Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Giovedì Santo a cura di Ermes Dovico

GMG RIO

«No alle riduzioni ideologiche della fede»

Tre milioni di giovani hanno partecipato alla Messa di chiusura della GMG di Rio. Sia ai giovani sia nel discorso al Consiglio Episcopale Latino Americano, il Papa ha ribadito il suo messaggio: il primato dell'evangelizzazione. 

Ecclesia 29_07_2013
Giovani radunati a Copacabana per il Papa

Il Papa ha chiuso la GMG brasiliana, ha annunciato che la prossima si terrà a Cracovia, in Polonia, nel 2016 ed è tornato a Roma. Ci sarà tempo per i bilanci, ma fin da ora si deve notare il dato sociologico dei due milioni di persone presenti alla veglia di preghiera nella tarda serata di sabato, una cifra superata dai tre milioni della Messa di chiusura della GMG di domenica. Non si tratta di un record assoluto - il beato Giovanni Paolo II (1920-2005) nel 1995 riunì cinque milioni di persone alla GMG di Manila - ma pur sempre della più grande riunione della storia per numero di partecipanti nella storia del cristianesimo in Europa e nelle Americhe. Solo la Chiesa oggi è capace di riunire folle così sterminate - più dell'intera popolazione di Roma, o di quelle di Milano e Torino messe insieme -, composte prevalentemente di giovani, e il dato non si spiega con la sola popolarità di Papa Francesco. Nella gravissima crisi insieme economica e di valori sono moltissimi a percepire la Chiesa come l'ultima istituzione credibile, l'ultimo porto di salvezza.

L’ultima giornata di Papa Francesco in Brasile è iniziata nella notte fra sabato e domenica con la veglia sulla spiaggia di Copacabana. Il Papa ha fatto leggere la narrazione dell’episodio di san Francesco (1182-1226), il quale sente la voce di Gesù che gli dice: «Francesco, va’ e ripara la mia casa». La casa cui allude Gesù è la Chiesa. Il Pontefice ha riferito le parole del Signore a ognuno di noi, e certamente anche a se stesso. La veglia – poi spostata a Copacabana per il maltempo – doveva inizialmente svolgersi in un luogo chiamato Campus Fidei, e Francesco ha proposto l’omelia che aveva già preparato, ispirata a quel nome e ancora una volta divisa in tre parti: «la prima, il campo come luogo in cui si semina; la seconda, il campo come luogo di allenamento; e la terza, il campo come cantiere».

Gesù nelle sue parabole amava usare l’immagine del seminatore e il vero «campo della fede» dove vuole seminare è la nostra vita. Il Signore parlava dei semi caduti sulla strada, tra i sassi o tra le spine, che andavano sprecati. Anche noi forse «siamo come la strada: ascoltiamo il Signore, ma non cambia nulla nella vita, perché ci lasciamo intontire da tanti richiami superficiali che ascoltiamo; o come il terreno sassoso: accogliamo con entusiasmo Gesù, ma siamo incostanti e davanti alle difficoltà non abbiamo il coraggio di andare contro corrente; o siamo come il terreno con le spine: le cose, le passioni negative soffocano in noi le parole del Signore». Se vogliamo essere il terreno buono, dove il seme porta frutto, dobbiamo essere «cristiani non part-time, non “inamidati”, di facciata, ma autentici», cioè non schiavi dell’«illusione di una libertà che si lascia trascinare dalle mode e dalle convenienze del momento». 

Secondo: il campo è il luogo dove ci si allena. In Brasile, ha detto il Papa, «il calcio è una passione nazionale. Ebbene, che cosa fa un giocatore quando è convocato a far parte di una squadra? Deve allenarsi, e allenarsi molto!». Lo stesso san Paolo ha proposto per la vita cristiana l’esempio dell’atleta (cfr. 1 Cor 9,25), e Papa Francesco con un riferimento all'espressione «atleti di Cristo», che in Brasile identifica soprattutto calciatori protestanti pentecostali, ha forse voluto proporre una cauta apertura a un dialogo con questi ambienti.  «Gesù ci offre qualcosa di superiore alla Coppa del Mondo!», ha aggiunto il Papa. Ci alleniamo attraverso la preghiera, i sacramenti, la carità «per “essere in forma”, per affrontare senza paura tutte le situazioni della vita, testimoniando la nostra fede», ma anche «per un futuro con Lui che non avrà fine, la vita eterna».

