti, al Report sulle violazioni delle libertà fondamentali causate dalle leggi sull’omotransfobia, curato da Pro Vita & Famiglia, la realtà dei fatti emerge in tutta la sua crudezza. Il danno contro la libertà religiosa, ad esempio, è inenarrabile ma i principali bersagli di questa guerra epocale sono la famiglia e, soprattutto, la natura umana. Si va dal comico querelato per una battuta intesa come omofobica al padre finito in galera perché si opponeva alla transizione di genere per la figlia adolescente. «Le accuse di “omofobia” e “transfobia” - si legge nell’introduzione al rapporto - sono spesso utilizzate come pretesto per attaccare le persone, comprimendo il diritto alla libertà di pensiero e di religione, o per negare altri diritti, ad esempio, nell’ambito lavorativo e dell’iniziativa economica privata».

Si arriva quindi al paradosso più evidente dell’intera operazione ideologica: il movimento Lgbt, rappresentato spesso in armonia con quello femminista - che storicamente lo precede - si sta rivelando la più potente macchina discriminatoria contro le donne di tutto l’Occidente. «L’imposizione dell’identità di genere ha favorito, in molti paesi, situazioni in cui le donne sono state discriminate o messe in pericolo in quanto ambiti a loro usualmente riservati (ad es. spogliatoi, carceri femminili, sport femminili, ecc.), sono stati occupati da maschi transgender (che si percepiscono come “donne”)». Sotto questo profilo, in Italia ha fatto scalpore la vicenda di Fabrizio “Valentina” Petrillo, primo atleta transgender nato maschio a gareggiare in competizioni femminili. La storia di Petrillo è nulla, però, a confronto con quanto avvenuto in Messico, dove 18 candidati alle elezioni si sono dichiarati donne, aggirando così gli steccati delle quote rosa.

Il report segnala almeno 91 casi di violenza, abusi e altre violazioni dei diritti delle donne dovute al transgenderismo. La stragrande maggioranza di essi si sono consumati nei ‘civilissimi’ e progrediti paesi anglosassoni (Usa, Canada, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda) ma non mancano episodi in America Latina (Argentina, Costa Rica) e in Europa (Olanda, Svezia). Sono invece 12 (comunque tantissime) le persone censurate e attaccate per la loro contrarietà alla partecipazione dei maschi trans alle competizioni sportive agonistiche femminili e all’ingresso dei maschi biologici nei bagni e negli spogliatoi delle donne.

Ottantuno persone sono state incarcerate, condannate, processate, arrestate, multate, denunciate, aggredite e/o attaccate in violazione della libertà di espressione, per aver sostenuto il concetto che il sesso biologico è rilevante, che i bambini hanno bisogno di mamma e papà e che l’utero in affitto è una pratica disumana o per opposizione all’ideologia Lgbt. Anche in questo ambito il primato spetta ai paesi anglosassoni.

‘Soltanto’ 46 sono invece le persone incarcerate, condannate, processate, arrestate, multate, denunciate, aggredite e/o attaccate in violazione della libertà di espressione, per aver espresso i propri principi etici e/o religiosi. È pari a 67 il numero di persone fisiche o giuridiche censurate, licenziate o vittime di boicottaggio o danneggiamento delle attività economico-professionali. Le azioni istituzionali governative, politiche, mediche e mediatiche volte a consolidare il transgenderismo sono state 83. Si sono consumate negli Usa tutte le sei aggressioni finto-omotransfobiche documentate: la più clamorosa è quella dell’attore Jussie Smollett che simulò un’aggressione ai suoi danni per far parlare di sé e agevolare la propria carriera cinematografica.

E in Italia? Nel nostro paese, totalmente privo di una normativa anti-omofobia, le persone denunciate o sottoposte a vere e proprie gogne mediatiche sono almeno un’ottantina. Sono 14, poi, i casi conclamati di finte aggressioni omofobiche.

Il report è stato presentato ieri pomeriggio, presso la Sala Caduti di Nassiriya del Senato. Il vicepresidente di Pro Vita & Famiglia, Jacopo Coghe, ha individuato il più grosso pomo della discordia nella “self id”, la ‘libera’ autoidentificazione, che apre le porte all’identità di genere, e che rischia di scatenare un caos normativo, dove a finire sacrificata sarebbe la libertà delle associazioni familiari che si battono per la famiglia naturale. Al tempo stesso, però, ha sottolineato Coghe, il Ddl Zan - in particolare all’articolo 4, che interpreta in modo equivoco il concetto di libertà d’espressione - incontra un ampio fronte trasversale contrario, esteso a gruppi femministi e omosessualisti (tra questi Arcilesbica).

Da parte sua, Maria Rachele Ruiu, membro del comitato direttivo di Pro Vita & Famiglia, ha rimarcato la diffusione di un’educazione gender nelle scuole italiane, fin dalla più tenera età, attraverso esperimenti pedagogici che rischiano di diventare istituzionali e obbligatori in caso di approvazione del Ddl Zan.

Presenti alla conferenza stampa anche tre senatori di centrodestra, tutti nettamente contrari alla legge contro l’omotransfobia. Lucio Malan (Forza Italia) ha messo in luce la narrazione menzognera per cui, in assenza di una normativa che li protegge, omosessuali e transgender, in Italia, avrebbero vita dura e diritti fondamentali calpestati. “Da molto tempo - ha osservato Malan - chiunque può avere relazioni omosessuali e non è discriminato per questo, con l’eccezione rappresentata dal limite d’età”. Isabella Rauti (Fratelli d’Italia) ha individuato il punto di approdo del Ddl Zan nella costruzione di una “società basata sull’indifferenza sessuale”, che però, non risolverà le discriminazioni ma al contrario le moltiplicherà, come dimostrano gli esempi dei transgender nelle competizioni sportive e la diffusione dell’utero in affitto, mercimonio compiuto sul corpo delle donne.

Sulla stessa lunghezza d’onda Simone Pillon (Lega), secondo il quale l’Italia gode del ‘privilegio’ di trovarsi “indietro rispetto a paesi che si sono gettati in un autentico burrone”. Gli esempi provenienti dal Nord America e da quasi tutta l’Europa dimostrano quindi “le conseguenze sociali sulla pelle dei bambini, costretti a crescere senza mamma e papà, privati della loro identità sessuale, tutto in funzione di una ideologia”, il cui obiettivo è “rendere tutto famiglia”, affinché “nulla sia più famiglia” e determinare una “società di individui sempre più isolati”.