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#SALVIAMOLECHIESE

Napoli milionaria. E le chiese diventano tutto tranne chiese

Il caso di San Giovanni Maggiore e del Congresso dei Radicali è solo il più eclatante. Il programma Unesco per il centro storico di Napoli sta assegnando centinaia di migliaia di euro per il restauro di molte chiese napoletane, ma non per destinarle al culto. Nonostante le rassicurazioni delIa Curia, i progetti depositati in Comune e finanziati dall'Europa parlano chiaro: diventeranno laboratori di pittura, di teatro, centri di accoglienza per migranti e generici luoghi per favorire la socialità di quartiere gestiti dal Comune e da privati. Tutto fuorché chiese. 
-PARLA LA CURIA, MA LA TRASPARENZA E' LONTANA 

Attualità 22_09_2019

Si chiama chiesa, si legge sala polivalente. Non c’è soltanto la chiesa di San Giovanni Maggiore a Napoli. Di templi profanati nel nome della pubblica socialità con la scusa dell’ormai fine del culto, la città partenopea è disseminata, come testimoniano le inchieste della Nuova BQ e la campagna #salviamolechiese. Chiese che vengono fatte risplendere non più per il culto a Dio, per dirvi messa o per pregare il Rosario, ma per le attività più disparate. 

Come dimostra questo piccolo nostro viaggio in appena sei templi che da qui a pochi anni diventeranno laboratori di pittura o di teatro, centro di aggregazione interculturale o sale per corsi di lingua. Destinazioni tra le più disparate, che si configurano più come sale civiche che non come luoghi dove vi si dovrebbe esercitare l’esclusivo culto di Dio. 

Invece a Napoli si possono comodamente mescolare le due funzioni, quella del sacro e quella del profano senza alcun problema. 

Merito di una precisa volontà dell’Arcivescovo Crescenzio Sepe già a partire dal 2011 con il Giubileo per Napoli e del “Grande programma per il Centro storico patrimonio Unesco”, il piano di restauro di monumenti e edifici storici del centro storico di Napoli partito nel 2012 e ancora in corso. 

Nel piano sono comprese molte chiese, anche di proprietà dell’Arcidiocesi, ma soltanto per alcune di esse è previsto un ritorno esplicito alle funzioni di culto. 

Per molte altre si parla invece di “nuove destinazioni”. E ovviamente si tratta di destinazioni profane, anche se questa parola non piace ai vertici della diocesi che la trovano poco carina nei confronti degli sforzi che vengono fatti per i restauri, come dimostra l’intervista che la Bussola ha fatto al responsabile dei Beni culturali della Diocesi (qui). Ma tant’è. 

A seguire i progetti di queste chiese c’è ancora una volta la Fondazione degli ingegneri di Napoli guidata da Luigi Vinci, che i lettori della Nuova BQ hanno già conosciuto giù in occasione della vicenda del Congresso del Partito Radicale nella chiesa di San Giovanni. E proprio la chiesa di San Giovanni, gestita attraverso un comodato con la diocesi, viene presa a modello per replicare tutti gli altri interventi. Nella scheda con la quale si approva il progetto di riqualificazione urbana della chiesa dei santi Cosma e Damiano ad esempio, si dice espressamente che «S. Giovanni Maggiore, aperta al pubblico dopo 40 anni e affidata in comodato allo stesso ordine degli ingegneri (il documento pubblicato sul sito del Comune risale al 2014, prima della nascita della Fondazione stessa, quando la gestione era in capo all’Ordine) sta sviluppando una straordinaria azione di valorizzazione culturale, programmando con ciclica cadenza eventi, incontri, conferenze, seminari e altre attività culturali». Di come la vita spirituale della parrocchia sia stata umiliata in tutti questi anni abbiamo già detto. Ma come si vede, San Giovanni Maggiore è un po’ l’esempio che si utilizza  per proseguire con i restauri delle chiese per destinarle ad attività ricreative. 

Dal culto alla cultura: l’etimologia è la stessa, ma il loro significato no. Ma è sulla base di questo equivoco che si prosegue nella profanazione. Nonostante la curia dica ora che l'obiettivo è quello di destinarle al culto anche se in coabitazione con il Comune. Dai progetti presentati la parola ritorno al culto non torna mai. E anche questo vorrà pur dir qualcosa con buona pace della diocesi di Napoli. 

In Santi Cosma e Damiano ad esempio «la chiesa può svolgere una funzione pubblica di incontro che sia rivolto ad una utenza adolescenziale. Le attività molteplici vanno da quelle ricreative a quelle di carattere laboratoriale (didattica, doposcuola, teatrale, musica), organizzazione di piccole mostre e momenti di scambio della vita di quartiere». E ancora: «Il volume principale viene dunque sistemato per ospitare un laboratorio teatrale per ragazzi, con arredi adeguati e tali da non alterare la fruibilità estetica della chiesa». Infatti, cosa importante, l’edificio resterà un edificio di culto. Come ci ha spiegato monsignor Eduardo Parlato, a Napoli non sono stati fatti decreti di riduzione ad uso profano di chiese. Tutte conservano ancora la loro funzionalità di culto, solo che adesso il culto viene condiviso e il più delle volte sacrificato. Nel progetto di Santi Cosma e Damiano però si vede uno spazio adibito a laboratorio, con scaffali e tavoli. Lo spazio per il culto proprio non si vede. 

Accadrà così infatti anche per le chiesette nei pressi di via dei Tribunali come San Tommaso a Capuana che diventerà un «un centro per l’educazione e l’assistenza sanitaria» e per Santa Maria del rifugio che invece ospiterà dopo il restauro un «Centro per l’aggregazione interculturale per comunità di etnie diverse». 

Chiese minori, si specifica nel progetto che attualmente è ancora in fase di approvazione da parte del provveditorato della Sovrintendenza, ma che ammonta a 500mila euro - di particolare interesse artistico e chiuse al culto e che son state in passato sede di parrocchie, confraternite e pie unioni. Per tutte queste il restauro «è volto al loro utilizzo per fini di tipo sociale, confermando destinazioni d’uso già esistenti o conferendone delle nuove». Ma tra nessuna di queste viene specificato il culto. 

In San Gennaro a Sedil Capuano «si intende realizzare un laboratorio di pittura per bambini», mentre per la chiesa di Sant’Andrea a Sedil Capuano un laboratorio linguistico per stranieri. 

Infine per la chiesetta di Santa Maria alla Sanità la destinazione pensata è quella del punto di assistenza per esigenze di quartiere. Il tutto finanziato dall’Unesco, garantito dal Comune e benedetto dalla Diocesi. 

Certo, siamo non distanti dal rione Sanità, ma non è questa la sanità, di tipo socio-relazionale, che aveva in mente la Chiesa quando eresse secoli fa questi scrigni ormai decaduti. Al di là delle scelte della Chiesa di Napoli e dell'arcivescovo, è davvero curioso che un'entità sovranazionale ma sempre più decisiva come l'Europa, consenta di finanziare il restauro delle chiese, ma a condizione che venga escluso in via preliminare almeno, il loro ritorno al culto. O forse non è curioso per niente, ma coerente del del tutto con le finalità di questa Europa.