Terzo: l’immagine del campo richiama un cantiere, dove «“si suda la camicia” cercando di vivere da cristiani», cercando di costruire la Chiesa non «come una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone» ma «così grande da poter accogliere l’intera umanità», e nello stesso tempo cercando di costruire «una società più giusta». Sembra difficile, ma il primo cantiere siamo noi stessi. «Quando chiesero a Madre Teresa di Calcutta (1910-1997) che cosa doveva cambiare nella Chiesa, rispose: tu ed io!».

Domenica, nella grande Messa conclusiva dell'evento brasiliano,Francesco ha voluto riassumere il senso del suo viaggio, della GMG, dell'Anno della fede: confermare i giovani nella fede - che non è un vago sentimento, è la verità - perché possano «uscire» e portate la nuova evangelizzazione ai tanti che non hanno ancora incontrato la Chiesa o la hanno lasciata. «Andate - senza paura - per servire», ha invitato il Papa, analizzando ciascuna di queste tre espressioni.

«Andate». A Rio, ha detto Francesco, avete incontrato la fede. «Ma l'esperienza di questo incontro non può rimanere rinchiusa nella vostra vita o nel piccolo gruppo della parrocchia, del movimento, della vostra comunità. Sarebbe come togliere l'ossigeno a una fiamma che arde. La fede è una fiamma che si fa sempre più viva quanto più si condivide, si trasmette"!». La nuova evangelizzazione non è facoltativa: «Gesù non ha detto: se volete, se avete tempo, ma: “Andate e fate discepoli tutti i popoli”». Non è un consiglio, «è un comando, che, però, non nasce dalla volontà di dominio o di potere, ma dalla forza dell’amore».

«Uscire» significa compiere un grande sforzo per raggiungere tutti. «Il Vangelo è per tutti e non per alcuni. Non è solo per quelli che ci sembrano più vicini, più ricettivi, più accoglienti», va portato «fino alle periferie esistenziali, anche a chi sembra più lontano, più indifferente». Ricordando che  «un grande apostolo del Brasile, il Beato José de Anchieta [S.J., 1534-1597] partì in missione quando aveva soltanto diciannove anni», il Papa ha aggiunto: «Sapete qual è lo strumento migliore per evangelizzare i giovani? Un altro giovane».

«Senza paura». «Qualcuno potrebbe pensare: “Non ho nessuna preparazione speciale, come posso andare e annunciare il Vangelo?”». Questa paura ce l'avevano anche i profeti, anche i santi: e sarebbe giustificata se «uscissimo» da soli. Ma «quando andiamo ad annunciare Cristo, è Lui stesso che ci precede e ci guida». Non ci lascia soli. Inoltre, non «usciamo» come singoli, come privati, ma nella «compagnia dell’intera Chiesa» che garantisce il contenuto della nostra evangelizzazione. Usciamo «per servire». San Paolo affermava: «Mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero» (1 Cor 9,19).  Siamo credibili solo se chi ci incontra sperimenta per nostro tramite l'amore di Dio, la gioia della fede, la tenerezza della Vergine Maria. 

In termini più articolati rispetto alle omelie per i giovani, Francesco ha riproposto la stessa tematica ai vescovi del comitato di coordinamento del Consiglio Episcopale Latino-Americano (CELAM) in quello che è stato il discorso più impegnativo del suo viaggio. Il Papa è partito dal «miracolo» della V Conferenza Generale dell'Episcopato dell'America Latina e dei Caraibi, che si tenne ad Aparecida nel 2007, un'esperienza fondamentale cui torna spesso, affermando che quell'incontro fu speciale perché si tenne in un santuario mariano, sotto la guida della Madonna e a contatto quotidiano con il popolo dei pellegrini. Aparecida cominciò ad affrontare la realtà di un'America Latina molto cambiata, dove una cultura prevalentemente «a base rurale» si andava trasformando in una cultura dominata da megalopoli dove coesistono - Francesco ha usato espressioni della sociologia contemporanea - diversi «immaginari collettivi» e «tribù urbane». 

