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DOCUMENTO

Medici, attacco alla libertà di coscienza

Il nuovo Codice di deontologia per i medici, in via di definizione, contiene un attacco alla libertà di coscienza. In pratica i medici si troveranno di fronte alla scelta tra l'esecuzione di pratiche immorali o la rinuncia alla medicina.

Vita e bioetica 30_08_2013
Medici

C’è un detto che dice: “Se al peggio non c'è mai fine, al meglio non c'è neanche inizio”. Ed è questa l’impressione che si ha leggendo il codice di deontologia medica in via di preparazione, ora che finalmente lo si può leggere per intero sul sito del sindacato FIMMG di Roma a cui siamo grati per l’opera di trasparenza.

Stupisce che di un tale testo, accreditato dell’approvazione unanime da parte dei medici, al momento che scriviamo continua a non esservi traccia sul portale della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici che si è incaricato di stilare i 79 nuovi articoli che lo compongono. In effetti se ci era parso di sentire odore di bruciato leggendo dell’abolizione del termine “paziente”, ora che abbiamo aperto il forno di questa “Hell Kitchen” deontologica, ci siamo trovati davanti ad un codice davvero indigeribile.

Sono così gravi e numerosi i cambiamenti apportati che dopo la prima lettura siamo rimasti di stucco. Possibile? Una cosa di questo genere dovrebbe essere vincolante? Ma chi l’ha scritto? Quando? Come hanno proceduto? Ancora è avvolto tutto nel mistero, anche se alcune notizie cominciano a filtrare.

L’operazione più violenta messa in atto nell’attuale bozza è senza dubbio quella contro la libertà di coscienza del medico. Di fatto, se passa l’attuale codice, al medico a cui venga richiesta una prestazione che confligge con i propri convincimenti etici non restano che due alternative: o soccombere e fare quello che per lui è immorale, oppure essere deferito all’ordine rischiando la radiazione dall’albo professionale e non potere più esercitare la medicina.

Lo ripetiamo in termini chiari e drammatici: questo è il più subdolo colpo sparato contro la libertà del medico. Tre sono i siluri che gli estensori della bozza hanno lanciato contro la clausola di coscienza. Nel codice ora in vigore il medico a cui venga richiesta una prestazione può rifiutarsi di compierla se essa viola il suo convincimento morale o scientifico. Nel nuovo codice invece si afferma che il rifiuto possa essere sollevato solo nel caso tale richiesta violi i convincimenti morali e scientifici. La sostituzione della congiunzione disgiuntiva con quella congiuntiva fa sì che laddove il trattamento richiesto abbia validità scientifica, il medico non possa più rifiutarsi sulla base del solo convincimento di coscienza. Si ha così un cambiamento rivoluzionario dell’atto medico: non più in scienza e coscienza, ma in scienza solamente, la coscienza è un optional.

La seconda bordata è ancora più subdola della prima. Mentre nel codice attuale il rifiuto di atti in conflitto con la coscienza del medico è sempre legittimo tranne nei soli casi in cui ciò sia “di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita”, nella bozza elaborata nel pensatoio oscuro viene eliminata qualsiasi connotazione di gravità ed urgenza; il medico non può rifiutarsi se ciò è “di nocumento per la salute della persona assistita”. Per capire la portata di questo cambiamento, si deve spiegare che nel 1948 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito la salute come “uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non meramente l’assenza di malattia o infermità”. Ne deriva che affinché il medico sia deferito all’ordine dei medici e sanzionato basterà che il paziente dica: “Tu mi turbi!”. È facile immaginare in quali stanze si leverebbero calici di champagne al vedere i medici del pronto soccorso del Policlino Gemelli e della Casa Sollievo della Sofferenza costretti a prescrivere l’ultimo ritrovato microabortivo o a togliersi per sempre il loro camice bianco.

 

Terzo colpo: obbligo di indirizzo. Il medico non ha più solo l’obbligo di fornire ogni utile informazione e chiarimento, ma anche quello di assicurarsi che il paziente possa fruire di quella stessa pratica che egli ritiene immorale. In disprezzo delle più evidenti norme che regolano la teoria morale dell’azione, qui l’unica accoglienza è assicurata ad un amorale fisicismo farisaico che più o meno impone questo genere di obiezione: “No, signora, mi dispiace, io sono obiettore di coscienza, non faccio gli aborti, ma l’accompagno dal collega che la farà abortire”. Una comprensione ed un rispetto davvero “esemplari” di che cosa significhi libertà di coscienza.

Se un Creonte deontologico falsamente pluralista intende davvero imporre un giogo di questo genere, allora non rimane che la via della pluralità deontologica e, se necessario, della pluralità ordinistica. Si tratta di una battaglia di uomini eretti in camici retti, una battaglia di libertà per continuare a guardare negli occhi il paziente e i colleghi dalla loro medesima altezza.