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POLITICAMENTE CORRETTO

Nobel: gloria all'Opac. La guerra siriana continua

Il Nobel per la Pace è assegnato all'Opac, l'organizzazione per la proibizione delle armi chimiche attiva in Siria. Su 110mila morti per armi convenzionali, i gas hanno provocato qualche centinaio di vittime. E la guerra continua. Lo smantellamento degli arsenali non è un accordo di pace. Ad Oslo, forse, non se ne sono proprio accorti.

Esteri 12_10_2013
Opac

Diciamolo subito, dopo il premio attribuito “sulla fiducia” a Barack Obama il Nobel per la pace non è più un riconoscimento da prendere sul serio. Quest’anno però l’attribuzione all'Organizzazione per la proibizione della armi chimiche (Opac) dimostra come anche gli accademici norvegesi si siano rassegnati ad assegnare il premio a seconda delle mode e delle suggestioni mediatiche premiando così gli esecutori non gli artefici della pace.

La trentina di tecnici delle due squadre dell’Opac che in Siria hanno iniziato a smantellare gli impianti di produzione delle armi chimiche sono ottimi professionisti, esecutori tecnici di un piano messo a punto dal negoziato russo-americano che ha portato a una risoluzione dell’Onu che a sua volta ha scongiurato l’intervento armato internazionale in Siria.

«Per 15 anni abbiamo fatto il nostro dovere contribuendo alla pace del mondo. Le ultime settimane hanno dato ulteriore impulso alla nostra missione. Accetto con umiltà il premio Nobel per la Pace e con voi mi impegno a continuare a lavorare con immutata determinazione» ha detto il direttore generale dell'organizzazione, il turco Ahmet Uzumcu.

Paradossalmente, se a Oslo ritengono il disarmo chimico di Bashar Assad (peraltro ancora da attuare) un successo e un progresso verso la pace in Siria, avrebbero dovuto attribuire il Nobel a Obama e Putin, veri “architetti” dell’accordo, non agli “operai specializzati” dell’Opac. In quest’ottica un pezzo di Nobel lo avrebbe meritato anche Bashar Assad che ha accettato osservatori, ispettori e smantellatori internazionali sul suo territorio.

L’aspetto più ridicolo della questione è che gli accademici di Oslo si sono piegati allo sforzo mediatico e politicamente corretto di far passare l’intesa per il disarmo chimico della Siria come un accordo di pace o quanto meno un progresso verso la pace. Non è così. Basta leggere le agenzie di stampa che riferiscono ogni giorno di nuovi eccidi, battaglie, fosse comuni e di un fronte armato islamista sempre più forte e ormai quasi esclusivo rappresentante dei ribelli.

Notizie che oggi trovano poco spazio su giornali e televisioni dove le notizie dalla Siria sono sempre più brevi e di solito riportano l’attività dei “premi Nobel” dell’Opac, comparse divenute improvvisamente protagonisti della guerra a discapito di combattenti e civili che pagano il prezzo del conflitto. Tra l’altro proprio questa intesa tra russi e americani minaccia di scatenare una nuova escalation nella guerra a causa dell’incremento degli aiuti militari che dagli emirati del Golfo Persico giungono ai ribelli islamisti.

Degli oltre 110 mila morti registrati finora, secondo le stime, in 31 mesi di guerra forse poche centinaia sono stati uccisi dalle armi chimiche incluse quelle impiegate dagli insorti. Tutti gli altri sono stati ammazzati da armi convenzionali, le stesse armi che continueranno a uccidere nei prossimi mesi. Questa guerra non sarebbe meno atroce se Assad non disponesse di armi chimiche né sarà più “umana” quando tra un anno non ci saranno più gas nei bunker di Damasco.

Le armi chimiche sono diventate lo specchietto per le allodole, una divagazione intorno al conflitto siriano, ma posta ormai da oltre un mese “in copertina” quasi a voler alterare la percezione della guerra. L’accordo per smantellarle ha lavato le coscienze di tutto l’Occidente, forse accortosi all’ultimo minuto (con colpevole ritardo) che fare la guerra ad Assad significa portare al-Qaeda a Damasco come l‘abbiamo portata a Tripoli muovendo guerra a Muhammar Gheddafi. Nei giorni scorsi l'Opac ha auspicato un cessate il fuoco nel Paese per poter raggiungere in sicurezza tutti i siti di stoccaggio dei gas posseduti dal regime, inclusi quelli assediati dai ribelli. Gli esperti di armi chimiche lo sanno che in Siria c’è una guerra feroce in corso. Qualcuno lo vada a spiegare anche a Oslo.