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IL LIBRO

Privacy, libertà e guerra batteriologica: dove è la verità?

La speculazione finanziaria, le ipotesi di guerra batteriologica ma soprattutto le restrizioni alla libertà d’informazione e alla privacy. L’instant book Coronavirus. Il nemico invisibile (Uno Editori), a cura di Enrica Perucchietti e Luca D’Auria, è uno dei primissimi saggi italiani che fa controinformazione utilizzando le fonti mainstream. La Nuova Bussola Quotidiana ne ha parlato con uno degli autori.

Attualità 02_04_2020

La speculazione finanziaria, le ipotesi di guerra batteriologica ma soprattutto le restrizioni alla libertà d’informazione e alla privacy. Nel pieno della pandemia da Covid-19, porsi domande su tali rischi non è da complottisti, né da catastrofisti. L’instant book Coronavirus. Il nemico invisibile (Uno Editori), a cura di Enrica Perucchietti e Luca D’Auria è uno dei primissimi saggi italiani che, facendo una vera controinformazione, mettono a fuoco i risvolti più spinosi dell’attuale emergenza. La Nuova Bussola Quotidiana ne ha parlato con uno degli autori.

Dottoressa Perucchietti, il libro che ha realizzato assieme a Luca D’Auria è in assoluto uno dei primi pubblicati in Italia sulla pandemia da Covid 19. A quali fonti avete attinto e quali metodi d’indagine avete utilizzato?
Abbiamo attinto principalmente a fonti straniere, in particolare mainstream, anche per mostrare quanto all’estero l’informazione sia stata più dettagliata, meno fumosa e ambigua che in Italia. Da noi, certe notizie sono passate con il contagocce, quando non sono state completamente censurate, per imporre all’opinione pubblica soltanto la versione preconfezionata. All’estero, al contrario, anche le notizie che potevano apparire scomode sono state divulgate e c’è stato un dibattito su tutti i punti, compresi i risvolti sui rischi di derive autoritarie basate sulla sorveglianza tecnologica.

A quali notizie scomode fa riferimento?
Anche senza voler criticare il decreto della Presidenza del Consiglio o minimizzare l’emergenza, è chiaro che siano reali i rischi di una strumentalizzazione della paura e dell’adozione di misure temporanee che facciano ricorso alla sorveglianza tecnologica, con il dispiegamento di droni o la geolocalizzazione per il monitoraggio dei cittadini: tutte misure che potrebbero permanere anche dopo la fine dell’emergenza. Quindi c’è il rischio che si possa sfruttare l’attuale situazione per stringere ancor più le maglie del controllo sociale: è esattamente quello che scriveva Yuval Noah Harari sul Financial Times alcuni giorni fa. Harari accennava anche a un fenomeno al centro del dibattito in questi giorni: chi critica la possibilità di un ricorso a dispositivi tecnologici per il tracciamento, viene quasi accusato di voler sacrificare la salute collettiva e la vita di milioni di persone in nome della privacy. In realtà come scrive Harari – e io lo condivido pienamente – siamo di fronte a una falsa alternativa: non si tratta di scegliere tra privacy e salute, dal momento in cui è legittimo godere di entrambe. Dobbiamo cioè cercare di contrastare l’epidemia, senza però istituire un regime di sorveglianza totalitaria. Non dimentichiamo quanto successe dopo l’11 settembre, con l’introduzione del Patriot Act: è da ingenui credere che, una volta terminata l’emergenza, le misure prese in stato di eccezione, vengano immediatamente rimosse. Anche la storia più recente ci dimostra che il potere sfrutta i momenti di crisi per stringere le maglie del controllo e della sorveglianza sui cittadini.

