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ECONOMIA

Parmalat, la pericolosa tentazione statalista

Il tentativo di bloccare l'acquisizione del marchio italiano da parte dei francesi è un incomprensibile puntiglio che va contro i nostri interessi.

Attualità 04_04_2011
parmalat

Ricordate il panettone di Stato? Negli anni 70 e 80 quelle che allora erano le partecipazioni statali avevano acquisito una serie di società alimentari e dolciarie sull’orlo del collasso, tra cui Motta e Alemagna, nel tentativo di salvare aziende, marchi e posti di lavoro. Ma con risultati tutt’altro che positivi tanto che all’inizio degli anni ’90 queste aziende in parte sono state chiuse e in parte vendute a privati, soprattutto esteri.


Ora c’è il rischio che la storia si ripeta. Il Governo infatti di fronte al tentativo del colosso francese Lactalis di conquistare Parmalat ha autorizzato la Cassa depositi e prestiti (una banca pubblica controllata dal Tesoro) a entrare nel capitale di aziende considerate “strategiche per l’interesse nazionale” e Parmalat sarebbe tra queste. Dopo il panettone di Stato avremo il latte di Stato?


La difesa dell’italianità di Parmalat suscita più di una perplessità. Ci si può chiedere perché si vuole intervenire ora mentre non ci si è mossi quando “gli stranieri” hanno acquisito importanti marchi italiani come Galbani (la stessa Lactalis), o San Pellegrino (la svizzera Nestlè), o Birra Peroni (la sudafricana SabMiller). Così come ci si può chiedere come mai può venire considerato strategico il latte che è ormai un mercato libero dove agiscono centinaia di produttori in gran parte privati, italiani ed esteri?


Certo Parmalat è una cosa particolare. Fino a ieri il caso Parmalat era ricordato come uno dei più clamorosi casi di fallimento industriale e finanziario d’Europa. Nel 2003 infatti il grande gruppo alimentare di Parma, che era diventato in pochi anni una vera e propria multinazionale per le acquisizioni compiute in Europa, America latina e Africa, fu costretto a dichiarare bancarotta a fronte di un passivo valutato in 14 miliardi di euro, Questo grande deficit si era formato tuttavia perché la società di Parma aveva sfruttato il ricavato nel settore del latte per espandersi, anche attraverso operazioni illecite e vere e proprie truffe, in altre attività in gran parte estranee alla tradizionale attività industriale. Il proprietario dell’azienda, Calisto Tanzi, era il maggior finanziatore della squadra di calcio, era un grande amante delle opere d’arte, aveva una flotta di aerei che faceva usare gratuitamente agli amici. Inoltre finanziava a piene mani i partiti politici, dapprima in particolare la Democrazia cristiana, ma dopo Tangentopoli, aiutando un po’ a destra e un po’ a sinistra per tenere buono comunque chi stava al Governo o chi poteva andarci.


Con queste premesse la società non poteva che fallire, ma per salvare i posti di lavoro, le attività industriali, il patrimonio dell’azienda lo Stato italiano era intervenuto con una legge apposita, aveva tolto la proprietà ai precedenti azionisti (poi processati e condannati) e nominato un commissario straordinario (Enrico Bondi) con il compito di chiudere i conti con il passato e valorizzare le attività con prospettive di crescita. Così è avvenuto e il  mostro finanziario si è trasformato in una bella principessa contesa quotata in Borsa e con molti pretendenti.


Parmalat è così entrata nell’occhio del ciclone proprio perché il gruppo francese Lactalis ha iniziato ad acquistare silenziosamente i suoi titoli fino ad arrivare a quota 29%, una quota sufficiente in pratica a condizionare, se non a controllare, la gestione della società. Lactalis è il terzo gruppo lattiero caseario del mondo, ha un giro d’affari vicino ai dieci miliardi di euro, ha 36mila dipendenti ed è già presente in Italia dopo l’acquisizione negli anni scorsi di alcune tra le più note marche di formaggi e latticini.


“Ma come - si sono detti al Governo - abbiamo risanato il grande gruppo alimentare ed ora ce lo vediamo sfilare poco amichevolmente dai francesi?” E al grido “Parigi non passerà” a Roma hanno cercato una soluzione tra le maglie delle regole dell’unione europea che dovrebbero garantire la libera circolazione dei capitali e degli investimenti. Si è così scoperto che proprio la Francia ha una legge che consente al governo di bloccare investimenti esteri nei settori considerati di strategico interesse nazionale: tra questi ovviamente l’industria militare, quella energetica, perfino il gioco d’azzardo, ma tuttavia non si fa cenno al settore alimentare. Forse perché non ce n’è bisogno: in questo settore, così come in quello della distribuzione, la Francia è stata conquistatrice e mai conquistata.


E allora il caso Parmalat rischia di risolversi in un pasticcio all’italiana. Come ha giustamente sottolineato l’economista Giacomo Vaciago, l’Italia avrebbe bisogno come l’ossigeno di investimenti esteri e quindi dovremmo stendere i tappeti rossi e non porre ostacoli burocratici o amministrativi. Il mercato aperto non lo si può accettare solo quando fa comodo e le regole non si possono cambiare quando la partita è iniziata. Anche perché se si perde la brutta figura è doppia.