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IL PIANO FERTILITA'

Ridare a mamma e papà un prestigio sociale

Nel Piano fertilità molte affermazioni condivisibili. Il Ministero della Salute si è reso conto che la cultura libertaria ha svuotato le culle. Però non è andata sino in fondo attaccando la cultura edonista che è struttura portante di molte leggi italiane e di molti atti di governo.

Vita e bioetica 02_09_2016

Gli spot per il Fertility Day, che hanno provocato così tante reazioni indignate, fanno parte del Piano nazionale per la fertilità “Difendi la tua fertilità, prepara una culla nel tuo futuro” varato dal Ministero della Salute. Il Piano si è avvalso della collaborazione del “Tavolo consultivo in materia di tutela e conoscenza della fertilità e prevenzione delle cause di infertilità” istituito dallo stesso Ministero, Tavolo che ha prodotto un documento che vuole dare concretezza agli indirizzi del Ministero. Analizziamo per sommi capi sia il Piano nazionale che il documento elaborato dal Tavolo, evidenziandone, molto in sintesi, aspetti positivi e negativi.

Il Piano nazionale per la fertilità, rammentando che “il valore di 1,39 figli per donna, nel 2013, colloca il nostro Paese tra gli Stati europei con i più bassi livelli” di natalità e che “nel 2050, la popolazione inattiva sarà in misura pari all’84% di quella attiva”, si propone questi obiettivi: “1) Informare i cittadini sul ruolo della Fertilità nella loro vita, sulla sua durata e su come proteggerla evitando comportamenti che possono metterla a rischio 2) Fornire assistenza sanitaria qualificata per difendere la Fertilità, promuovere interventi di prevenzione e diagnosi precoce al fine di curare le malattie dell'apparato riproduttivo e intervenire, ove possibile, per ripristinare la fertilità naturale 3) Sviluppare nelle persone la conoscenza delle caratteristiche funzionali della loro fertilità per poterla usare scegliendo di avere un figlio consapevolmente ed autonomamente. 4) Operare un capovolgimento della mentalità corrente volto a rileggere la Fertilità come bisogno essenziale non solo della coppia ma dell’intera società, promuovendo un rinnovamento culturale in tema di procreazione. 5) Celebrare questa rivoluzione culturale istituendo il ‘Fertility Day’, Giornata Nazionale di informazione e formazione sulla Fertilità, dove la parola d’ordine sarà scoprire il ‘Prestigio della Maternità’”. Il progetto è assai analitico e coinvolge buona parte dei soggetti che operano in società: famiglie, professionisti, aziende ospedaliere, consultori, università, etc.

Tra le molte indicazioni operative suggerite per porre rimedio all’inverno demografico italiano segnaliamo quella di carattere culturale “per avviare una autentica rivoluzione culturale calata nella vita di tutti i giorni di tutte le persone” e quella informativa, incentrata soprattutto nel far sapere che il fattore età è uno dei più incidenti giungendo così alle “sensibilizzazione delle donne sui tempi della loro possibilità di diventare madri, spiegando loro che sono molto più contenuti di quanto generalmente si sia portati a pensare”, appunta il Tavolo consultivo. Pregevole, ma solo a metà, la critica alla fecondazione artificiale. Il Piano della Lorenzin infatti vuole infatti sgombrare “il campo da equivoci che inducono in errore le persone celebrando, ad esempio, le nuove tecniche di procreazione come infallibili e percorribili senza limitazione di tempo. Non si può lasciare credere a donne (e uomini) che con l’aiuto di queste tecniche si possa procreare per tutta la vita”. La lode è solo a metà perché poi il documento del Tavolo incensa questo tipo di tecniche.

Interessanti le cause che sia il Piano che il Tavolo indicano come determinanti della denatalità. Si citano il deterioramento di alcuni valori di fondo, l’instabilità di coppia, l’handicap per le donne dal punto di vista lavorativo di essere madri o di volerlo diventare, il protrarsi del periodo di scolarizzazione che corrisponde ad un ritardo nell’entrare nella vita attiva e quindi nella decisione di “mettere su famiglia”, l’insicurezza economica – più percepita che reale - un atteggiamento culturale che vede il figlio non come dono e risorsa, bensì come furto della propria libertà ed indipendenza, l’individualismo e l’immaturità personale. Così il Tavolo: “Da un punto di vista psicologico sembra diffuso un ripiegamento narcisistico sulla propria persona e sui propri progetti, inteso sia come investimento sulla realizzazione personale e professionale, sia come maggiore attenzione alle esigenze della sicurezza, con tendenza all’autosufficienza da un punto di vista economico e affettivo. Tale disposizione, spesso associata ad una persistenza di un’attitudine adolescenziale, facilitata dalla crisi economica e dalla perdita di valori e di identificazioni forti, si riflette sulla vita di coppia e porta a rinviare il momento della assunzione del ruolo genitoriale, con i compiti a questo legati”.

