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CORONAVIRUS

Record di morti in Italia, c'entra l'abbandono degli anziani

I dati della Lombardia, dove si concentra il maggior numero di contagi e di decessi, ci dicono che molte morti riguardano anziani che, per mancanza di posti e di personale, non vengono neanche ammessi alla terapia intensiva. Senza minimizzare l'aggressività del Covid-19, dunque, un fattore importante dell'alta mortalità è l'insufficienza delle strutture sanitarie, a cui si è sommata l'incompetenza dimostrata dal nostro governo.
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Attualità 23_03_2020

L’anziano papà di un nostro amico di famiglia è morto venerdì: abitava in provincia di Bergamo, nella zona più colpita dal coronavirus. Era stato per undici giorni in casa, con febbre alta e problemi respiratori, ma per il medico non era necessario né un tampone né una visita. Fino a quando la crisi respiratoria si è fatta molto grave; allora è arrivata un’ambulanza che lo ha trasportato in ospedale, dove però è giunto praticamente già morto. Quello che in altri tempi sarebbe potuto essere classificato come un caso di malasanità, oggi in certe zone è diventato purtroppo ordinaria amministrazione. E non è certo colpa dei medici; semplicemente negli ospedali non ci sono più posti e scarseggiano anche i sanitari, colpiti loro stessi in gran numero dal coronavirus.

Questa piccola storia dice molto della situazione di crisi sanitaria che l’Italia sta vivendo, e soprattutto rende ragione del gran numero di morti che si registrano in Lombardia. Non è per minimizzare l’aggressività del Covid-19, ma è chiaro che non si può giustificare solo con questo l’alto numero di decessi in Italia e soprattutto l’enorme disparità di tassi di mortalità da regione a regione. Sul totale dei contagiati i morti in Lombardia sono il 12,7%, in Emilia Romagna il 10,8%, percentuale che si abbassa nettamente in Piemonte (6,4%) e ancora di più in Veneto (3,3%). E questo per stare alle quattro regioni maggiormente colpite.

In questi giorni l’ipotesi più gettonata riguarda l’età della popolazione: «La Lombardia è la regione con la popolazione più anziana» abbiamo sentito dire più volte, anche in tv. Senonché non è affatto vero: delle 4 regioni prese in esame, la Lombardia è la più giovane: gli ultrasessantacinquenni sono il 22,6% della popolazione e l’indice di vecchiaia è 165,5, mentre per il Veneto è 172,1, per l’Emilia Romagna 182,6 e per il Piemonte addirittura 205,9 (vale a dire che ci sono più di 2 anziani per ogni ragazzo sotto i 14 anni). E Bergamo e Brescia, in Lombardia, sono due province abbondantemente sotto la media regionale quanto a indice di vecchiaia (rispettivamente 145,2 e 151,2).

Anche considerando la popolazione in termini assoluti, il picco di mortalità in Lombardia non trova una spiegazione esauriente. La vicenda dell’anziano conoscente citata all’inizio ci offre invece un fattore importante di spiegazione. Vale a dire – detto brutalmente – che non essendoci posti letto sufficienti, le persone vengono lasciate morire. Non per cattiveria dei medici, non perché manchi la volontà di curare, ma semplicemente perché non c’è la possibilità di fare altrimenti.

Del resto nei giorni scorsi è stato detto da più parti in Lombardia, un po’ sottovoce un po’ indirettamente, che i medici sono costretti a fare delle scelte. Lo dimostrano anche i dati degli ultimi giorni, che giustamente hanno impressionato l’opinione pubblica e spinto il presidente del Consiglio a inasprire ulteriormente le misure per impedire alle persone di uscire di casa. Peraltro, va sottolineato, che si tratta di dati che dipendono fondamentalmente dalla Lombardia, che copre tra il 60 e il 70% dei decessi in Italia. Se tutte le persone fossero soccorse e curate allo stesso modo, per i più l’iter ordinario sarebbe: ricovero, eventualmente terapia intensiva, in alcuni casi la morte. Vale a dire che la maggior parte delle morti sarebbero di pazienti che, pur sottoposti a terapia intensiva, non ce l’hanno fatta. Ma i dati dicono altro: solo negli ultimi tre giorni in Lombardia sono morte 1.288 persone: fossero stati pazienti in buona parte ricoverati in terapia intensiva ne dovremmo vedere l’effetto, visto che questo numero è nettamente  superiore a quello dei ricoverati giornalieri in terapia intensiva (ieri erano 1.142 contro i 1.050 di due giorni prima).

L’impressione invece è che le cifre che riguardano i decessi marcino indipendentemente dalla situazione delle terapie intensive, ovvero solo una piccola parte riguarda persone che, malgrado le cure, non ce l’hanno fatta. Del resto questo è quanto previsto dalle linee guida di etica clinica emanate il mese scorso dalla SIAARTI (Società Scientifica di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva), di cui ci siamo già occupati, e che indicavano la necessità di non occupare la terapia intensiva con persone anziane e con patologie pregresse.

Con buona pace di chi, nei giorni scorsi, di fronte alla strategia annunciata dal premier britannico Boris Johnson, ha rivendicato per l’Italia una sorta di superiorità morale perché noi ci occupiamo di tutti allo stesso modo. Quindi nella pratica va esattamente così: al momento non ci sono possibilità di curare tutti coloro che ne avrebbero bisogno, per cui si può dedurre che a questo sia dovuto almeno una parte del picco di decessi registrato in questi giorni.

Questo ci porta a sottolineare un altro punto importante: causa del disastro attuale è solo in parte l’aggressività del coronavirus, parte importante è l’insufficienza del nostro sistema sanitario. Ricordiamo che due anni fa in Lombardia ci fu un allarme terapie intensive anche per la classica influenza stagionale, un po’ più virulenta della media. E a una debolezza strutturale si somma l’inettitudine di questo governo che, a oltre due mesi dalla notizia dell’epidemia in arrivo, non ha provveduto ancora a dotare il personale sanitario delle necessarie protezioni. Mascherine e guanti sono ancora introvabili, ieri la Protezione Civile ha assicurato che arriveranno questa settimana ma visti i precedenti c’è poco da fidarsi. In ogni caso è già tardissimo, oltretutto con migliaia di medici ammalatisi a rendere ancora più difficile il lavoro a una categoria già sottodimensionata. Però è molto più comodo prendersela con quelli che fanno jogging.