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INTERVISTA ALLA DISSIDENTE

Masih Alinejad, i mercoledì bianchi contro il velo iraniano

Intervista a Masih Alinejad, giornalista e dissidente iraniana, esule volontaria negli Stati Uniti, lotta contro lo hijab obbligatorio, il velo imposto a tutte le donne in Iran sin dal 1979. Promuove le proteste del "mercoledì bianco", giorni in cui le donne si levano il velo in pubblico, sfidando il pericolo degli arresti e delle rappresaglie.

Esteri 21_10_2019
Masih Alinejad

“Le autorità della Repubblica islamica affermano che l’hijab sia un obbligo legale: una legge cattiva che va modificata”, dice Masih Alinejad. L’ormai famosa giornalista e attivista iraniana, autrice de Il vento nei miei capelli: la mia lotta per la libertà nell’Iran moderno, fondatrice della My Stealthy Freedom e promotrice dei White Wednesdays che combatte da circa cinque anni contro l’idea stessa del velo islamico. Ma avrebbe voluto iniziare molto prima. “È tutta la vita che lo detesto”, ci dice.

Dalla fine degli anni '70, in Iran la disobbedienza al velo si paga con coercizione, violenza e carcere. Come accaduto a Nasrin Sotoudeh, che in quanto avvocato delle donne che hanno osato andare in giro senza velo è stata condannata a 38 anni di galera e 148 frustate. Oggi, però, la lotta contro il velo obbligatorio è la più grande sfida per il regime dei mullah. Eppure tutte, con Masih Alinejad in testa, sono a caccia del consenso internazionale - il grande assente. Alinejad vive da auto-esiliata e non ha contatti da più di dieci anni con la sua famiglia, che vive ancora nel povero villaggio dove è cresciuta, nel nord dell'Iran. La sorella è stata costretta a rinnegarla pubblicamente alla televisione iraniana in prima serata, il fratello solo pochi giorni fa è stato arrestato solo per il suo legame familiare.  "È tipico del governo iraniano far tacere gli attivisti tenendo in ostaggio le loro famiglie. Quel che faceva anche Stalin", ha dichiarato Alinejad. 

Alinejad, perché l'esilio volontario a New York?

Era il 2009, e nel bel mezzo delle contestate elezioni presidenziali, venni "incoraggiata" dalle forze di sicurezza della Repubblica islamica ad abbandonare il Paese. L'alternativa sarebbe stata la galera. Sono così partita per il Regno Unito, e nel 2014 mi sono trasferita a New York, dove mi sono sposata. Un esilio inevitabile, dal momento che tornare in Iran per me significa la pena di morte per aver sfidato la Repubblica islamica.

La sua sfida alla Repubblica è iniziata contro la corruzione delle istituzioni per poi dedicare ogni sforzo contro l'obbligo del velo. Da allora che cosa fa e come è  cambiata la sua "battaglia"?

Oggi la mia lotta è per i diritti delle donne, perché non siano trattate più come individui di seconda classe. Ho lanciato una campagna, My Stealthy Freedom - La mia libertà clandestina -, contro l'hijab obbligatorio. E ora si è trasformata nel "Mercoledì bianco": le donne si tolgono l'hijab il mercoledì o indossano una sciarpa bianca come simbolo di protesta e si lasciano fotografare esponendosi pubblicamente. La mia campagna accende i riflettori sugli abusi della leadership religiosa contro le donne, dal velo al divorzio sleale. Il cuore di una battaglia che non è solo mia è la libertà. La libertà di scegliere se indossare l'hijab o meno. La libertà di privarsi del velo.  

In Europa, e non solo, la questione del velo viene ignorata ed è costantemente fraintesa. Come spiegherebbe a un occidentale la protesta sua e di tantissime iraniane?

In Occidente le donne usano gridare lo slogan politico "mio il corpo, mia la scelta". Noi vorremmo semplicemente la libertà di scegliere di non indossare il velo. Anche perché il non poter controllare come coprire le nostre teste, vuol dire anche non avere il controllo dei pensieri nelle nostre teste.  

Lei sa che le istituzioni occidentali considerano il velo come un simbolo di emancipazione?

In Occidente, alcune istituzioni intendono proteggere le loro minoranze musulmane e vedono nel codice di abbigliamento islamico un modo per salvaguardare l'identità islamica. Poi ci sono aziende nel mondo dell'abbigliamento, come la Nike, che pensano di fare lo stesso e nel frattempo ottengono guadagni consistenti. La questione, però, è che nella Repubblica islamica dell'Iran le donne non hanno scelta. Se non si indossa l'hijab dall'età di 7 anni, non è possibile andare a scuola, non è possibile ottenere un lavoro, non è nemmeno possibile ottenere qualsiasi documento di identità, come una patente di guida o addirittura ricevere cure mediche. Questo vale sia per le donne iraniane che per tutte quelle che vengono in viaggio o per gli atleti che visitano l'Iran.

Alcuni sostengono che quando le proteste dei "mercoledì bianchi" hanno attirato l'attenzione dei media a gennaio 2018, sono state in realtà una semplice trovata per nascondere le proteste sulla crisi economica in Iran.

Molte sono state le donne che, durante i mesi caldi delle proteste dei 'mercoledì bianchi', hanno politicizzato l'iniziativa e preso parte alle proteste contro la crisi economica. Eppure dall'inizio delle mie campagne contro l'obbligo di hijab, dal 2014, ho mostrato quasi quotidianamente attraverso foto e video come le donne hanno sfidato le autorità, la polizia e le forze di sicurezza in nome della libertà dal velo. Donne che, rischiando la propria vita nel mostrarsi a capo scoperto non hanno certo distratto o nascosto le altre proteste. Anzi: hanno contribuito ad aprire una finestra su questa realtà al mondo internazionale. 

Che cosa vuol dire vivere in una Repubblica islamica?

Molto semplicemente significa vivere sotto in una dittatura religiosa. È come vivere nell'incubo distopico di Orwell in '1984' o nel 'Racconto dell'ancella' di Margaret Atwood.

Qual è la ragione per cui pensi che alla marcia delle donne contro Trump negli Stati Uniti molte abbiano scelto di indossare il velo islamico? Perché il femminismo liberal ama così tanto il velo?

Probabilmente l'imposizione di Trump di restrizioni sui visti a un certo numero di paesi a maggioranza musulmana e il cosiddetto muslim-ban hanno in qualche modo stimolato i liberal ad un braccio di ferro con il Presidente, che è consistito nell'appoggiare i musulmani più conservatori. Ma a tempo debito i liberal si renderanno conto del significato dell'islam radicale. Anche perché in America, puoi indossare il velo se lo desideri. In Iran la scelta non c'è. 

Che cosa è cambiato da Obama a Trump per i rapporti con l'Iran?

Il presidente Obama ha scelto di seppellire i diritti umani in nome dell'accordo nucleare. Ha chiuso un occhio su quasi tutte le trasgressioni della Repubblica islamica. Obama ha parlato magnificamente, ma ha lasciato che i mullah di Teheran facessero quello che volevano fintanto che avessero un accordo nucleare. Anche il presidente Trump è in cerca di un accordo. Sta giocando duro contro Teheran ma non è chiaro come andrà a finire.  

Crede che sia possibile fare un parallelo tra l'Iran e la Turchia completamente islamizzata che Erdogan sogna?

Sono molte le organizzazioni di sinistra, in particolare i gruppi di donne, che in Turchia sostengono il nostro movimento dei "mercoledì bianchi". Non vogliono che la Turchia diventi un'altra Repubblica islamica. Per il loro bene spero che la democrazia turca tenga duro.