Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Fedele da Sigmaringen a cura di Ermes Dovico
IL CASO INSIGNE

Ringhio sbaglia sul vaffa, la vita non è un cinepanettone

Il problema non è Insigne che manda a cag... l'arbitro e nemmeno che non abbia chiesto scusa. Il problema è che Gattuso lo abbia giustificato. Così, senza rispetto umano, il calcio diventa una impunita e protetta terra di nessuno dove l'autorità viene calpestata. Ma non siamo in un cinepanettone. 

Editoriali 18_12_2020

Il punto di caduta non è che Lorenzo Insigne abbia mandato a cagare l’arbitro durante Inter Napoli di mercoledì sera. Il punto non è neppure che non abbia chiesto scusa al direttore di gara e magari anche agli spettatori in tv, i quali, da quando le partite sono senza spettatori, ascoltano benissimo le parole dei calciatori, vivendo anche la loro dimensione più triviale e umorale. Perché le scuse – vedrete – arriveranno, di facciata, poco prima della decisione del giudice sportivo quando dovrà comminare a Lorenzino almeno due o quattro giornate di squalifica.

Il punto è che stia passando l’atteggiamento che mandare affanculo l’arbitro sia eticamente comprensibile come effetto collaterale di un’azione di gioco. E ciò che stupisce davvero è che a farsi portavoce di questa campagna del vaffa libero sia un allenatore come Gennaro Gattuso.

Le sue parole pronunciate in tv al termine della partita sono ciò che resta di più censurabile di questa sceneggiata napoletana che segna chiaramente come si sia passati allegramente dal folcoristico chiagni e fotte al fotte e chiagni: prima l’offesa e poi il piagnisteo sul povero giocatore cui l’arbitro Davide Massa, giudicato da Ringhio rigido e permaloso, ha infierito. «Collina sì che si faceva rispettare senza bisogno di espellere», dicono. Che poi bisognerebbe chiederglielo.

Ma resta la bruttissima sensazione che il calcio pretenda di diventare una terra di nessuno dove anche l’insulto viene giustificato per ragioni di adrenalina in corso o peggio ancora di sudditanza: il calciatore è ricco e famoso, infiamma le folle, si presenta in campo con la spilletta di Telethon perché il buonismo … oh yeahma non rompeteci i coglioni con l’educazione. Normale allora concedergli come plus quel bonus che normalmente non viene concesso a nessun altro in ambito professionale. In un ufficio, un dipendente che dovesse mandare a quel paese il suo superiore, non avrebbe altra strada se non le scuse subitanee e non godrebbe di nessuna altra giustificazione, avesse anche tutte le ragioni del mondo nel merito, se non quella di una frase dal sen fuggita subito da far rientrare per ricollocare gli animi all’interno del confine del rispetto.

Rispetto, che si deve all’autorità affinchè questa, poi, non si trasformi in autoritarismo e faccia valere il braccio violento della legge facendo passare così il malcapitato dalla ragione al torto. Non è sottomissione alla Fantozzi, perché il ragioniere più amato d’Italia non aveva il coraggio di dire la verità tant’è che quando disse la sua sulla Corazzata Potemkin gli vennero riconosciuti i 92 minuti di applausi, è solo rispetto umano che dovrebbe guidare una razionalità che ti fa sapere di aver ragione.

Perché si può dire la verità anche mandando a quel paese, ma è la verità il punto focale, non l’offesa. L’offesa è solo la scoria radioattiva prodotta dalla forza che dovrebbe essere assorbita subito nella censura, se non vuole diventare brutalità.

Il calcio è un gioco e i giochi hanno delle regole. Ma se le regole vengono stravolte allora il gioco cambia. D’altra parte, un arbitro non può permettersi di ricevere insulti anche dai giocatori dopo che dagli spalti viene già subissato abbondantemente di improperi. E allora che si fa? Si cerca di chiedere scusa non per un discorso di educazione, ma per un discorso di rispetto verso un’autorità, la stessa autorità che la nostra società vuole ridurre in ridicolo, la stessa autorità che fuori dal San Paolo è stata bellamente e impunemente buggerata per vegliare Maradona.

Senza scuse sincere da parte della società, il vaffa di Insigne non diventerà un’Avvelenata da consegnare agli annali, ma resterà un gesto di un capuziello capriccioso e graziato da chi lo coccola e da chi pensa che il calcio e le relazioni possano avere la stessa qualità di quelle che si vivono nei cinepanettoni.

In quanto a Gattuso, che si scandalizza dicendo che se avessero dovuto sbatterlo fuori tutte le volte che offendeva l’arbitro avrebbe giocato tre partite, forse sarebbe meglio che andasse a rivedersi tutte quelle volte in cui per classe e dignità non ha lui mandato a quel paese qualcuno. Ad esempio quando dopo aver portato uno sgangherato Milan in Europa, si è dimesso rinunciando a due anni di contratto per divergenze col club. E forse potrebbe ricordarsi anche di quell'ex capitano che lo graziò da un bel vaffa quando, dopo essersi visto escludere di punto in bianco dalla squadra senza alcuna spiegazione pubblica, fu costretto a chiudere la carriera senza neanche un grazie. Un bel vaffa, Riccardo Montolivo avrebbe anche potuto indirizzarglielo, ma a Ringhio è stato risparmiato.