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TESTIMONIANZA

Missionario e giornalista. Da 60 anni

«Come prete, non ho altre ambizioni o altri scopi, se non quello di amare e imitare Cristo». È con profondo senso di gratitudine che ospitiamo su La Nuova BQ questo articolo in cui padre Gheddo ricorda i suoi 60 anni di sacerdozio.

Ecclesia 25_04_2013
Padre Piero Gheddo

E' con profondo senso di gratitudine che ospito su La Nuova BQ questo articolo in cui padre Gheddo ricorda i suoi 60 anni di sacerdozio. Gratitudine a Dio anzitutto per aver donato alla Chiesa un così santo missionario che attraverso il giornalismo ha saputo "portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio", raccontando e testimoniando l'esperienza della missione. E gratitudine per averlo avuto come primo direttore che mi ha avviato alla professione giornalistica, più di 25 anni fa. Tra le tante cose che ho imparato da padre Gheddo, sicuramente la più importante è vivere il giornalismo come vocazione e come missione. 
A 84 anni compiuti, e ancora in prima linea, ciò che colpisce sempre di padre Gheddo è quel cuore da bambino sempre colmo di stupore per le meraviglie che Dio ci dona ogni giorno, in qualsiasi situazione e contesto. E quello sguardo alle persone che incontra che è un abbraccio alla nostra umanità, così piena di limiti ma così desiderosa di Dio.
Tanti auguri a lui, perché possa continuare il cammino nell'imitazione di Cristo fino al suo compimento, e l'augurio a tutti i lettori de
La Nuova BQ (a cui padre Gheddo non ha mai fatto mancare amicizia e sostegno) di poter vivere la fede con la sua stessa intensità e letizia (Riccardo Cascioli)

 

Sabato e domenica 20-21 aprile 2013 sono stato a Tronzano Vercellese, mio paese natale, per celebrare i miei 60 anni di sacerdozio. Il giovane confratello padre Alberto Caccaro, da poco tornato dalla Cambogia e direttore del Centro missionario Pime di Milano, venerdì e sabato 19-20 aprile ha parlato agli alunni delle scuole elementari e medie sul tema missionario. Sabato pomeriggio ho celebrato la Messa a Salomino, frazione del Comune di Tronzano, e alla sera una conferenza sul tema “Essere missionari oggi” ai tronzanesi e amici di altri paesi vicini nel grande e nuovo salone comunale, ricavato dall’ex-albergo del Sole (erano giorni piovosi e freddi, ma il cuore era contento lo stesso). Il parroco don Guido Bobba mi ha presentato e il sindaco dott. Andrea Chemello ha monitorato la serata, con le molte domande fatte dal pubblico sulla mia vita missionaria e i paesi che ho visitato nei miei viaggi per intervistare i missionari italiani e conoscere le molte situazioni della missione alle genti.

     60 anni di sacerdozio. Mi pare impossibile ma è vero. Il 28 giugno 1953 mi ha ordinato il beato card. Ildefonso Schuester nel Duomo di Milano con altri 119 sacerdoti. Ricordando quella cerimonia e la prima Messa a Tronzano il 29 giugno, festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo patroni del paese, mi sono commosso. Ai miei parenti e ai compaesani, che domenica mattino riempivano la grande e bella chiesa parrocchiale, ho detto:
    
Oggi è la domenica del Buon Pastore. Gesù è venuto a rivelarci il volto del  Padre buono e misericordioso e poi ha scelto gli Apostoli, li ha ordinati sacerdoti per tramandare ai posteri la sua parola e i suoi esempi. Ogni sacerdote è, deve essere, il Buon Pastore. Una responsabilità ben superiore alle nostre piccole virtù e deboli forze. Contrariamente a quanto si pensa e si dice oggi, che le autentiche vocazioni al sacerdozio nascono solo nell’età adulta (le cosìdette “vocazioni adulte”), io ringrazio il Signore che mi ha chiamato a seguirlo fin da bambino. poiché non ho mai avuto altro ideale che di fare il prete. I miei parenti mi dicevano che già a 7-8 anni, alla domanda: “Pierino, cosa farai da grande?”, rispondevo deciso: “Il prete!”. Ho poi saputo che i miei genitori, Rosetta Franzi e Giovanni Gheddo, sposandosi nel 1928, avevano chiesto a Dio la grazia di avere molti figli e che almeno uno si facesse prete e una suora. Sono nato nel 1929, il primogenito dei due servi di Dio Rosetta e Giovanni, e dopo sessant’anni di sacerdozio e di missione, posso testimoniare che fare il prete è bello, per due motivi: 
       
     1) La fede mi dice che il prete è “un altro Cristo”, rappresenta Gesù Cristo e questo ideale è il massimo che un uomo possa sperare per realizzare se stesso. Diventando anziano lo comprendo sempre meglio e seguendo Gesù mi sento pienamente realizzato. Ho avuto anch’io dubbi, crisi, peccati e momenti di difficoltà nel seguire la chiamata del Signore, ma sempre ho sperimentato che Gesù non mi abbandona mai, mi perdona, consola, illumina, riscalda, accompagna e dà la forza e la gioia di riprendere ogni giorno il cammino verso l’amore e l’imitazione di Cristo. Questa la giovinezza della vita cristiana, il corpo invecchia, ma il cristiano, il prete che segue Gesù (cioè che tenta di seguire Gesù con amore e fedeltà), rimane giovane di spirito perché le inevitabili malattie, fallimenti, incomprensioni, peccati, non gli induriscono il cuore, non lo rattristano più di tanto. Tutto passa, solo Gesù Cristo rimane in eterno. E’ l’unica ricchezza che abbiamo.
   
