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Politicamente corretto

Leonardo bisex e pacifista, l'ultima trovata della fiction

La fiction su Leonardo da Vinci, dopo una lunga serie di luoghi comuni e ricostruzioni artificiali della storia, in obbedienza a tutti i canoni del politicamente corretto, si conclude con un Leonardo bisessuale. 

Gender Watch 21_04_2021

Sui titoli di coda sarebbe stata più appropriata, come colonna sonora, la canzone di Renato Zero Il triangolo. La chilometrica fiction su Leonardo da Vinci si conclude con una classica happy end, il «…e vissero felici e contenti» della migliore tradizione delle fiabe. Pare che il pubblico americano ci tenga. Così, lui, lei e l’altro, con tanto di figlio di terzi al seguito, vanno verso un radioso avvenire francese: Go to France! (vecchia canzone di Mike Oldfield dedicata alla cattolica regina Maria Tudor). Il Leonardo della storia subì, da giovane, un processo per sodomia, è vero. Ma ne uscì assolto perché probabilmente si trattava di un semplice atto di nonnismo. Tuttavia oggi il Politicamente Corretto impone un’altra versione: Leonardo è omo. Però ama anche una donna (e con ciò si accontentano pure i conservatori). Insomma, bisex.

I trans non c’erano ancora a quell’epoca, sennò ce ne avrebbero messo uno/a, tanto per allargare la platea. Invece, a quel tempo, c’erano i neri, che chiamavano «negri». Assenza vistosa nella fiction. E qui, ecco due problemi: l’aderenza storica vorrebbe l’uso dei vocaboli d’epoca, ma «negro» è parola ormai tabù. L’altro problema è questo: i neri che circolavano allora in Italia erano schiavi mori catturati in azioni navali di contro-pirateria, da usarsi come merce di scambio per gli schiavi cristiani su cui si basava tutta l’economia ottomana. Leonardo con uno schiavo negro? Non sia mai (anche se probabile)! Per non farsi mancare niente, ecco un Leonardo pure pacifista, che progettava macchine di distruzione di massa obtorto collo e solo perché costretto dai potenti che lo tenevano in pugno. Invece, la storia, quella vera, ci dice che era proprio lui a proporre tali marchingegni (tra parentesi, tutti fallimentari) per entrare nelle grazie degli anzidetti potenti. I quali, va detto, non realizzarono neanche una delle trovate belliche leonardesche, valendosi tutt’al più delle sue competenze come ingegnere militare. E anche alla corte del re di Francia il Nostro era stimato più che altro come organizzatore di spettacoli: al compleanno del re esibì alla corte, tra gli applausi, un leone meccanico che apriva il petto mostrando lo stemma della casa regnante.

Non che i potenti non apprezzassero le armi da lui ideate, ma ostava ancora quel rimasuglio di spirito cavalleresco ereditato dal Medioevo, quando nelle battaglie si preferiva catturare e non uccidere i cavalieri meglio addobbati per lucrarne il riscatto. Si pensi che la Chiesa osteggiò a lungo la balestra, considerata sleale. Un'arma atta a sterminare i nemici? Ma subito anche questi ultimi l’avrebbero copiata, col risultato di tornare pari in campo, con solo un mucchio di morti inutili in più. Una delle poche cose storicamente corrette della fiction in questione è l’assenza totale della religione. Che era l’unica cosa che a Leonardo, genio poliedrico quant’altri mai, non interessava. Le sue Madonne, l’Ultima Cena? Semplice committenza, in un’epoca in cui la Chiesa era la maggiore committente di statue e dipinti. Ma, si noti, dietro a ogni Madonna di Leonardo c’è un paesaggio spettrale, e il Gesù della Cena è desolato e solo.

Qualche cinese al suo tempo e nei suoi luoghi c’era, e sarebbe stato ottimo business inserirne qualcuno, data la diffusione odierna di intere comunità dell’ex Celeste Impero nel mondo occidentale. E cinesi nostrani, a differenza degli africani, i soldi li hanno. Invece, no, si preferisce copiare dagli Usa. Per esempio, la Barilla, dopo i fallimentari spot omo (costretta, come si ricorderà), eccola tornata alla famiglia tradizionale, che è quella che compra più pasta. Con un commensale africano, però, perché questo è l’attuale input americano. La domanda è: perché spendere fior di denari per i “creativi” pubblicitari, che non sono creativi affatto, visto che fanno tutti la stessa cosa? Boh.