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IL FENOMENO

Profughi, migranti, sfollati: Africa, un continente in fuga

L'espandersi dei gruppi jihadisti, gli scontri etnici, i movimenti secessionisti, le organizzazioni criminali: dal Congo alla Nigeria, dal Sudan all'Etiopia, dal Camerun al Mozambico, milioni di africani sono costretti a lasciare le proprie case e i propri paesi. Altro che restare a casa.

Esteri 27_03_2020
Campo di rifugiati nigeriani in Camerun

“State a casa”. Adesso che il COVID-19 ha invaso quasi tutto il continente, anche in Africa i governi lo raccomandano ai loro cittadini. Ma bisognerebbe avercela, una casa. Nelle periferie delle città africane, piccole e grandi – Lagos, in Nigeria, ha più di 21 milioni di abitanti, Kinshasa, la capitale della Repubblica democratica del Congo, quasi 12, Johannesburg e Nairobi, capitali di Sudafrica e Kenya, oltre 5,5 – vivono decine di milioni di persone ammassate in baracche fatte di lamiere, cartone, legno e altri materiali di recupero, molte senza aperture, quasi sempre prive di spazi esterni salvo i viottoli cosparsi di rifiuti che le separano.

Poi c’è chi, e sono altri milioni di persone, ha una casa che si può chiamare tale, in muratura o, nei villaggi, fatta di terra, paglia, tronchi e cannicci, e ci starebbe volentieri e invece è stato costretto a lasciarla per salvarsi la vita, minacciato dai gruppi jihadisti che infestano il Sahel e altre regioni del continente, dalle organizzazioni criminali che agiscono incontrollate, dalle milizie tribali sguinzagliate da leader politici in lotta e sfuggite di mano. È come uno stillicidio, non c’è giorno senza uomini in fuga in Africa, poche decine o migliaia che siano.

A volte la lontananza da casa dura pochi giorni, poi ci si può azzardare a tornare, altre volte si protrae per settimane e mesi. C’è chi percorre lunghe distanze. Ma spesso basta nascondersi nella savana o nella foresta, non lontano, e aspettare fuori portata. Ci sono villaggi e insediamenti che si svuotano degli abitanti periodicamente: nell’est della Repubblica democratica del Congo, ad esempio, ogni volta che sono coinvolti in scontri tra gruppi armati e tra questi e i militari governativi; e nella fascia centrale della Nigeria, a causa degli attacchi a scopo di razzia delle etnie dedite alla pastorizia. Queste situazioni possono rivelarsi le peggiori perché l’Alto commissariato ONU per i rifugiati e le organizzazioni non governative internazionali non sono in grado di intervenire, manca il tempo e l’opportunità di assistere gli sfollati che restano quindi abbandonati a se stessi o vengono soccorsi e ospitati dai villaggi vicini, da parenti o da istituzioni religiose, spesso a mala pena in grado di aiutarli e solo per brevi periodi.

Solo nelle ultime settimane, l’elenco degli sfollati è lungo e doloroso. All’inizio di marzo Medici senza frontiere hanno dato notizia di nuovi sfollati nello stato di Jonglei, nel Sudan del Sud, dove dal 2013 è in corso uno conflitto politico a carattere etnico che ha causato milioni di profughi interni e di rifugiati. Ripetuti scontri tra comunità hanno messo in fuga migliaia di persone che in parte sono riuscite a raggiungere la città di Pibor dove già si trovano 5.000 sfollati e in parte si sono rifugiate nella boscaglia dove purtroppo è impossibile raggiungerle e prestare loro cure mediche.

Scontri etnici sono all’origine anche della fuga di altri civili in Etiopia, nella regione occidentale di Gambella. Dei pastori Nuer hanno attaccato un villaggio a scopo di razzia uccidendo 12 persone. Dopo aver bruciato più di 400 abitazioni se ne sono andati portando con sé circa 300 capi di bestiame. Per mettersi in salvo 7.000 persone si sono rifugiate nelle campagne circostanti e quasi tutti non hanno una casa a cui tornare. Si aggiungono ai circa tre milioni di sfollati, conseguenza dell’intensificarsi degli scontri etnici nel paese negli ultimi mesi. 

Altri 8.000 profughi sono il risultato delle violenze in Camerun, nelle province a maggioranza anglofona che quasi tre anni fa sono insorte contro il governo dominato dalla maggioranza francofona. La repressione governativa, gli scontri tra esercito e milizie secessioniste hanno già prodotto oltre 600.000 sfollati e rifugiati. Le famiglie in fuga hanno camminato per giorni attraverso savana e foreste per raggiungere la frontiera e chiedere asilo in Nigeria all’Unhcr.

La Nigeria a sua volta, nel nord est, dal 2006 non riesce ad aver ragione di Boko Haram, uno dei gruppi jihadisti più pericolosi, a causa del quale circa due milioni di persone sono sotto mandato dell’Unhcr, sfollati in certi casi da anni. Ma di recente sono stati i militari a mettere in fuga migliaia di persone nello stato del Borno. Secondo Amnesty International i militari hanno incendiato tre villaggi o forse di più nell’ambito di una operazione contro i jihadisti. Ma la versione dell’esercito è che gli abitanti dei villaggi sono stati “evacuati” per allontanarli dai combattimenti.    

Molto più a sud, in Mozambico, due intere città sono state prese d’assalto dai jihadisti che la popolazione locale chiama al Shabaab e che molto probabilmente hanno legami con i jihadisti somali che portano lo stesso nome. Nella notte tra il 22 e il 23 marzo è stata attaccata la città di Mocimboa da Praia, capoluogo di distretto con quasi 70.000 abitanti. Due giorni dopo, all’alba, è toccato alla città di Quissanga, 50.000 abitanti circa. Chi è riuscito a fuggire ha raccontato che i terroristi hanno invaso rapidamente la città bloccando tutte le vie d’uscita. Finora ad ora gli al Shabaab, comparsi nella regione tre anni or sono, si erano limitati ad attentati e attacchi a villaggi provocando migliaia di sfollati.  

Restare a casa per milioni di africani è un rischio che non possono correre.