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TRIPOLI

Libia, ecco il disastro provocato

Il 17 febbraio 2011 a Bengasi, in Libia, scoppiava la rivolta che si sarebbe conclusa il 20 ottobre successivo con il linciaggio di Muhammar Gheddafi. Nel secondo anniversario i cittadini libici non hanno molto da festeggiare. 

Esteri 19_02_2013
Libia

Il 17 febbraio 2011 a Bengasi, in Libia, scoppiava la rivolta che, grazie all’intervento militare della Francia e di altri stati tra cui l’Italia, si sarebbe conclusa il 20 ottobre successivo con il linciaggio di Muhammar Gheddafi. Nel secondo anniversario, i festeggiamenti organizzati dal governo nelle principali città del paese si sono svolti in un clima a dir poco teso: misure di sicurezza eccezionali nel timore di attentati e violenze, chiuse le frontiere con Egitto e Tunisia.

Da festeggiare, d’altra parte, i cittadini libici per ora non hanno molto, da qualunque punto di vista si consideri la situazione creatasi nel frattempo. Men che meno si rallegrano le donne. Il 9 febbraio la sezione costituzionale della Corte Suprema ha infatti affermato il fedele rispetto della legge coranica nella nuova Libia e questo implica il diritto assoluto e indiscutibile di ogni uomo ad avere fino a quattro mogli contemporaneamente: un diritto riconosciuto anche durante il regime del colonnello, ma condizionato al consenso delle mogli o di un giudice. Si può prevedere che l’osservanza rigorosa della legge coranica reintroduca il ripudio e qualsiasi norma intesa a limitare la libertà delle donne.

Altre libertà fondamentali sono già compromesse, prima fra tutte quella di religione. A Bengasi, il 12 febbraio, quattro cristiani evangelici stranieri – un sud-coreano, un egiziano, un sudafricano e un uomo con doppia nazionalità USA e svedese – sono stati arrestati con l’accusa di proselitismo per aver stampato con finalità di propaganda religiosa 70.000 di libri sul Cristianesimo: al momento dell’arresto, sostengono le autorità libiche, sarebbero stati trovati in possesso di 45.000 volumi, mentre altri 25.000 sarebbero già stati distribuiti tra la popolazione.

L’influenza degli integralisti islamici fa temere di peggio. Il 30 dicembre 2012 a Dafniya, una cittadina vicino a Misurata, sulle coste del Mediterraneo, una chiesa copta è stata colpita da un ordigno esplosivo che ha causato la morte di due egiziani e il ferimento di altri due. Il vicario apostolico Giovanni Vincenzo Martinelli denuncia una situazione estremamente critica soprattutto in Cirenaica: i fedeli ancora si riuniscono nelle chiese, ma la paura è tanta. È di questi giorni la notizia che due comunità religiose cristiane stanno per lasciare la regione: le suore Francescane del Gesù Bambino di Barce e le Orsoline del Sacro Cuore di Gesù di Beida. Non sono le prime.

Lo scorso ottobre, minacciate ripetutamente da un gruppo integralista, hanno ceduto all’intimazione di chiudere il loro convento di Derna e partire le suore della Sacra famiglia di Spoleto, presenti in Libia fin dal 1921. Anche nel resto del paese, tuttavia, i cristiani temono per il futuro e fuggono.
Secondo la testimonianza di padre Dominque Rézeau, della chiesa cattolica di San Francesco a Tripoli, raccolta dall’agenzia missionaria Fides, dei circa 100.000 cristiani residenti in Libia all’epoca di Gheddafi – circa il 3% della popolazione – ne restano poche migliaia.

Neanche i morti vengono risparmiati: ogni giorno nel cimitero italiano di Tripoli, dove riposano 6.499 nostri connazionali tra cui Italo Balbo, le tombe vengono profanate, i resti umani dissepolti e sparsi in giro. Lo stesso, come si ricorderà, è successo nel 2005 in Somalia, a Mogadiscio, ad opera degli miliziani integralisti delle Corti Islamiche.
Come nel vicino Mali, inoltre, gli integralisti attaccano il patrimonio culturale, storico e artistico. Dallo scorso agosto, più di 70 edifici sono già stati distrutti: per la maggior parte moschee e santuari della minoranza islamica sufi e centri culturali e biblioteche non islamici.

Nel mirino degli integralisti sono non solo opere sacrileghe o semplicemente indecenti ai loro occhi, ma anche siti storici e archeologici di valore universale, inclusi nella lista dei patrimoni dell’umanità dall’Unesco: ad esempio, le città romane di Leptis Magna, Cirene e Sabrata, l’oasi berbera di Gamades e le pitture rupestri di Radrart Acacus. A Tripoli – riporta l’agenzia di stampa Asia News che il 16 febbraio ha intervistato Mustafa Turjman, responsabile del Dipartimento per le antichità libiche – nei giorni scorsi degli estremisti hanno tentato di danneggiare e poi di coprire con un velo la statua “della Gazzella”, il monumento bronzeo risalente all’epoca coloniale italiana simbolo della città che rappresenta una donna.