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POST COMUNISMO

Pechino "ripulita" da immigrati, la cultura dello scarto

“Cara figlia, questa volta non posso venire alla tua festa", il dissidente cinese Hua Yong, braccato dalla polizia, trova appena il tempo di cantare per il compleanno della figlia. Aveva svelato un segreto scabroso: la cacciata degli immigrati interni a Pechino. Un episodio di un problema macroscopico: quello dell'immigrazione interna.

Editoriali 19_12_2017
Immigrati interni cinesi

“Cara figlia, questa volta non posso venire alla tua festa. Avevo pensato di registrare un video e cantare una canzone per te nel giorno del tuo compleanno, ma credo che neanche questo possa realizzarsi. Allora adesso canto per te. Ci sono tanti poliziotti fuori; ora hanno trovato pure il mio amico, tra poco sfonderanno la porta e dovrò andare via con loro, approfitto degli ultimi minuti per cantare una canzone per te: Buon compleanno a te! Buon compleanno a te!”

Sono le parole del video girato da Hua Yong, artista e attivista per i diritti umani, a Tianjin. Era fuggito presso un suo amico, ma è stato ritrovato, dopo una settimana, dalla polizia di Pechino. Vive braccato dalle forze dell’ordine, da quando ha denunciato una cosa che il governo non vuole si sappia: la deportazione massiccia degli immigrati interni, cinesi delle aree rurali emigrati a Pechino. Sua figlia compiva tre anni, quando il dissidente è stato arrestato trovato dalla polizia.

Nelle conversazioni sul social network We Chat che il dissidente Hua riporta in un altro suo video, si sente anche che sono stati effettuati cinque arresti. I video delle deportazioni degli immigrati e delle demolizioni delle loro abitazioni sono stati sistematicamente censurati dalle autorità. Il segreto di Stato è imposto da Pechino in numerose circostanze, ma in questo caso è un segreto particolarmente scabroso. E’ una lotta contro i poveri. Il pretesto è stato quello di un incendio in un’abitazione abusiva, una delle tante in cui si ammassano gli immigrati interni, non in regola con i documenti. Ma il Partito Comunista di Pechino, guidato da Cai Qi (un uomo vicino al presidente Xi Jinping) ha deciso di dare una “ripulita” alla città, buttando fuori tutti “gli elementi che non si addicono alla capitale” e demolendo le loro case. Si tratta di un segreto scabroso, perché la Cina vanta una crescita salariale delle popolazioni rurali negli ultimi due anni e dal 2014 ha riformato il sistema hukou, che regola la residenza. E nonostante tutto, ci sono cittadini di serie B, una classe inferiore che “non si addice” al decoro urbano della capitale e che, alla bisogna, viene buttata via come spazzatura.

Questa situazione si è venuta a creare nel corso degli ultimi quattro decenni, causata dalla disparità di velocità fra la crescita economica e le riforme civili. Economicamente parlando, la Cina si è rapidamente trasformata, da un’economia pianificata che era, in un’economia mista, con ampi settori affidati al mercato libero. Ma da un punto di vista civile, i contadini e i cittadini sono e restano legati ai loro luoghi di residenza e hanno ben poche possibilità di spostarsi all’interno del paese, come avveniva nell’Urss staliniana e, appunto, nella Cina di Mao. Il sistema hukou è stato riformato e liberalizzato, dopo gli ultimi emendamenti del 2014 è possibile convertire più facilmente la residenza di un’area agricola in quella di un’area urbana. Ma si tratta di appena tre anni su quasi quaranta, troppo poco per vedere e valutare i risultati. E non tutti i contadini, almeno per ora, intendono rinunciare ai pochi diritti che dà loro la residenza nell’area di origine: un pezzo di terra da sfruttare e conservare per sussistenza.

La disparità fra crescita economica e un sistema burocratico ancora comunista ha prodotto più di 200 milioni (fino a 278 milioni, secondo il censimento del 2010) di emigranti interni, che una volta insediatisi nelle città, non essendo residenti registrati, non hanno diritti a nulla. Dunque: niente sanità pubblica, niente istruzione pubblica per i figli, niente pensione, niente diritti del lavoro. Datori di lavoro senza scrupoli li impiegano per costruire interi quartieri, pagandoli in nero o non pagandoli affatto. Tanto “non esistono”. Pechino, Shanghai e le città della costa sudorientale hanno una popolazione superiore del 200% rispetto a quella ufficialmente registrata, secondo il censimento del 2010. Sono una forza lavoro a basso costo, il 40% del totale dei lavoratori nelle maggiori aree urbane. Contribuiscono enormemente alla crescita del paese, pur non godendone i frutti.

Quando si parla di immigrazione disumana, si afferma troppo frettolosamente che l’Europa e il Nord America siano gli egoisti del mondo, non si pensa mai abbastanza alla realtà extra-occidentale. A fronte di un Occidente che fa il possibile per salvare vite, accogliere e sfamare cittadini di altri continenti, esiste un Oriente che sfrutta e butta via i propri cittadini. E' la vera cultura dello scarto, quella di una Cina in cui il materialismo è tuttora religione di Stato.