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LA MORTE DELL'ATTORE

Mattatore non impegnato: perché Proietti piaceva a tutti

Di Gigi Proietti, morto ieri a 80 anni, resteranno la versatilità con cui passava da Shakespeare al contadino ciociaro e il suo essere mattatore in scena. Talenti ormai scomparsi nella comicità mordi e fuggi di oggi. Di Sinistra, ma non organico al kulturame, ha fatto ridere tutti dimostrandosi in questo genuinamente popolare e aveva un dono unico: dare vita alla parola usando la mimica. Noi lo ricordiamo per il Cyrano del 1985, luna piena compresa, che ieri notte è tornata in scena. 

Cultura 03_11_2020

Attore, comico, cabarettista, doppiatore, conduttore, regista, cantante, imitatore. Per ognuna di queste voci Gigi Proietti, morto ieri a Roma nel giorno del suo 80esimo compleanno, aveva e avrà un buon motivo per farsi ricordare.

Al cinema con Febbre da cavallo ha imposto il personaggio di Mandrake, archetipo dello sbruffone, perdigiorno e baro scommettitore, in tv è stato il saggio e pacato Maresciallo Rocca e poi nella miniserie Preferisco il Paradiso si è cimentato con la figura di San Filippo Neri.

Il cabaret è stata la sua consacrazione. Ieri tutti ricordavano la barzelletta del Cavaliere bianco e del cavaliere nero ma è con le produzioni tv come A me gli occhi, please (1976) che l’attore romano ha messo nel mondo dell’arte teatrale il sigillo del mattatore. Riguardare oggi i suoi spettacoli da one man show fa comprendere come gli attori di una volta fossero davvero completi: capaci di far ridere e piangere, ma mai senza commiserazioni né la sensazione di volerti impartire per forza una morale come nel toccante monologo mio padre era partigiano. Un one man show le cui interpretazioni vivevano di luce propria e nelle quali Proietti ha davvero esplorato in forma attoriale tutto l’umano sentire: il riso e il pianto, il buffo e il tragico, il serio e l’incommensurabile cazzeggio. Oggi, guardando i pur tanti e bravi comici nel panorama, manca una caratteristica che invece Proietti aveva innata: la capacità di reggere lo show per ore. Li vedi già stanchi dopo un quarto d’ora di esibizione, perdono l’aggrappante col pubblico perché vivono di una battuta mordi e fuggi e poi rischiano di diventare ripetitivi.

Invece reggere la scena lo puoi fare solo se hai la forza di tenere lo spettatore inchiodato perché sei lì per fare teatro e non per un impegno dove il teatro è sempre mezzo per qualcos’altro che dagli anni ’70 in poi si è fatto politico, poi sociale e oggi persino moralistico con tanti attori che si trasformano giullari pronti a servire le istanze del politicamente corretto.

Chi oggi può ambire a questo talento? Forse nessuno, forse Fiorello, se fosse meno pigro e più completo sul versante attoriale, potrebbe ambirvi, ma da un punto di vista della totalità, di chi sa passare con nonchalance da Shakespeare al contadino ciociaro che legge l’orario alzando i testicoli dell’asino, Proietti era ed è ancor oggi inarrivabile.

In lui non colpiva lo sberleffo fine a se stesso o la satira al potente di turno, ma la sua grande sapienza nel prendersi gioco con leggerezza di tutti e di nessuno, senza per questo doversi giustificare per le sue idee politiche per le quali non era costretto a timbrare il cartellino ogni volta. Certo, di sinistra lo era e persino comunista, mai pentito né arrovellato dal giustificazionismo cialtrone del kulturame sinistrorso di casa nostra. «Tutte le volte che parlo con uno di Sinistra, divento subito di Destra» era l’unica concessione alla politica, una certa libertà di pensiero, cosa non rara in un mondo di giullari spesso di regime falsamente liberi.

Ma il suo più grande talento è stato l’essere davvero del popolo. Nessuno più di lui, a parte Alberto Sordi e tra i viventi – sicuramente - Carlo Verdone, ha saputo coniugare l’arte comica al servizio di tutti e non solo di una platea di pubblici pre-selezionati da istanze ideologiche come se la comicità dovesse dividersi immancabilmente, di qua il Bagaglino e di là Zelig, fuori i coatti alla Zalone, dentro gli inseriti alla Benigni. In questo è stato genuinamente popolare: ci ha fatto ridere, tutti. Proietti va ringraziato perché non è mai scivolato per necessità o vezzo nel prototipo dell’intellettuale impegnato, anzi di questi sapeva ridere come quando straordinario chansonnier esistenzialista della gauche francese, lo sbeffeggiava sulle note di ne me quitte pas di Jacques Brel, dicendogli nun me rompe er cà. E anche di questo va ringraziato, se non è diventato organico né engagè è perché ha amato gli assi di legno della scena come la vita.

Una qualche concessione all’impegno politico va registrato a dire il vero e gli dovrà essere perdonata, come quando nel ’74 si fece promotore del referendum sul divorzio. Nei successivi 40 anni di carriera però, sono state davvero poche le occasioni per impartire lezioncine al suo pubblico.

Una lezione, invece, e grande, l’ha impartita sul palcoscenico con allestimenti teatrali di grandi classici, la sua cifra più dimenticata oggi perché il teatro è fatica, ma forse sono state le sue produzioni più vere, nelle quali emergeva il Gigi Proietti più completo, la sua straordinaria maestria nell’interpretare tutte le sfaccettature dell’umano, con una versatilità che lo rendeva poliedrico e magnetico.

Se dobbiamo scegliere una piece dalla sua sterminata produzione, niente come il Cyrano di Bergerac portato in scena nel 1985 come regista e interprete può raggiungere queste vette, che rappresentano senza ombra di dubbio la sua maturità dopo la quale iniziò un lento e dignitoso ripiego verso la più “facile” miniserie tv.

Del resto, il Cyrano è un punto d’arrivo per ogni attore che si concede con il cadetto di Guascogna il suo momento da protagonista vero. La sua interpretazione è ancor oggi sublime: la poesia si incarna nelle mimiche del volto e degli occhi in grado di parlare più di quanto Rostand avesse mai immaginato nel delineare i contorni del suo eroe romantico.

Nel monologo del naso ci sono tutti i sentimenti e le eccletiche forme del carattere, Cyrano è Proietti e viceversa, in ogni declamazione su quel naso di volta in volta picco, monumento, ombrello una sua caratteristica sempre cangiante come cangiante è stata la sua capacità di spaziare negli stili e nei caratteri.

Proietti è davvero il Cyrano che fu tutto e non fu niente, mentre lancia a Dio il grido sulla morte che gli ha tolto il lauro e la rosa ma non il pennacchio, la sua vita, ancora oggi emoziona e lascia di sasso per la tragica levità di una vita che se ne va per immergersi lassù, verso la opalina luna che lo chiama. In tanti hanno notato la coincidenza della morte nel giorno del compleanno. Ma nessuno si è accorto che ieri notte, la luna piena di inizio novembre, non era un casuale elemento di scena.