La parte centrale del discorso al CELAM è stata dedicata alle tre «tentazioni» cui oggi è sottoposta la Chiesa: l'«ideologizzazione», il «funzionalismo» e il «clericalismo». La Chiesa, ha detto il Pontefice, corre oggi il rischio di quattro diverse forme di riduzionismo ideologico. La prima è il «riduzionismo socializzante», che si fida eccessivamente delle scienze sociali e che in epoche diverse ha sostituito la dottrina sociale della Chiesa o con le «categorizzazioni marxiste» o con il «liberismo di mercato». Il secondo è l'«ideologizzazione psicologica» che si manifesta soprattutto in corsi di spiritualità dove la fede è ridotta a mera psicologia. Francesco ha fatto l'esempio di corsi tutti dedicati alla classificazione dei caratteri secondo il metodo dell'enneagramma, dove poi ci si dimentica di quanto è specifico di una spiritualità cattolica. Il terzo riduzionismo è quello «gnostico», tipico di chi si ritiene portatore di una conoscenza «superiore» che sarebbe l'unica aggiornata e moderna.

Parlando a braccio, il Papa ha aggiunto che esempi di questo gnosticismo «riveduto e corretto» sono le lettere di chi, congratulandosi per la sua elezione a Pontefice, gli ha subito chiesto «che si sposino i preti, che si ordinino le suore e che si dia la comunione ai divorziati» perché solo così la Chiesa diventerebbe «moderna». Parallelo e contrario al riduzionismo gnostico è quello «pelagiano», che in America Latina Francesco vede in «piccoli gruppi e in alcune nuove congregazioni religiose», dove s'insegue il sogno impossibile di tornare a un «passato perduto» attraverso la «restaurazione di condotte e forme superate». Costoro, ha ammonito il Papa, vedono la salvezza nella «"sicurezza" dottrinale e disciplinare», ma così facendo rischiano di rimanere chiusi anche loro in un cerchio autoreferenziale, senza «uscire» a evangelizzare.  Il Papa ha spiegato che, volutamente, ha dato una versione «caricaturale», forse esagerata, di queste due tentazioni, una «utopica» e una «restaurazionista»: ma qualche volta anche le caricature aiutano a capire i rischi di vivere in un ipotetico futuro o nel passato, mentre le persone concrete da evangelizzare s'incontrano nel presente.

La seconda tentazione, il «funzionalismo», «non tollera il mistero» e crede solo nell'«efficacia» e nelle statistiche, riducendo ancora una volta - è un'espressione che Francesco ha usato spesso - «la realtà della Chiesa a una ONG». È un rischio che oggi si manifesta tra l'altro nella «elefantiasi delle conferenze episcopali». Infine, la terza tentazione è il «clericalismo», una «complicità peccatrice» fra un clero che pratica la «manipolazione» e l'«indebita sottomissione» e un laicato che in fondo quasi chiede il clericalismo perché gli torna più comodo. Un clero non clericale, ha concluso il Papa citando suoi precedenti discorsi, si riconosce dalla qualità delle omelie, non «lontane, astratte» ma vicine all'esempio dei discorsi di Gesù nel Vangelo. E dev'essere guidato da vescovi che abbandonino la «psicologia da principi» e dimostrino «austerità di vita».

Come molti discorsi complessi, anche questo al CELAM rischierà di scontentare una certa «sinistra» - che Francesco ha definito «gnostica» - e una certa «destra», ricondotta nel testo a un modello «pelagiano». Dobbiamo però comprendere il cuore del messaggio che Francesco dalla GMG lancia alla Chiesa: il primato dell'evangelizzazione, compromesso da qualunque sguardo che - rivolto, anziché al presente, verso il passato o verso improbabili futuri rischia di diventare ideologico e di chiudere in un'autoreferenzialità che impedisce di «uscire».