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TASSE E CRISI

Più Iva per tutti. Senza governo l'Italia sta peggio

Sotto il governo l'Italia soffre, senza governo l'Italia crepa. La crisi dell'esecutivo Letta fa scattare, in automatico, l'aumento dell'Iva dal 21 al 22%. Con danni previsti ai consumi, all'impresa, all'occupazione.

Economia 01_10_2013
tasse

Buongiorno, oggi vi svegliate in un Paese in cui la vita sarà più cara e difficile per tutti. Merito dell’aumento automatico dell’Iva, la cui aliquota passa dal 21% al 22%. Con le dimissioni in massa dei ministri del Pdl, il governo non è riuscito a far slittare a gennaio questa misura fiscale, già decisa in passato per far quadrare i conti.

Sappiamo di che morte moriremo. Gli studi sull’impatto che avrà l’aumento dell’Iva sulla nostra vita quotidiana sono stati effettuati più volte. L’ultima, dettagliata, simulazione di Iva al 22% l’ha fatta la Confcommercio. Se nel 2012, i consumi avevano subito il calo più drastico della storia dell’Italia repubblicana (-4,3%), quest’anno si prevede un’ulteriore riduzione del 2,4%, che, con l’aumento dell’Iva in questi ultimi tre mesi diverrà un -2,5%, a parità di condizioni (il ché, con la crisi in atto, non è affatto scontato). Il problema vero è che aumenta l’imposta sui consumi proprio in vista delle festività, quando le aziende si aspettavano un leggero incremento di vendite. Il rincaro riguarderà ogni cosa. L’aumento al 22%, secondo i calcoli di Federconsumatori e Adusbef, riguarderà il 70% dei prodotti e costerà 207 euro annui a famiglia, portando consistenti rincari nel settore dell’abbigliamento (+81 euro), nell’acquisto di scarpe (+25 euro) e bevande alcoliche, vino compreso, e gassate (+12 euro).

Vi sarà anche un effetto inflattivo: l’aumento dell’Iva creerà uno “scalino” di 0,4 punti percentuali su tutti i prezzi che si trascinerà prevedibilmente anche nell’anno successivo. Non è dato sapere quante altre aziende falliranno. “Chiusure a raffica” è il termine più usato negli articoli di economia basati sugli studi di Confcommercio e Confindustria. Dobbiamo pensare che, oltre all’aumento dell’Iva, le aziende stanno ancora attendendo il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione e devono comunque pagare imposte dirette pari a più della metà dei loro utili. Secondo l’ultimo studio di Confcommercio, sono a rischio almeno 10mila posti di lavoro nei prossimi mesi.

Almeno, l’incremento di un’imposta porterà più soldi nelle casse dello Stato? No, stando a tutte le esperienze del passato. L’economista Arthur Laffer (che fu consulente dell’amministrazione Reagan negli Stati Uniti degli anni ’80) aveva teorizzato la sua “curva” trent’anni fa: se lo Stato alza le tasse oltre un certo limite, il gettito tenderà a ridursi invece che aumentare. Il perché è ovvio: anche lasciando perdere l’evasione (che comunque aumenta all’aumentare delle imposte), meno consumi, meno produzione, meno incentivi a lavorare e guadagnare si traducono in meno tasse pagate. La contrazione del gettito, in Italia, era già visibile nel 2012, quando l’Iva era aumentata dal 20% al 21% (dal settembre 2011) e la pressione fiscale complessiva aveva raggiunto il livello record del 46% (nominale) o 55% (reale, sommando tasse nazionali, locali, dirette e indirette, secondo gli studi della Confindustria). Con questo ulteriore aumento è lecito attendersi che il gettito si ridurrà ulteriormente: la tenuta dei conti pubblici sarà ancora più a rischio.

Qual era l’alternativa? Forse ancora peggiore. Nella mini-manovra confezionata dal governo Letta la settimana scorsa (quella su cui è avvenuta la rottura definitiva con il Pdl), si sarebbero dovute aumentare le accise sulla benzina per evitare lo scatto all’insù dell’aliquota Iva. Si sarebbero dovute sostituite tasse con tasse, con analoghi e forse peggiori effetti sui consumi, come abbiamo già scritto su La Nuova Bussola Quotidiana. La dinamica dell’ultima trattativa sulle tasse e la successiva rottura, dimostrano come questa classe politica non sappia offrirci alternative, non preveda misure favorevoli alla crescita, ma tenti sempre (trincerandosi dietro alla giustificazione del rispetto dei patti con l’Ue) di alzare le tasse per coprire i buchi dei conti pubblici. Di far pagare ai cittadini gli errori e le spese dei politici.

Non hanno più argomenti neppure gli anti-politici, che salutano l’attuale caos istituzionale come un’occasione per liberarci dal governo ed essere meno vessati dalla classe politica. In Belgio, in effetti, l’assenza del governo per un anno e mezzo aveva creato un surreale benessere: liberi da un esecutivo vero e proprio, governi limitati con mere funzioni amministrative ed enti locali avevano amministrato meglio la cosa pubblica, rendendo il loro Paese uno dei più stabili d’Europa in piena crisi dell’eurozona (ne aveva parlato, su La Bussola, anche Robi Ronza. In Italia si sta avverando il contrario: anche senza governo, una burocrazia ministeriale lenta e inesorabile, applica gli ultimi ordini ricevuti, aumentando il peso dello Stato sui cittadini. L’aumento dell’Iva è solo il primo passo. Se per novembre non si troverà la copertura necessaria, dovremo pagare anche la seconda rata dell’Imu, con buona pace di chi aveva cantato vittoria per l’eliminazione della tassa sulla casa. Gli italiani sono dunque condannati a fare politica: da noi, “senza governo” è ancora peggio.