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SUMMIT ONU

Ma quale clima, la disgrazia dell'Africa è nei suoi leader

Il Summit Onu sul clima, attualmente in corso, e lo sciopero dei giovani lo scorso venerdì sono altri due elementi di depistaggio a proposito delle vere cause della povertà di tanti popoli e della degradazione dell'ambiente. Che stanno nel sottosviluppo e nella corruzione e incompetenza dei loro stessi leader.

Creato 23_09_2019
Una marcia per il clima

È in corso al Palazzo di Vetro di New York un summit sul clima. Vi hanno aderito 60 stati disposti a rivedere i loro piani di riduzione delle emissioni di gas serra. La proposta del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres è di ridurle del 45% entro il 2030 e arrivare entro il 2050 al traguardo di zero emissioni. Oltre ai loro rappresentanti sono stati invitati a partecipare al summit esponenti del mondo del lavoro e della finanza, “leader climatici” e centinaia di giovani.

In vista di questo evento, venerdì 21 settembre in tutto il mondo è stato lanciato un Friday for future, uno sciopero degli studenti per il clima al quale pare abbiano aderito milioni di persone. Per la prima volta i ragazzi hanno chiesto agli adulti di unirsi a loro. Qualcuno lo ha fatto. L’adesione più convinta è stata da parte dei sindacati.
I mass media dicono che si sono visti studenti per strada, in sciopero, in ben 185 stati, dalle Isole Salomone, che temono di finire sommerse dall’Oceano, alla Germania, dove il cancelliere Angela Merkel ha incoraggiato la protesta perché in qualità di scienziato – ha un dottorato in chimica quantistica – dice di essere stata conquistata dal motto di Greta Thunberg: “uniti dietro la scienza”.

Chi persuade i giovani che il clima stia cambiando per colpa degli adulti si assume l’enorme responsabilità di falsare i fatti – finora il riscaldamento di origine antropica non è dimostrato, si tratta di una congettura –  e di aggiungere una ulteriore colpa alle tante già falsamente attribuite alla civiltà cristiana occidentale – artefice del modello di sviluppo incriminato – allo scopo di coalizzarle contro il resto del pianeta e i suoi stessi figli.  Inoltre confonde le menti, inducendo i ragazzi a pensare che per salvare il mondo bastano una bistecca o una forchetta di plastica in meno.

Viene in mente il periodo in cui, anni fa, bastava rinunciare a una tazzina di caffè per eliminare la fame dal pianeta: slogan accantonato quando qualcuno ha fatto osservare che caffè e zucchero sono coltivati proprio nei paesi poveri e quindi ogni tazzina di caffè in meno avvicina di un passo a perdere il lavoro, e di che sfamare i figli, chi coltiva quei raccolti. Oppure bastava comprare “equo e solidale” per fare giustizia sulla Terra e liberare dalla povertà milioni di persone: ricetta che ha perso attrattiva quando più dello sviluppo è diventato importante il risparmio di energia ed è iniziata l’era del “chilometro zero” e della “decrescita felice”. Tutte le merci equosolidali infatti percorrono migliaia di chilometri per raggiungere gli scaffali dei nostri negozi.

“Se ve, se siente, la tierra està caliente” scandivano gli studenti di Città del Messico venerdì scorso. “Greta! Greta! Greta!” cantava la folla a New York; e lei a dire: “Faremo tutto il possibile per impedire che questa crisi peggiori anche se questo vuol dire saltare la scuola o il lavoro perché questo è più importante. Perché dovremmo studiare per un futuro che ci stanno togliendo?”.  

A reclamare giustizia contro chi alimenta tanta ostilità e un tale stato di paura, di ansia per il futuro, sono più ancora delle immagini delle manifestazioni organizzate nei paesi asiatici e africani, le interviste ai ragazzi africani, ad esempio, pochi per la verità, anche loro per strada a Nairobi, Johannesburg, Dakar, Abuja, con i loro cartelli e i soliti slogan: “il futuro è nostro, non distruggetelo", “nutrite madre natura”, “vogliamo un futuro sicuro”, “salvate il pianeta”, “il pianeta brucia”…

I loro leader, i loro genitori sfruttano, sprecano e distruggono irrimediabilmente un patrimonio immenso di risorse e bellezza naturali. I governi vendono e affittano per pochi dollari a imprese e paesi stranieri terre che diventano fertili e prima erano incolte o di scarsa resa perché non si era pensato di creare le infrastrutture necessarie e sostenere le attività agricole (lo chiamano “land grabbing”).
Peggio ancora, acconsentono a espropriare intere comunità che su quelle terre vivevano, anche se a mala pena, per cederle agli acquirenti; oppure espropriano le fattorie che producono per il mercato interno e internazionale, chiamandolo “riforma agraria”, lasciando poi i terreni trasformarsi in boscaglia; oppure, per conquistare consensi elettorali, assegnano agli agricoltori appezzamenti ricavati abbattendo le foreste, non adatti a essere coltivati.

Immense discariche di rifiuti invadono le città, miliardi di frammenti di plastica e di altri materiali sintetici contaminano acque e terreni. Le attività estrattive deturpano e inquinano senza che nessuno si preoccupi di impedirlo. Si dirottano fiumi, si costruiscono dighe senza preoccuparsi delle conseguenze. Il bracconaggio decima la fauna selvatica, risorsa preziosissima, complici direttori di parchi, ministri e chiunque intravveda un profitto immediato dall’uccisione di un animale. Persino gli asini stanno scomparendo in Africa, scuoiati vivi nei mattatoi, e così pure i pangolini, cacciati a milioni, per rispondere all’insaziabile richiesta asiatica. Intanto la produzione agricola di sussistenza esaurisce i terreni: i pascoli sono invasi da mandrie e greggi malnutrite e mal curate che rendono poco in latte, carne e pelli, le terre coltivate inaridiscono sfruttate allo stremo senza fertilizzanti, diserbanti e insetticidi.  

È di questo scempio che i giovani africani dovrebbero chiedere conto agli adulti del loro continente in nome della natura, dell’ambiente, del loro futuro. Da oggi invece e in avvenire, assolti ai loro occhi, la colpa di carestie, povertà, guerre, esodi forzati, emigrazioni di massa sarà del cambiamento climatico antropico, del riscaldamento globale che, come si ripete ossessivamente, è causato dai “paesi ricchi”, ma colpisce quelli poveri e i loro innocenti abitanti.