Come prete, non ho altre ambizioni o altri scopi, se non quello di amare e imitare Cristo. Questa l’avventura affascinante della vita cristiana: ricominciare da capo ogni giorno con entusiasmo nuovo, progetti nuovi di bontà, di donazione, di amore. Ogni giorno chiedo al Signore di ridarmi l’entusiasmo e la commozione della mia prima Santa  Messa. Il corpo invecchia, ma l’amore a Cristo mantiene giovani. Del beato padre Clemente Vismara, vissuto 65 anni fra i tribali della Birmania (fame, sete, guerre, povertà estrema, isolamento, malattie senza assistenza sanitaria) i suoi confratelli dicevano:”E’ morto a 91 anni senza mai essere invecchiato”.

      2) Il secondo motivo di gioia è questo: l’ideale del prete è portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio, essere a servizio del suo popolo per trasmettergli l’esperienza profonda e consolante dell’amore che Dio ha per tutti gli uomini. Quando studiavo nel ginnasio del seminario diocesano vercellese di Moncrivello, leggendo le riviste missionarie e i libri dei missionari, è nata in me la vocazione a lasciare la nostra bella Italia per portare Gesù a tutti i molti popoli che ancora non lo conoscono. La vocazione missionaria è stata una svolta importante che mi ha spalancato gli orizzonti di tutta l’umanità e dei continenti dove la Chiesa, duemila anni dopo Cristo, sta ancora nascendo. Nel settembre 1945, a 16 anni, sono venuto al Pime in via Monterosa 81 a Milano. La città era semi-distrutta dai bombardamenti, anche il Pime era stato bombardato. Gli otto anni di studio per arrivare al sacerdozio li abbiamo vissuti senza riscaldamento, con cibo scarso e povero, una regola severa che richiedeva rinunzie e mortificazioni, ma il grande ideale di portare Cristo ai popoli ci sosteneva e ci dava un entusiasmo che riscaldava il cuore e si traduceva in fraternità e cordialità, gioia, impegno, ottimismo, speranza nel futuro.

Dopo l’ordinazione sacerdotale dovevo partire per l’India, ma i superiori mi hanno trattenuto in Italia per aiutare l’anziano missionario della Cina, direttore delle riviste Pime. Prima per un anno, poi il provvisorio, a poco a poco, è diventato definitivo. Ho sofferto molto e sono andato in crisi ma ho obbedito, fin che il superiore generale mons. Aristide Pirovano mi ha sistemato: “Io per te sono la voce di Dio. Stai lì dove sei che fai bene. Se in futuro cambierò idea e ti manderò in missione, te lo dirò io”.

    Il giornalismo missionario, sempre a servizio dell’ideale, è stato ed è la mia missione. Ho incominciato a collaborare anche con giornali laici, radio e  televisioni, ed a viaggiare nelle missioni dei quattro continenti, per visitare i missionari e le giovani Chiese e portare in Italia il racconto delle meraviglie che lo Spirito Santo compie là dove nasce la Chiesa. Ancor oggi, a 84 anni compiuti, continuo ad animare il popolo italiano con gli scritti e la parola, trasmettendo la vita delle missioni e delle giovani Chiese e ricevendo in cambio tante testimonianze che questi messaggi sono buone sementi che, con l’aiuto di Dio, danno i loro frutti.

     Ho terminato ricordando che la Domenica del Buon Pastore è la giornata di preghiere per le vocazioni sacerdotali e religiose. Quando sono diventato sacerdote nel 1953, eravamo nove preti viventi nati a Tronzano e 27 suore e nel seminario di Moncrivello diversi sacerdoti del seminario mi dicevano che ero fortunato, perché “Tronzano è uno dei paesi migliori della nostra diocesi”. La crisi che attraversa l’Italia, ho detto, è certamente una grave crisi politica ed economica. Ma alla radice di questa decadenza c’è la crisi di fede e di vita cristiana. Se abbandoniamo Gesù Cristo e il Vangelo, perdiamo l’anima e il senso della vita. Siamo un popolo democratico, istruito, laureato, ricco (in confronto ai miliardi di poveri nel mondo!), ma senz’anima. Ho augurato ai tronzanesi di ritornare a Gesù Cristo e al Vangelo, alla vita cristiana e alla pratica religiosa, alle famiglie che pregano assieme e rimangono unite, per ritrovare la gioia di vivere, la speranza nel futuro e dare alla Chiesa nuovi sacerdoti e suore e nuovi missionari.

      Poi il parroco don Guido ha letto la cordiale e lunga lettera di augurio dell’arcivescovo di Vercelli, mons. Enrico Masseroni, e la pergamena da Roma con gli auguri di Papa Francesco per i miei 60 anni di sacerdozio. Dopo la Messa, pranzo con tanti amici al ristorante La Bruschetta con portate di cibo vercellese tradizionale, come l’indimenticabile panissa dei miei anni giovanili.