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TERRORISMO

Rapporto Onu avverte: l'Isis potrebbe tornare a colpire

Lo Stato Islamico è stato sconfitto, ma un ultimo rapporto dell'Onu avverte: l'Isis, in quanto organizzazione armata terroristica e di guerriglia, potrebbe tornare a colpire, anche in Europa. Merito anche del lassismo con cui i governi europei hanno cercato di combatterlo con programmi di "de-radicalizzazione" fallimentari.

Esteri 05_08_2019
La bandiera nera dell'Isis

Lo Stato Islamico potrebbe tornare a colpire con azioni terroristiche, anche in Europa, entro la fine di quest' anno. Lo rivela un rapporto dell'Onu realizzato sulla base di informazioni emerse da numerosi servizi d’intelligence che evidenziano come siano ancora circa 30.000 i miliziani del Califfato e i foreign fighters che si erano uniti al Califfato e che potrebbero essere ancora vivi.

La Ue stima che almeno 6.000 dei suoi cittadini abbiano raggiunto Iraq e Siria per combattere sotto le bandiere dell'Isis o altri gruppi estremistici. Circa un terzo sarebbero stati uccisi, altrettanti sono detenuti in Iraq, Siria o presso le milizie curde siriane o è fuggito altrove mentre almeno in 2mila sono o potrebbero essere tornati in Europa, con idee bellicose.

"Le loro prospettive future saranno di interesse internazionale per il prossimo futuro", avverte il rapporto. "Alcuni potrebbero unirsi ad al-Qaeda o ad altri gruppi terroristici, altri diventeranno leader o reclutatori. Quando avrà il tempo e lo spazio per reinvestire in capacità operative all'estero, l'Isis ordinerà e faciliterà attacchi internazionali, in aggiunta a quelli da esso ispirati, che continueranno a verificarsi in molte località nel mondo. L'attuale diminuzione di tali attacchi può non durare a lungo, probabilmente neppure sino alla fine del 2019", ammonisce il rapporto.

Ci sono centinaia di miliziani stranieri dell’Isis prigionieri delle milizie curdo-siriane sostenute dagli Usa che, nonostante le insistenze di Donald Trump, i Paesi occidentali non vogliono riprendersi, preferendo lasciarli nelle mani delle forze locali, anche nel timore di non poterli processare.

Meglio ricordare, a questo proposito, che a metà luglio nei campi delle Forze Democratiche Siriane nel Nord Est della Siria tra Hasakah e Deir Ezzor erano presenti 6mila prigionieri dello Stato Islamico dei quali 5mila di origine irachena o siriana e mille provenienti da 54 paesi in tutto il mondo. A causa delle difficoltà delle milizie curde a gestire così tanti prigionieri, molti vengono trasferiti in Iraq dive vengono processati e impiccati da tribunali che condannano alla pena capitale anche i miliziani stranieri che hanno commesso crimini nello Stato mediorientale.

C’è poi il problema delle migliaia di famigliari dei jihadisti che vivono in campi profughi sovraffollati in territori siriani controllati dalla Coalizione a guida Usa. In Europa una delle principali preoccupazioni è la radicalizzazione nelle prigioni dove tutti i programmi di de-radicalizzazione "non si sono dimostrati efficaci mentre i combattenti più agguerriti restano pericolosi e continuano a porre una sfida sia dentro che fuori il sistema penale" si legge nel rapporto.

I problemi evidenziati dal rapporto Onu, specie quelli strettamente relativi alla minaccia jihadista in Europa mettono in luce quanto siano blande, inefficaci e ambigue le misure assunte (ma sarebbe meglio dire “non assunte") dalla Ue e dai singoli Stati per far fronte alla minaccia. E’quasi ridicolo ribadire l’entità della minaccia rappresentata dai foreign fighters se poi la stessa Ue e quasi tutti i singoli paesi europei insistono nel voler reinserire nella società i terroristi reduci dai campi di battaglia e dai crimini compiuti in Iraq e Siria invece di sbatterli in galera a vita. Se ai veterani del jihad si offrono sussidi e welfare invece di condanne esemplari è difficile sperare di poter scongiurare la minaccia di nuovi attentati terroristici.

Lo stesso discorso vale per la de-radicalizzazione nelle carceri, fallita ovunque perché non è stata attuata nell’unico modo possibile: istituire carceri speciali di massimo isolamento per i jihadisti tenendo i detenuti comuni in differenti istituti penali. Infine gli stessi europei che pretendono di combattere l’Isis e l’ideologia islamica continuano a tollerare che i jihadisti controllino interi quartieri di molte città Ue, “no go area” dove viene ormai “normalmente” applicata la sharia e dove spesso neppure la polizia riesce ad entrare senza dover sostenere scontri.  Un contesto a cui aggiungere la tolleranza dell’Europa verso imam estremisti che continuano indisturbati a predicare l’odio nei confronti degli “infedeli” a casa nostra indottrinando al jihad migliaia di giovani?

Sul piano finanziario il rapporto dell’Onu rileva che l'Isis avrebbe ancora accesso ad ingenti somme di denaro, tra i 50 e i 300 milioni di dollari proventi del Califfato, e sta usandoli per mantenere la reputazione dell'organizzazione come ' brand' leader del terrorismo globale. Si stima anche che lo Stato Islamico "sia in grado di muovere il denaro sia all'interno della zona di conflitto centrale che a livello globale verso le affiliate nella sua rete. Secondo quanto riferito, l’Isis mantiene l'accesso a denaro nascosto in Iraq, in Siria e nei paesi vicini o custodito da soci di fiducia. Le sue riserve finanziarie sono anche investite in imprese in Iraq, Siria e altrove".

Le pressioni militari sull'Isis hanno avuto "un grave impatto sulla capacità del gruppo di aumentare le entrate in Iraq e in Siria all'inizio del 2019”. Dopo aver perso il controllo degli ampi territori del Califfato in Iraq e Siria il movimento si sta adattando al suo nuovo ruolo di forza insurrezionale con necessità finanziarie più ridotte e sostenendosi maggiormente sul contrabbando, l'estorsione e sui rapimenti per mantenere flussi di finanziamento.

Il rapporto evidenzia anche che l'Africa centralein particolare la parte orientale del Congo, sta diventando un nuovo polo di attrazione per gli affiliati all'Isis anche se i servizi d’intelligence non sono concordi circa le dimensioni della minaccia.