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ITALIA

Manovra pesante, ma indispensabile

La manovra varata dal Governo Monti ha molti punti deboli, soprattutto per le cose che non ci sono, ma la grave situazione non ammette rinvii.

Attualità 06_12_2011
fornero e monti

Della manovra varata la prima domenica di dicembre dal Governo di Mario Monti si può dire tutto il male possibile perché di difetti ne ha veramente molti. Per quello che c’è e soprattutto per quello che non c’è. Ci sono molti provvedimenti che si risolvono in pratica in un aumento della pressione fiscale, e non ci sono interventi strutturali per l’abbattimento del debito pubblico attraverso la vendita del patrimonio dello Stato.


C’è la sospensione temporanea delle indicizzazioni estesa anche alle pensioni medio-basse mentre c’è solo qualche passo iniziale sul fronte del taglio dei costi della politica. C’è un aggravio delle imposte sulla casa mentre  non ci sono misure forti per sostenere la crescita e far uscire dalla stagnazione l’economia.


Detto questo tuttavia quella approvata dal Governo appare una manovra altrettanto ostica quanto indispensabile. Per il bene dell’Italia, come ha sostenuto il Presidente del Consiglio, e non semplicemente per rispondere alla pressioni dell’Europa.

E in verità in questa manovra il Governo si è mosso con due obiettivi altrettanto importanti: 1) evitare l’esplosione di una crisi di insolvenza che avrebbe messo in ginocchio non solo la moneta unica europea, ma il benessere stesso della società italiana; 2) iniziare a porre mano a quelle riforme strutturali che per anni Governi preoccupati solo del consenso elettorale hanno accuratamente evitato.


E’ così per la previdenza. Perché il dire, come è stato ripetutamente fatto negli ultimi mesi, “le pensioni non si toccano” vuol dire semplicemente creare nel sistema previdenziale uno squilibrio tale da mettere in difficoltà l’erogazione delle stesse prestazioni con aggravi sempre maggiori sul lavoro e sulle imprese. Sulle pensioni un Governo lungimirante deve svolgere una continua opera di “manutenzione”. Perché stiamo vivendo anni di profondi cambiamenti: del profilo demografico, perché si vive sempre più a lungo; del profilo del lavoro, perché sono una piccola minoranza (comunque da privilegiare) gli impieghi in situazioni usuranti; del profilo dell’equità tra le generazioni, perché i forti stanziamenti statali per la previdenza di fatto impediscono interventi a favore dei giovani e delle famiglie.

Il punto debole della manovra di Monti, non sta comunque nel doveroso innalzamento dell’età pensionabile, ma sta nel blocco delle indicizzazioni: non solo per le pur poche decine di euro (comunque importanti per chi ha un reddito basso) che vengono tolte, ma anche perché questo offre un sicuro appiglio alla protesta e alle contestazione.

Proteste e contestazioni che non sono mancate, in modo particolare dai sindacati, ma anche dagli stessi partiti che comunque hanno continuato a garantire l’appoggio al Governo. Ma al di là della logica dei veti, una logica che ha portato l’Italia sull’orlo del baratro, non si sono viste grandi proposte alternative. Nemmeno sui fronti che il Governo ha rinviato, come quello dei tagli alla politica o gli interventi per il mercato del lavoro.


Sulla riduzione della spesa pubblica comunque, i pur limitati passi avanti appaiono fortemente positivi. In particolare l’abolizione del livello politico-elettivo delle Province salvaguarda le competenze e le funzioni di questi enti locali, ma elimina una costosa e superflua fascia di rappresentanza. Comuni e Regioni sono più che sufficienti per esprimere una linea politica con metodi democratici. La manutenzione delle scuole o la realizzazione delle rotonde spartitraffico (che sono tra la maggiori competenze delle Province) possono benissimo dipendere da uffici tecnico-ammistrativi. Certo, si aboliscono un migliaio di poltrone che facevano molto comodo nella spartizione del posti tra i partiti: e solo per questo si leveranno gli scudi, mentre solo per questo bisogna essere grati al Governo Monti invitandolo a non fare passi indietro su questa strada.


Anche le nuove tasse sulla casa non possono essere certo considerate simpatiche. Ma vanno considerate con due prospettive: la prima consiste nel riequilibrio dell’imposizione evitando ulteriori aggravi delle imposte sul reddito, la seconda nel creare le condizioni per attuare veramente una lotta all’evasione fiscale. Perché un reddito si può occultare, mentre un immobile è praticamente impossibile da nascondere.


C’è poi l’annunciato aumento dell’Iva per il secondo semestre dell’anno prossimo. Vi è da sperare che si tratti di un annuncio tattico: convincere i consumatori ad anticipare gli acquisti, per evitare l’aumento dei prezzi, con un’automatica ed immediata spinta per l’insieme dell’economia.

Così come vi è da sperare che l’azione del Governo non si fermi alle misure annunciate domenica sera con gli obiettivi (almeno momentaneamente raggiunti) di rassicurare i mercati, frenare la speculazione sulla moneta unica, raffreddare i tassi di interesse.


Mancano infatti molte cose fondamentali: dalle misure per le famiglie alle dismissioni del patrimonio pubblico, dai tagli più sostanziosi alla politica ad una più ampia dose di liberalizzazioni. Ma questa manovra è figlia di un decennio in cui è mancata, sia a destra (per più tempo), sia a sinistra, una vera politica di riforme economiche. Con un debito che ha continuato a crescere e una realtà economica sempre più stagnante anche ben prima della crisi globale del 2009.

Bisogna forse ricordare che coloro che protestano, come la Lega e i sindacati, sono comunque (anche se in modi ovviamente diversi) tra i responsabili delle scelte politiche che hanno reso necessaria questa manovra. Ugualmente pesante, quanto indispensabile.