Si è parlato anche della possibilità di un blocco dei social network o, addirittura, di tutta la rete…
Al momento non so quanto possa essere vero. Da un lato queste indiscrezioni incrementano la paura e la psicosi. Dall’altro, però, effettivamente, si sta creando un clima orwelliano, con misure sempre più restrittive, di censura. Mi sembra che la politica e i media stiano in qualche modo esacerbando un clima di fanatismo, oltre che di paura, che sta spingendo molti cittadini a vestire i panni degli psico-poliziotti e dei delatori. Pare quasi che si voglia incentivare una sorta di divide et impera, un atteggiamento per cui i cittadini non si limitino al sacrosanto rispetto delle regole ma si spingano verso una cieca obbedienza all’autorità, con tanto di caccia all’untore che, se prima era il runner o l’asintomatico, adesso diventa chiunque semplicemente venga visto camminare in strada. Con il risultato che persino chi sta andando o tornando dal lavoro, perché fa il commesso o il farmacista, viene bersagliato di insulti o gavettoni.

Come commenta il recente provvedimento dell’AGCOM sulle fake news a sfondo scientifico?
Anche qui vedo una deriva orwelliana. Premesso che le fake news sono sempre e comunque deprecabili, mi sembra di assistere a una caccia alle streghe e a una sorta di Ministero della Verità che cerca di reprimere l’informazione indipendente, punendo coloro che si permettono di dissentire o di criticare le misure restrittive, ad esempio con il ricorso alla sorveglianza tecnologica. Sono fenomeni che mi preoccupano, perché ho sempre pensato che si possa iniziare con dei capri espiatori, personaggi che possono anche essere controversi, come i Panzironi o i Marcianò di turno, ma poi l’asticella finisca per abbassarsi e si vada a colpire sempre più cittadini, censurando ogni pensiero che non collimi con un pensiero unico che, oggi, si sta facendo sempre più autoritario.

È reale il rischio di una speculazione finanziaria ai danni dell’Italia o di altri paesi particolarmente colpiti dalla pandemia?
È un tema che tratto ampiamente nel libro. Lo schema della speculazione ai danni di paesi in difficoltà si ripete costantemente: rientra nella casistica del “capitalismo dei disastri” e della Shock Economy di cui, già anni fa, parlava Naomi Klein. Nel libro mi soffermo anche sul caso di Christine Lagarde e della sua ormai famosa conferenza stampa, in cui la presidente della BCE, con le sue dichiarazioni, ha affondato i titoli di stato italiani e ha fatto volare lo spread. Non credo assolutamente sia stata una gaffe, ritengo sia ingenuo pensare che un personaggio come Lagarde, che era stata già direttore del FMI, possa essersi lasciata andare a parole così gravi, se non con un piano o una prospettiva specifica. È palese che, nei momenti di crisi, una serie di gruppi e organizzazioni facciano cadere la maschera, come è effettivamente capitato con l’Unione Europea, rivelatasi tutt’altro che solidale e benevola con l’Italia.

Non mancano altri casi inquietanti che ci autorizzano a parlare di attacchi speculativi: si pensi all’hedge found Bridgewater, che, già lo scorso dicembre, aveva deciso di scommettere sul crollo delle borse nel marzo 2020, e che aveva versato 1,5 miliardo di dollari per sottoscrivere contratti di assicurazione. Quindi, la possibilità che dei soggetti possano lucrare su un momento di emergenza come l’attuale, è assolutamente concreta ed è qualcosa su cui dovremmo focalizzare l’attenzione.

Sul piano geopolitico, infine, quanto c’entra il Covid-19 con la guerra commerciale USA-Cina?
Soprattutto dopo il tweet al vetriolo del ministro degli Esteri cinese ai danni degli USA, si è molto parlato di bioterrorismo e di un’ipotetica guerra batteriologica che, guarda caso, avrebbe colpito per primi la Cina e due suoi importanti partner commerciali lungo la Via della Seta: l’Iran e l’Italia. La realtà, però, è che ormai la pandemia è ovunque e gli USA sono il terzo paese più colpito. Quindi potremmo dire che, a sostegno di questa tesi, ci sono degli indizi, ma mancano totalmente delle prove. La guerra batteriologica rimane allora al rango di ipotesi. È probabile che questa ipotesi possa essere utilizzata a livello geopolitico per attaccare o infangare gli USA o chiunque altro. Ma, al momento, mi sembrano solo speculazioni.