Altra causa: il titolo di “genitore” difetta di prestigio sociale. Così il Tavolo: “Fra le motivazioni possiamo riflettere sulla mancanza, attualmente, del valore sociale della maternità, (e più in generale, dell’essere genitori). Con ciò intendendo il non riconoscimento, in ambito pubblico, del fatto che essere madri non è solamente una scelta personale, ma è un’esperienza che caratterizza in modo decisivo la vita di una persona, ne aumenta le competenze, ne disegna il tratto umano e le capacità organizzative e relazionali, mutandole e maturandole”.

C’è poi da registrare un giudizio critico al cosiddetto processo di emancipazione femminile che ha portato come conseguenza quella di posporre all’infinito la decisione di diventare madri – spesso non riuscendoci – a favore della decisione di diventare professioniste o di raggiungere una sicurezza economica o psicologica che alla fine si realizzerà solo verso i quarant’anni. Il Tavolo così scrive: “Si assiste, infatti, ad una pericolosa tendenza a rinviare questo momento [di  diventare madri], in attesa proprio di una realizzazione/affermazione personale che si pensa possa essere ostacolata dal lavoro di cura dei figli. La maternità, invece, sviluppa l’intelligenza creativa e rappresenta una straordinaria opportunità di crescita. L’organizzazione ingegnosa che serve a far quadrare il ritmo delle giornate di una mamma, la flessibilità necessaria a gestire gli imprevisti, la responsabilità e le scelte implicite nel lavoro di cura, le energie che quotidianamente mette in campo una madre sono competenze e potenziali ancora da esplorare e capire come incentivare e utilizzare al rientro al lavoro. E’ necessario, allora, recuperare il valore sociale della maternità, sia come esperienza formativa individuale sia come bene di tutti. La società deve comprendere che è un bene che nascano bambini, è un bene che il Paese possa riprodursi e sostituirsi”. Il Tavolo poi aggiunge: “Nelle donne, in particolare, sono andati in crisi i modelli di identificazione tradizionali ed il maggiore impegno nel campo lavorativo e nel raggiungimento di una autonomia ed autosufficienza ha portato ad un aumento dei conflitti tra queste tendenze e quelle rivolte alla maternità”.

Poi iniziano a profilarsi alcuni aspetti non condivisibili. Il documento del Tavolo di lavoro critica lo snaturamento del ruolo delle donne che in società assumono sempre più atteggiamenti mascolini e quindi sono meno propense a diventare madri. “Cosa fare, dunque, di fronte ad una società che ha scortato le donne fuori di casa, aprendo loro le porte nel mondo del lavoro sospingendole, però, verso ruoli maschili, che hanno comportato anche un allontanamento dal desiderio stesso di maternità?” si domandano i membri del Tavolo di lavoro. Ci si aspetterebbe una risposta del tipo: “che le donne tornino a rivestire alcuni ruoli femminili”. Ed invece il Tavolo sostiene che i ruoli maschili e femminili – in specie quelli che riguardano la cura e l’educazione dei figli – devono essere identici: stesse mansioni e modelli di comportamento per il padre e la madre.

Ma la vera critica ai documenti licenziati dal Piano nazionale e dal Tavolo di lavoro è più di fondo. Il Ministero della Salute si è reso conto, anche se non può ammetterlo esplicitamente, che una certa cultura libertaria, progressista e femminista ha svuotato le culle. Ecco perché tanto clamore per gli spot sulla fertilità: la Lorenzin ha toccato più di un nervo scoperto della cultura contemporanea. Però il Ministero non è andato sino in fondo nella sua diagnosi perché il politicamente corretto glielo avrebbe impedito. Infatti una disanima culturalmente onesta avrebbe dovuto sconfessare decenni di politiche culturali che contribuiscono alla denatalità, quali quelle a favore della diffusione della contraccezione di barriera e ormonale la quale anche una volta cessata intacca la fecondità della donna. Dell’aborto, prima causa di denatalità nel nostro Paese, che nel documento del Tavolo addirittura si indica, citando il titolo della legge 194, come norma che “tutela la maternità”, quando invece è legge che sopprime la maternità perché sopprime il figlio. Della sessualità libera: l’infecondità femminile è legata a filo doppia alla promiscuità sessuale. Della morte della famiglia fondata sul matrimonio, morte provocata dalle norme a favore dell’oppressione fiscale, del divorzio, delle convivenze e delle unioni civili (queste ultime per loro natura sterili): la stabilità di coppia infatti è elemento adiuvante la fecondità.

In buona sostanza non si è avuto il coraggio di andare al nocciolo del problema, attaccando in radice quella cultura edonista, individualista e femminista che è struttura portante di molte leggi italiane e di molti atti di governo che hanno contribuito alla scomparsa di una pletora di fiocchi azzurri e rosa.